La fine dell’impero britannico fu patita più da chi l’aveva sarcasticamente deriso che da coloro che lo avevano lealmente servito. Così Stenio Solinas su Evelyn Waugh (Compagni di solitudine).
Sarà per questo che l’inglesissimo Waugh, corrosivo censore della cara Old Britannia, reporter snob e romanziere-pamphlétaire al vetriolo, cattolico per convinzione ed estetismo, volle aprire i suoi ricordi della Terra Santa celebrando “l’ingresso grandiosamente umile del generale Allenby” a Gerusalemme, appiedato in segno di rispetto. E subito dopo Riccardo Cuor di Leone, Stratford Canning, il religiosissimo generale Gordon… piccolo elenco dei “grandi e singolari britanni” che han dato corpo al legame tra Inghilterra e Gerusalemme, città terrena e città santa.
“Ci sono santi che sono ricordati per una sola azione. A tale categoria appartiene a pieno titolo Elena”.
Elena imperatrice, madre di Costantino, della quale nonostante tutto “non sappiamo quasi nulla” (ma lui parteggia per l’origine britannica) che non ha mai “suscitato una grande devozione” chiamata semplicemente “a un unico specifico atto di servizio, una cosa mai tentata prima e irripetibile: il ritrovamento della Vera Croce”.
Impresa esaltante, già allora anacronistica, priva di garanzie e riscontri, ottenuta per “un intervento diretto di origine sovrannaturale, non tramite un ragionamento archeologico”, riaffermava, contro gli spiritualismi di “anime elette spogliatesi del corpo”, l’umile scandalosa verità del Dio incarnato e crocifisso.
Ridotta qui in piccolo portrait, le aveva dedicato un romanzo, Helen (tradotto come Elena, la madre dell’imperatore), uno dei più sentiti del convertito Waugh. “È il mio capolavoro. Sarà un fiasco” aveva sentenziato. Non fu un successo e forse nemmeno il suo miglior romanzo. Ma sorretto dall’idea che “Egli vuole da ciascuno una cosa diversa, facile o difficile, appariscente o nascosta […] per la quale ciascuno di noi è stato creato”, popolare e raffinato romanzo-agiografìa per santa negletta, vale la pena rileggerlo, rovescio lirico e devoto del sulfureo artefice de Il caro estinto.
Waugh scrittore di viaggio: sempre brillante quanto (un poco) superficiale.
Ma qui, mentre medita sui Luoghi Santi comuni Tempio, Cupola, Sepolcro, con tanto di acre scetticismo sulle “spartizioni” in atto o mette in fila quelli cristiani (“Dormizione e Cenacolo fra le mura della città vecchia, tre ad Ain Karem, uno a Emmaus, nove a Nazaret, cinque sul mare di Galilea, tre a Cana, uno sul Carmelo”) oppure segnala, caustico reporter che fu, che “le condizioni che provocarono la Prima Crociata erano appena più moleste per il pellegrino di quelle odierne”; mentre si abbandona alla vita minuta attorno ai Luoghi, tra kitsch, confusione e grazia, uffici notturni al Santo Sepolcro, Babele di officianti, riti, cembali, odore di ostie sfornate con pragmatico custode maomettano di contorno; o depreca lo stato di abbandono (con minaccia di restauri obbrobriosi) di molti siti, Waugh, come Elena, ha fisse in mente poche precise certezze.
Che “l’istinto del pellegrino è radicato nel profondo del cuore umano” e non nella testa.
Che luogo di pellegrinaggio non è quello che archeologie e scienze storiche sminuzzano in databili frammenti. L’ultima parola è del senso religioso. E del mistero.
Le immagini più pregnanti per esprimerlo le ha scolpite in un superbo romanzo, troppo personale per essere capolavoro, il Ritorno a Brideshead scritto di getto, poi riscritto, mai rinnegato. Quomodo sedet sola civitas, ripete la bocca del narratore Charles Ryder, passato dall’indifferenza della gioventù dorata alla conversione e alla rinuncia.
Neofita avvinto dalle grandiosità architettoniche della dottrina cattolica, rationabile obsequium più che sentimento, divorzi e fallimenti sulle spalle, mobilitato in piena seconda guerra, l’impero agli sgoccioli, in un’antica dimora inglese ritrova il senso della Terra Santa.Dove sono convenuti, quattro cavalieri dei tempi antichi, i veri attori del romanzo: l’azzimato Bridey, la fervente Cordelia, l’amore proibito Julia, Sebastian fragile debosciato in odor di santità.
Nella chiusa di Helen scriverà che “i Luoghi Santi sono stati con alterne vicende venerati e dissacrati, perduti e riconquistati, comprati e contrattati” ma “il Legno ha resistito”. E lì è la speranza.Come Chesterton, Waugh nel cristianesimo ha trovato la concretezza. Come Eliot, ne ha amato la “forma”, l’ordo sociale estetico, visibile.E Ryder/Waugh, dal crinale di un mondo in dissoluzione analogo a quello costantiniano dove “la poesia era morta e la prosa morente”, l’architettura “scivolata tra le mani callose dei geometri” e la scultura “caduta così in basso”, melancolico testimone di gesta lontane, comprende.
Che la concretezza della speranza chiede forma, segni e Luoghi.
I costruttori non hanno agito invano. Per quanto miserevoli sian divenuti, unificano noi, poveri viatores, in un laccio invisibile. Albione e Palestina, impero defunto, cristianità decrepita.
Un’identica labile fiammella, nella brutta lampada rossa di una villa inglese e presso il tabernacolo del Santo Sepolcro.