28 Ottobre 2018

“Essere vecchi è avere stanze illuminate dentro la testa”: le lettere devote di Philip Larkin (traducetelo!) a mammà… ovvero: i poeti e le ossessioni filiali

Stando a una semplificazione piuttosto brutale: Dylan Thomas è l’apocalittico, il visionario, il Rimbaud redivivo in Galles, mentre Philip Larkin è the Master of the Ordinary, come diceva Derek Walcott, il maestro dell’ordinario, l’esegeta del quotidiano. Furono loro due – Thomas e Larkin – i poeti più influenti del secondo dopoguerra. Se nel mondo anglofono è più forte l’impatto di Larkin – Seamus Heaney ne è un discepolo – nel resto d’Europa è lo scintillio inafferrabile del verbo di Dylan Thomas ad avere attecchito. In sintesi: mi domando perché Philip Larkin sia un poeta tanto citato quanto pochissimo tradotto in Italia. Ennesimo sintomo di un Paese che vive nel terzo mondo culturale.

*

Ma andiamo oltre. Se ci sono i letterati castrati dal papà, ci sono quelli devoti a mammà. Larkin è uno di questi. In Letters Home 1936-1977 (Faber & Faber, 2018), James Booth conta “circa 4mila tra cartoline e lettere di Larkin alla madre, di cui ne sono state scelte 607”. Il momento più intenso di attività espitolare è dal 1950, quando Larkin trova lavoro presso la biblioteca della Queen’s University of Belfast, e il 1972, la madre morirà nel 1977. “Per i primi 22 anni di questo periodo, il poeta scrisse alla madre, Eva Emily Day, una lettera ogni domenica e di solito un’altra in mezzo alla settimana”. Anche negli ultimi anni, quando la madre annega in una lenta demenza senile, il figlio poeta non gli fa mancare biglietti o cartoline. Di fatto, scrive Andrew Motion, già poeta laureato inglese e biografo di Larkin, sullo Spectator, “in qualche modo la madre di Larkin ha assunto le fattezze della sua musa”.

*

larkin libroL’esito del lavoro, ascoltando ancora Motion, è una creatura dal doppio volto. Da una parte, si tratta dell’“ultima, significativa raccolta di documenti sulla vita di Larkin che aveva necessità di essere studiata e pubblicata”. Dall’altra, “la gran parte delle lettere è banale, perché parla degli elementi minimi della vita quotidiana di Eva”. Ma… non è questo il sale della poesia di Larkin? Accendere l’umile quotidiano con una fiammata verbale, sgasare dall’ovvio con uno sguardo intriso di chiodi e di miele. Ovvio, quando Larkin parla dei suoi problemi intestinali – “sono un po’ congestionato perché ho mangiato una scatola di salmone e una scatola di asparagi per cena…” – poco c’importa: un poeta va al bagno come noi comuni mortali. Piuttosto, al di là delle stoccate politiche di Larkin – “Mr Enoch Powell dice che dobbiamo tenere lontani gli immigrati: peccato che non sia il capo dei conservatori” – affascinano alcuni sketch da ritrattista (E. M Forster è “un piccolo adolescente” anche in tarda età; Dylan Thomas è addobbato come un Dioniso metropolitano, “aveva due maglie da marinaio, un misero cappotto sportivo giallo e pantaloni chiazzati di grigio”).

*

Ovviamente, Larkin non confonde la mamma con faccende letterarie – ma c’è una lettera particolarmente ispirata, è il 13 settembre del 1964, il poeta ha 42 anni. “Ancora una volta sono seduto nella mia camera da letto, nel pieno del sole, e mi affido al compito settimanale, ‘scrivere da casa’. Penso di farlo ormai da 24 anni, avanti e indietro, e sono felice di poterlo fare, spero soltanto che le mie effusioni siano di qualche interesse per te il lunedì mattina, quando le leggi”. Il dovere filiale sembra gemello all’arte della scrittura – come se ogni gesto di scrittura, architettato sotto il sole, sia una lettera alla madre. Una parola pari a un gesto d’affetto, il ricamo carnale di due creature.

*

Per la madre, Larkin usa la didascalia, “cara vecchia creatura”. Piuttosto, il poeta è affascinato dall’inclinarsi della madre verso la vecchiaia. Bisogna comparare, allora, queste lettere ad alcune poesie tratte da High Windows, la raccolta più alta, del 1974. Ad esempio, Vecchi scemi – cito, sempre, la traduzione di Enrico Testa in Finestre alte, Einaudi 2002. “Morendo, si va in frantumi: i pezzetti che erano te/ incominciano, in gran fretta, a salutarsi l’un l’altro per sempre,/ inavvertiti da tutti…/ Ma forse essere vecchi è avere stanze illuminate/ dentro la testa, e in esse delle persone, che recitano./ Persone che conosci, ma di cui ti sfugge il nome;/ ognuno appare in lontananza come un vuoto profondo che si colma:/ si volta sulla soglia di casa, sistema una lampada, sorride da una scala…”.

*

In effetti, il viso di Larkin è tra psycho e un peluche, quello sguardo penetrante, capace di marmorizzare un fatto nell’anatema di un paio di aggettivi, di stanare l’amore in un vespaio di versi.

*

Il poeta è un lottatore contro il tempo, contro la memoria che si sfrangia. I poeti osservano i vecchi con accuratezza per acculturarsi riguardo alla morte, per simularne le mosse e scansarsi dal suo ancheggiare. Così Larkin scrive alla madre perché in lei vede l’icona della morte, il segno del precipizio – per questo precipita parole affettuose dentro il suo corpo madido di dolore. Il poeta studia la madre – accoglie il suo disastro – il disagio dei ricordi derelitti. Raccoglie fratture di zattera – questo fa il poeta. (d.b.)

***

L’esplosione

Il giorno dell’esplosione
le ombre puntavano verso la bocca del pozzo:
il cumulo delle scorie dormiva nel sole.

Giù per il viottolo scendevano uomini con gli stivali
tossendo fumo di pipa e discorsi affilati di bestemmie,
scrollandosi di dosso la frescura del silenzio.

Uno si mise a rincorrere dei conigli; gli sfuggirono;
ritornò con un nido di uova d’allodola;
le mostrò agli altri e le depose con cura nell’erba.

Così padri e fratelli, soprannomi e risate
attraversarono, con barbe e fustagno,
gli alti cancelli sempre aperti.

A mezzogiorno arrivò una scossa; le mucche
smisero per un attimo di masticare; il sole,
come avvolto nella foschia, si affievolì.

I morti ci precedono,
siedono consolati nella casa del Signore,
e faccia a faccia li rivedremo tutti –

chiare come le iscrizioni nelle cappelle
furono dette queste parole, e per un secondo
le mogli videro gli uomini dell’esplosione

più grandi di quanto non riuscissero in vita –
d’oro come sopra una moneta, o come
in cammino dal sole verso di loro,

uno mostrava le uova ancora intere.

Philip Larkin

Gruppo MAGOG