Roma, primavera 2017, ancora lontani dalla pandemia. Ho conosciuto Enrico tanti anni fa, a Bologna, quando mio fratello era uno sconosciuto autore del programma Le Iene ed io una studentessa di archeologia. Venne invitato dalla redazione di Piazza Grande, un giornale locale che si occupa della lotta alla povertà e all’emarginazione, animato e redatto dalle persone senza dimora. Venne a sue spese, senza chiedere niente, e parlò a lungo con semplicità e giudizio. Rimasi incantata da tutta quella competenza generosamente offerta a chi, vivendo per strada, l’ascoltava con interesse. Quel suo essere lì, senza pretese, mi conquistò. Negli anni a venire non mi è proprio riuscito di cambiare opinione su di lui!
Ci incontriamo sull’Isola Tiberina. Porta un cappello rosso con la visiera e mi aspetta seduto ad un tavolino, gentile, disponibile, allegro. Rido sempre quando lo vedo, perché trovo rassicurante che gente come lui se ne vada in giro.
1.Come ti chiami, e perché i tuoi genitori hanno scelto proprio questo nome?
Enrico Lucci – Enrico, e l’hanno scelto… Boh, perché gli piaceva! Mi chiamo Enrico, Emilio, Ettore. I miei fratelli Alessandro, Angelo, Alberto, Giuliano, Gianluca, Giorgio, e poi c’è Gabriella ma mi sa che se so’ sbagliati. Non li so gli altri.
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2. Se non ti chiamassi in questo modo, che nome sceglieresti se potessi prenderlo in prestito ad un personaggio storico o reale del passato o del presente?
Enrico Lucci – Iosif. (Risponde senza esitare).
M.D. – E perché? (Chiedo, fingendo una curiosità che sappiamo entrambi essere ironica).
E.L. – Iosif Vissarionovič Džugašvili, detto Stalin. L’unica vera iena della storia. Cattivo e spietato, ma con fini buoni.
M.D. – Come te?
E.L. – Certo.
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3. Sai che questa intervista anticipa il mio prossimo progetto letterario in cui sono intervistate persone note o sconosciute che avrebbero potuto condurre una vita comoda e vivere con tranquillità e facendo finta di nulla, ma che han deciso di sobbarcarsi rischi, disagi di ogni genere ed il biasimo della famiglia, degli amici e\o della società, per aver compiuto scelte “scomode”.
Tu, secondo te, perché sei seduto su questa sedia e stai per essere intervistato?
Enrico Lucci – Perché hai ribaltato la direzione delle cose! (Ride). Io arrivo da una condizione per niente agevole e ne ho scelta una agevolissima (Rido con lui. Ho sempre trovato il suo modo di vedere le cose di una comicità riflessiva).
M.D. – Però i servizi che fai non seguono proprio la corrente (al momento dell’intervista, Enrico lavora ancora per Le Iene). Hanno delle note molto originali.
E.L. – Da quel punto di vista sì, ma non perché io voglia fare a tutti i costi il controcorrente. Semplicemente non ho cambiato quello che ho sempre avuto in testa. Non è che mi so’ dovuto inventare qualcosa per diventare alternativo e controcorrente. Ho sempre e soltanto cercato di trovare il bandolo della matassa che c’avevo nella mia capoccia… paradossalmente, questo, non m’ha dato una vita più scomoda, anzi! M’ha tirato fuori da una vita meno agiata, mi ha fatto arrivare in una vita più agiata, perché queste cose me le hanno pagate bene… E francamente, sto proprio bene adesso (sorride).
M.D. – Sì, questo lo capisco! Però per ciò che riguarda il tuo lavoro… non so, l’idea di mettere Alexandra Kollontaj e Rosa Luxembourg alla fine del tuo servizio sull’8 marzo mentre presenti la realtà della Giornata Internazionale dei Diritti della Donna che oggi si riduce invece ad una scappata in pizzeria per fare un piccolo dispetto ai mariti…
E.L. – Sì, ma perché non si festeggia più l’8 marzo, che è una festa importante, ma il conformismo dell’8 marzo. Io odio la nostalgia e penso che non serva a nulla, ma una cosa è la storia, un’altra è un modo moderno e attuale di vivere le cose, che non ha per niente a che fare con il conformismo dilagante e onnipresente nella nostra società. Prendi il Primo Maggio… il Primo Maggio è il concertone: annamo a sentì ‘a musica, ma… nessuno sa niente di com’erano sfruttati i braccianti cinquant’anni fa.
M.D. – Esattamente. Quello…
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4. Ne L’Arte della guerra, scritta fra il 1519 e il 1520, Machiavelli diceva che “Gli uomini che vogliono fare una cosa, debbono prima con ogni industria prepararsi per essere, venendo l’Occasione, apparecchiati a soddisfare a quello che si hanno presupposto di operare”. Nelle piccole cose, o ancor più nelle grandi, è sufficiente impegnarsi con ogni industria, con grande zelo, tenacia e ostinazione, o si ha anche bisogno dell’Occasione?
Enrico Lucci – Ah, per me la fortuna non esiste, esiste il caso, cioè le cose che accadono casualmente. Non credo né alla fortuna, né a cose magiche che arrivano… Poi per quello che riguarda questo concetto, io amo il Piano Quinquennale (2015-2020) che ha dato giganteschi risultati, non ultimo in Cina, dove entro tre anni sconfiggeranno totalmente la povertà rurale. Quindi figuriamoci! L’organizzazione e lo studio delle strategie è fondamentale nella vita. Assolutamente vero…
M.D. – Allora la fortuna non esiste… Ma ci si prepara e si programma.
E.L. – Ci si prepara bene. Non si spreca il tempo in scemenze tipo droghe, fregnacce, stupidaggini, il divertimento conformista, ma si cerca di capire cosa si vuole dalla vita, ci si attrezza e ci si industria…
M.D. – E questo porta ad un successo?
E.L. – Assolutamente no, perché non c’è una garanzia, al contrario di quello che prospettano tutti questi ottimisti miliardari e figli della borghesia dei tempi moderni per cui c’è sempre il: “Tu impegnati e vedrai che ce la farai”, questo sogno americano del cavolo! Ce la farai se nella casualità sarai pronto a sfruttare le occasioni che andrai a cercarti (lo dice scandendo bene le parole che hanno in sé un peso critico ed un senso carico di riflessioni). E tu, nella casualità, devi essere attento proprio perché sei preparato a usufruire delle occasioni che casualmente possono trovarsi difronte, oltre a quelle che tu ti procuri con la tua azione preparatoria (parla come se dettasse a qualcuno pensieri e concetti già scritti nella sua testa). Quindi se sarai bravo a fare questo, hai buone possibilità di farcela… ma la garanzia non c’è mai. Ovviamente.
M.D. – E pensi che questo valga in particolare per l’Italia, o per la Francia, o l’Europa?
E.L. – Per il mondo. Io penso che l’essere umano debba organizzarsi sempre, capire dove vuole andare. Ognuno di noi ha obiettivi magari simili, ma non uguali: ognuno di noi è contento di fare delle cose. C’è gente a cui non interessa diventà scrittore, giornalista, no? Ed è felice di fare altre cose. Basta che quella cosa lo renda felice. Mi ricordo una frase di Gaber che diceva: “La vita è l’arte di organizzarsi”. L’organizzazione è fondamentale, soprattutto per chi arriva da ceti più popolari, meno agiati, perché se nun t’organizzi te freghi, te fregano! E chi arriva da ceti più agiati, e non è una colpa arrivare da ceti più agiati, basta che non sei un coglione e non rompi i coglioni per tutta la vita… chi arriva da ceti meno agiati è obbligato a organizzarsi bene, a evitare perdite di tempo. Non c’è la possibilità numero due. Bene o male ce n’è una… una e mezza!
M.D. – Quindi non c’è sempre speranza?
E.L. – Sai, la speranza uno la deve avere, ma non c’è la garanzia che tu ci riesca. Questa fregnaccia del sogno americano è una cosa odiosa e stupida fatta da quelli che ce l’hanno fatta per illudere che si stia in un sistema giusto, per cui… se tu non ce l’hai fatta è colpa tua! Capito? Pazzesca ‘sta cosa… ‘na roba veramente stupida. Stupida. Stupida come… le patatine fritte!
M.D. – Ma sono buone le patatine fritte!
E.L. – Sì… vabbé… Però, insomma…
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5. A cosa pensi, cosa provi nei momenti più duri quando hai tutti contro e le critiche si abbattono numerose? A quale forza ti sei aggrappato?
Enrico Lucci – (Mi guarda in silenzio).
M.D. – Devo ripeterla?
E.L. – Si, ma… non esagererei con ‘sta cosa che c’ho tutti contro, nel senso che…
M.D. – Ma sono domande standard, uguali per tutti gli intervistati!
E.L. – Allora questa è la mia risposta: quando qualcuno ha perso il suo tempo a criticarmi (ride ed io con lui), un po’ ci resti male, perché sei sempre colpito, quindi non bisogna fa’ finta di niente. Però ritrovo sempre il modo per ripartire, perché…
M.D. – Ma nelle difficoltà a cosa t’aggrappi? Cosa ti dà il coraggio di dire: “Chi se ne frega”?
E.L. – Guarda io quello a cui mi aggrappo sempre, e so’ sincero nel dire questa cosa, è che penso sempre che alla fine moriremo. Quindi, nulla è così drammatico, tranne… che so, il vivere male, avere profondi problemi, che so’ innanzitutto i problemi economici. Questa è la cosa fondamentale. E quelli di salute. Finora non ce li ho avuti quelli di salute e quelli economici li ho superati. Quindi… Io so’ felice tutti i giorni sostanzialmente.
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6. Cosa fa la differenza fra il decidere di intraprendere la via più tortuosa e, invece, il far finta di niente?
Enrico Lucci – Ma per me… non so se lo definirei il percorso più difficile. Probabilmente, poi, alla vista degli altri lo è, ma è l’unico percorso che esiste. È l’unico. Strada unica. Il resto non lo vedo. Magari, ecco, non voglio fare il duro e puro: adotto dei compromessi, limo. Odio l’idea della purezza… La vita è anche compromesso, basta che mantieni alto l’obiettivo verso cui tu vuoi arrivare. E per me, l’obiettivo mio è fare cose che al 90% condivido. (Comincio a leggere la domanda successiva) … E annullare totalmente tutte quelle che non condivido! (Lo dice con solennità e franchezza tali da strapparmi un sorriso).
M.D. – Ah! È importante, effettivamente. Complementare alla prima affermazione…
E.L. – Cioè, non ho mai fatto nulla che non abbia condiviso… mentre invece in quello che ho fatto, ho fatto pure dei compromessi utili per arrivare a delle cose (dice, abbandonando la solennità e riprendendo il tono colloquiale di prima), poi sono andato avanti, me so’ spostato da una parte, un po’ dall’altra… Non mi sento un guerriero puro che deve arrivare alla sua meta, integro, sai… questa visione un po’ machista e fasulla.
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7. Una grande pena, una grande apprensione o una grande paura, possono giustificare la defezione da una scelta che in determinate circostanze può rivelarsi fatale sia per se stessi che per la collettività? Fino a che punto ci possiamo scusare quando a pagare per la nostra inerzia è anche qualcun altro?
Enrico Lucci – (Gli chiedo se la devo ripetere, perché me la fanno ripetere sempre tutti questa domanda senz’altro scritta male! Ride e mi dice di sì. Gliela ripeto e la spiego meglio). No, non è scritta male! Le aggiunte che hai fatto… l’hai resa ancora più complicata! (E ride). Perché ‘sta cosa di non agire ci dovrebbe fare paura?
M.D. – Ma, prendi Falcone e Borsellino… se per paura si fossero astenuti dal perseguire i loro obiettivi… fino a che punto avremmo potuto scusarli quando sarebbe stata tutta la Sicilia a pagarne?
E.L. – Eh sì… certo! …Ma guarda, ti posso dire che dipende dal peso e dall’azione che stai combattendo. Sì, dipende se ne vale la pena. Falcone e Borsellino erano impegnati come Garibaldi, capito?, so’ cose… facevano delle cose gigantesche… e quindi sicuramente loro avranno avuto anche paura, ma non si son fermati davanti alla paura…
M.D. – E se si fossero fermati? Dovremmo condannarli visto che poi avrebbe pagato tutta la collettività?
E.L. – Nooo… e ‘o so’, ma è facile dire che è bello se inchiappettiamo la mafia e poi a morire so’ loro, cioè…
M.D. – Quindi se si fossero astenuti, sarebbe stato giustificabile.
E.L. – È giustificabile sempre. …io non avrei il loro stesso coraggio.
M.D. – Ma anche nelle piccole cose… Mi è venuto in mente perché mi è successo da poco… Se vedi ad esempio un tubo che perde per strada, anche se è solo acqua, che poi è una perdita per tutti, per il comune, per il mondo, tipo da un tombino…
E.L. – Io provo a chiamà subito qualcuno…
M.D. – A volte si passa, si guarda, ed è secc ante dover chiamare qualcuno, mettersi al telefono perché arrivino a riparare la perdita. Alla fine è più facile rientrare a casa e sperare che lo faccia qualcun altro…
E.L. – No, io ce provo… Aspetto i vigili.
M.D. – Oppure sei in ritardo, hai un appuntamento di lavoro in cui sarai assunto, uno di quelli che ti cambieranno la vita (in meglio) e, mentre stai andando, una signora anziana, davanti a te, cade e si rompe il femore. Tu che fai? Devi rimanere là…
E.L. – Lì pure… sì. Cioè mi sentirei ‘na merda. Mi sentirei ‘na merda ad andar via!
M.D. – O metti sotto qualcuno, sei un personaggio famoso e pensi che se lo porti in ospedale passerai dei guai perché sei famoso ma intanto quel poveretto, se non lo fai, muore…
E.L. – No, io ‘e responsabilità mie me le prendo sempre. Sì, sì. Sto attento, provo a fare bene la dichiarazione dei redditi, tipo al commercialista: non gli ho mai detto che voglio fregà in qualche modo, gli ho sempre detto “Guai a te se sbagli una cosa, io pago tutto”!… Ma questo non perché io voglia fare il buono. Basta: si fa. Se fa e basta! Non lo deve sapé nessuno. Basta. E’ ovvio che è così.
M.D. – Ma tu? Nei confronti di altri che per paura, seccatura, non ottemperano…
E.L. – Vabbé, ci possono essere molte ragioni, pure delle ragioni…
M.D. – E tu adotti un atteggiamento di tolleranza o di giudizio?
E.L. – Dipende da chi, che ne so… Non si può giudicare così alla leggera una persona… Io parto sempre dal dato economico: avere la possibilità di dire delle cose, aumenta anche con la tua condizione economica. Perché se io sono in un giornale e so’ appena arrivato, e se faccio una cosa scomoda mi inchiappettano, io n’a faccio, ed è giusto non farla! Poi quando sto a posto, me so’ comprato casa, sto tranquillo, allora aumento il margine di rischio.
M.D. – Quanto sono d’accordo con te! (Esclamo, pensando a quanto mi ritrovi nel materialismo storico delle sue analisi).
E.L. – Ma vedi se ‘n poraccio se deve prende la briga de rovinarsi la vita. Quello poi è rovinato… Uno che sta bene già da generazioni… dietro c’è sempre la cosa economica!
M.D. – E per quanto riguarda questi flussi migratori dall’Africa che provocano i più disparati atteggiamenti, tipo “non c’è posto per tutti”, perché forse in realtà non si sa che fare con tutti questi uomini che arrivano e che, se non arrivano, crepano in mare (intervista del 2017)?
E.L. – Ma io personalmente le mie responsabilità già me le assumo, perché pago molte tasse e voto quei tipi di governo che bene o male se ne occupano, quindi io voto quelli che aumentano le tasse a quelli come me, cioé io voto contro i miei interessi, perché il mio interesse reale è il mondo giusto. Perché se prima non c’avevo una lira e ora so’ benestante, dovrei passare dall’altra parte, dai liberali, tipo: ‘cavolo me ne frega a me del comunismo! Per quanto mi riguarda, a me che me ne potrebbe fregà ora? Sto tanto bene così? Perché me devo fa’ spennà da’ sinistra pe’ da’ i sordi ai migranti? Quindi io voto contro i miei interessi, ma sono felice di farlo perché il centro della mia vita non sono i miei interessi economici, ma il mio interesse che ci sia un mondo migliore. Punto. E penso che ‘sto mondo migliore lo devo pagà co’ ‘e tasse mie.
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8. Un mio conoscente conserva ben in mostra fra i suoi libri, nella libreria del suo salone, una copia di Mein Kampf. Davanti al mio stupore e alle mie domande ha spiegato seraficamente che si tratta dell’omaggio che i suoi genitori ricevettero il giorno del loro matrimonio in Germania, negli anni ’30, come si usava fare per le coppie di giovani sposi, e che per lui non si tratta che di un caro ricordo di famiglia, e niente di più. Pensi che la sua spiegazione e la sua scelta siano comprensibili e legittime?
Enrico Lucci – Se sta lì… Non gli darei più di tanto importanza. Basta che non ne fa un uso che… basta che lo tiene così, come un ricordo della madre e del padre. Pure mio padre era “Figlio della Lupa”, ma mo’ non è che glie devo da’ le sberle tutti i giorni (rido piegata in due) perché da ragazzino andava a fa’ l’idiota col fuciletto. (Ride pure lui) …per altro divertendosi, perché un bambino non capisce niente di quello che sta facendo!
M.D. – Ovvio!
E.L. – Il problema non era il bambino che giocava, ma l’allora capo di governo che… ripeto sempre la battuta di Troisi, visto che c’è sempre sta rottura di cavolo dei treni che arrivavano in orario, Troisi disse: “Ma invece di farlo capo del Governo, non lo potevano fa’ capo stazione?” (Ridiamo insieme). Secondo me è bellissima ‘sta battuta! Quindi, l’amico tuo lascialo ‘n pace. Cioé che te frega? Basta che capisce che quello è un libro de merda!
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9. Se non fossi te ma fossi un’altra persona e ti incontrassi e avessi occasione di conoscerti un po’, con che parole descriveresti Enrico? Che descrizione ne daresti?
Enrico Lucci – Guarda, molto semplicemente, io sono superbuonissimo con le persone buone e supercattivissimo con le persone cattive. Superdemocratico coi democratici, e stalinista coi fascisti (rido ancora piegata in due!).
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10. Se non fossi Enrico Lucci, chi vorresti essere?
Enrico Lucci – Io? Chi vorrei essere? Stalin!
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Domanda Personale. Cosa vuol dire per te essere coerente con le tue idee?
Enrico Lucci – Innanzi tutto la coerenza non è per niente legata al pensiero di “purezza”. La purezza è l’idea fascista dell’uomo “puro e indistruttibile” (dice, facendo il verso alla voce dei video giornali dell’Istituto Luce negli anni ’20) secondo principi eterni e inamovibili. Per me essere coerente significa osservare criticamente ogni giorno il mondo, le mie decisioni, le mie idee, e cambiarle quando mi sembra opportuno.
M.D. – Diceva Sartre: “È stupido sacrificarsi per dei principi”. L’importante è essere coerente con se stessi, ma poi si può anche cambiare idea: non devi fissare un grosso principio, là, come un pilastro girandoci intorno tutta la tua vita…
E.L. – Se poi quel principio ti sembra eterno, tienilo così…
M.D. – Lui diceva: “Lo devi stabilire ogni giorno, non puoi dire ‘per sempre’”.
E.L. – Esatto, esatto… Oggi per esempio essere comunisti come cinquant’anni fa sarebbe ridicolo. Ovviamente io uso la parola “comunista” che oggi significa anche tante altre cose… Oggi, che ne so, un imprenditore del nord che ama la sua azienda, che è bravo, che fa bene il suo lavoro, che paga legalmente i suoi dipendenti, pe’ me è un Che Guevara! (Rido tutta ammirata). Mi ricordo un imprenditore calabrese, poverino, che è morto, che era un omone, bellissimo, faceva parte di Confindustria. La ‘Ndrangheta gli aveva massacrato il padre, gli avevano buttato le teste di cane davanti all’azienda, gli avevano dato foco ai trattori, e lui, così, con le lacrime, che mi raccontava com’era preoccupato di non poter paga’ gli stipendi a chi non poteva lavorare là dentro… La prima cosa… Ma non lo diceva per compiacermi, no? Pe’ me quello, o Libero Grassi, sono Che Guevara! Quindi si deve capire oggi com’è il mondo, ed è giusto interpretare le cose per quelle che sono. Per questo mi piace Stalin, perché pur essendo spietato e durissimo, era uno che chiamava le cose con il loro nome. …Non ha grossi problemi a fare un patto di non aggressione con Hitler, perché sa che dopo tre anni lo schiaccerà come un verme. E lo fa!
Manuela Diliberto
*In copertina: Enrico Lucci, autore e conduttore televisivo romano, in un ritratto fotografico di Cristina Dogliani.