Vogliamo una poesia sulle prime pagine dei giornali
L'Editoriale
Il rimpianto del presente – vita-morte
È un ossimoro, il rimpianto del presente, eppure lo stato d’animo insegue Emily Dickinson molto presto: l’adolescente veste una precoce pensosità, una tendenza – anomala per l’età – a volgersi indietro. Vibra di malinconia alla sensazione che il meglio sia già passato o stia passando, proprio nell’istante in cui lo vive: “I fanciulli che eravamo sono sepolti e le loro ombre continuano faticosamente il loro cammino” scrive all’amica Abiah Root, a fine 1850.
Ha 20 anni, ma è poco più che bambina quando inizia a provarla, questa nostalgia insolita per cose ed esseri che l’incantano, o che le regalano abbagli di felicità. E sempre accompagnata al timore che – oscuramente o precocemente – il tempo possa inghiottirli come i fantastici “monelli cremisi” del tramonto, che vede inceneriti dal buio sopra il tetto di casa.
*
Il rimpianto del presente si fa canto d’assenza quando, una dopo l’altra, la vita le toglie presenze importanti. La Morte diventa allora un altro nome del confine – invalicabile ma più certo dell’ago nella bussola che punta il nord –, il territorio franco tra estasi e annientamento, sacro e profano, eterno e finito: “Certo dobbiamo valere meno della Morte, per poter essere dalla Morte diminuiti” (a Higginson, settembre 1877).
La morte è l’“oscuro Straniero” (gennaio 1878), il “compiacente Corteggiatore / che alla fine vince” (1445), perché tocca tutto e tutti senza distinzioni: “Le dita lunghe – democratiche – della Morte / Cancellano ogni Marchio” (970). È tanto libero che, scrive in una lettera, gela i fiori in giardino e ugualmente strappa alla vita la figlia di un domestico, il giardiniere dei Dickinson.
Soprattutto, la morte le ricorda che “La Felicità è innaturale” (a Catherine Scott Turner, fine 1859).
*
Il 5 ottobre 1883 l’“oscuro Straniero” visita di nuovo i Dickinson – l’anno prima era venuto per la madre: adesso è per il nipote Gilbert, figlio del fratello Austin e sua moglie Susan. Sue, per la famiglia e gli amici: con lei Emily ha avuto un intenso rapporto intellettuale e affettivo.
Il bambino ha otto anni: è stato suo pari, complice, compagno di giochi.
Nell’infanzia Emily ha sempre ritrovato le origini della poesia: facilità all’abbandono, fantasia, capacità visionaria. Desiderio d’amore: il “dolce lupo” che ferisce con zanne più profonde, perché è più avido nell’infanzia, prima dei ragionamenti. Ha sempre partecipato maliziosa e solerte ai giochi del nipote e dei suoi piccoli amici, ha favorito tutte le mascherate e incitato tutte le avventure dei bambini: ogni invenzione è insubordinazione alle regole, avventura e pericolo. Dalla sua finestra alla Homestead, la figurina vestita di bianco cala spesso un cestino pieno di cibo e frutta per la merenda degli ‘avventurieri’.
Alla morte di Gib – così lo chiamano in casa –, Emily è atterrita dalla violenza del vuoto: per la prima volta in 15 anni esce di casa, corre agli Evergreens, la casa del fratello e Sue. Non uscirà mai più dalla Homestead.
Appena trova la forza, intinge la penna nell’inchiostro e scrive alla cognata Sue: “Gilbert godeva dei segreti – la sua vita ne era come ansimante. Con che minaccia di luce gridava “Non dirlo, zia Emily!” … Ora il mio compagno di giochi asceso al Cielo deve istruire me… Non conosceva momenti avari – la sua vita era piena di tesori – i giocattoli dei dervisci erano meno stravaganti dei suoi… Lo vedo nella stella e ritrovo la sua velocità in ogni cosa che vola… Perché avrebbe dovuto aspettare, se ha lasciato a noi la notte…”.
*
Morto Gilbert, la sua poesia sconfinerà sempre più con una dimensione cosmica dove lei sembra esercitarsi – ogni giorno – in ricerca misteriosa, scambio di segni che tentano di ricostruire un ordine nuovo, di là dalla vita e dalla morte: “l’assenza del Mago non / Rompe l’Incantesimo” (1383).
Inizia a vivere trincerata in una solitudine totale, in “intimità con il mistero”, ormai abituata al commercio con “una sontuosa Afflizione” (1382), la consapevolezza di essere rimasta indietro, sola. Perché la morte è
come un volo d’uccelli verso il Sud
prima che venga il ghiaccio,
a cercare latitudini migliori –
e noi siamo gli uccelli che rimangono (335).
*
Dopo pochi mesi, è la scomparsa del giudice Lord (13 marzo 1884) a derubarla dell’ultimo, amatissimo, complice e amico. E allora Emily è tentata di lasciarsi andare e partire come il pettirosso, la cui femmina tries her Wings “prova le ali” e abbandona il nido quando il suo compagno è scomparso:
Quand’è vuoto, quand’è muto,
Il Pettirosso chiude a chiave il Nido, e prova le sue Ali.
Non conosce la Via
Ma si mette in Viaggio
Verso vociferate primavere – (1606)
*
L’ondulare dell’ala contro l’orizzonte disegna il volo – degli uccelli, degli auguri e delle nuvole, dell’aquila – o un simbolo: il finito terrestre e mortale che si eleva all’infinito eterno. La lingua è quella di un oracolo.
“Sapessi pregare, (…) ma sono pagana…” confessa. E pagano è anche questo rimpianto cocente dei sopravvissuti, dei vivi, per chi non c’è più: “non esiste tormento simile a quello che si prova per coloro che amiamo, (…) non esiste gioia pari a quella che lasciano dietro di sé, sigillata, ma Morire è come una Notte Selvaggia e una nuova Strada” (ottobre 1869).
*
Il rimpianto del presente si è perduto in quella notte, lungo quel cammino al buio. È la virata nell’atteggiamento verso vita e morte: il presente non ha più consistenza né peso, è solo una serie di giorni che si scavalcano l’un l’altro, in vista di un ‘altrove’ che ripristini almeno in parte un equilibrio.
A quell’equilibrio si tende, impassibile e vorace. Oltre il “bianco nutrimento” della disperazione (640), Emily è infatti sicura della possibilità di una svolta, il respiro diverso ma non sottratto: “Sono certa che rivedremo quelli che più abbiamo amato. È dolce pensare che sono al sicuro di là dalla morte, e che non ci resta che oltrepassarla per riavere i loro volti” (febbraio 1870). Anche se l’amore è lascito ambiguo:
Tu mi lasciasti, amore, due retaggi:
Un retaggio d’amore (…)
E mi lasciasti regni di dolore –
Capaci come il mare,
Fra l’Eterno e il Tempo –
La tua presenza e me. (644)
*
Lui, sua madre, Gilbert, adesso li dovrà cercare in alto, oltre la scia della cometa. Con momenti visionari e ricadute nello sconforto, il vuoto annichilente dell’assenza, lo sgomento, il cuore “che si spaura”. La scomparsa di Lord le mostra “l’immortalità / Trincerata in una stella” (1525), e in una lettera all’esecutore testamentario dell’uomo che amava Emily acclude alcuni suoi versi. Vuole che quelle sue parole scortino Lord nel suo cammino celeste:
Parti per il tuo viaggio sconfinato!
Le Stelle che incontri
Sono simili a Te –
Non è forse ogni Stella un Asterisco
A indicare una Vita umana? (1638)
*
Abbraccia la solitudine con fervore di mistica: l’esclusione volontaria imita la silenziosa pazienza notturna del ragno che tesse “arazzi invadenti” in ragnatele, proprio come lei srotola i “fili di perla” della sua poesia (605). Sprofonda in sé, sottratta al mondo ma pronta ad accogliere gli assalti dell’invisibile.
Da un certo punto in avanti, per lei esistono solo lo spazio chiuso della sua stanza e l’immenso spazio aperto dell’anima: “Ci lasciano in balia dell’Infinito / Vasta è l’Eternità” (350).
L’immortalità di ogni giorno – la poesia – è un ponte gettato sul vuoto, “seconda vista” che trasforma la natura, il giardino, la stessa casa in immagini visionarie – “segretezza polare”. Le cose perdono i confini, diventano altro, metafore continue. Lei le nomina per sconvolgerle e ricreare nuove simmetrie, nuovi rapporti, solo suoi.
Lo spazio della visione si scompone e sovrappone al reale, spalanca una geografia favolosa di orizzonti privati: un leopardiano “andare lontano” in silente naufragio è la sua misura. Un modo di vivere diverso in “finita immensità”: “la Vita è Miracolo e la Morte, [è] innocua come un’Ape, fatta eccezione per quelli che fuggono” (a Higginson, settembre 1864).
*
Il rimpianto del presente si rovescia di senso, ed Emily lo scaglia come un funambolo verso e oltre il futuro. Continua a scriverne, a parlarne anche con le amiche, sembra un’invasata, gli occhi rivolti ormai solo a quella dimensione. Acclude versi in una lettera a Elizabeth Holland:
La Vita che abbiamo è molto grande.
La Vita che vedremo
Ancora più grande, (…) perché
È Infinito. (a E. Holland, ottobre 1870)
Mentre la fine si avvicina, lei sembra acquisire una ‘doppia vista’, salire da stambecco per più ardue cime, aprire l’anima a “istanti superiori / Che la colgono – sola”. Sgomento ed esultanza, questo “mortale annullamento” è vago “come un’apparizione / al servizio dell’aria”. Ha la “forma smisurata / dell’Eternità” (306)
*
Alla sua morte – il 15 maggio 1886 – è Sue, la cognata e amica a cui è stata legata in sorridente connivenza di ragazze con tanti sogni – “noi due, noi i soli poeti” – è Sue a comporre il vibrante necrologio che appare senza firma il 18 sul giornale cittadino: “La sua arguzia era come una lama di Damasco scintillante al sole. La sua fulminea estasi lirica somigliava alla nota prolungata di un cantore nei boschi di giugno, a mezzogiorno: lo si ascolta, ma non lo si può vedere”.
Il rimpianto del presente – eterno – l’ha presa con sé.
Paola Tonussi