26 Aprile 2022

Lo scrittore nell’era atomica. Elsa Morante: un j’accuse da leggere in questi terribili giorni

Qual è il ruolo dello scrittore? Di che cosa si deve occupare? Che cosa gli sta veramente a cuore? Da sempre, in Italia, confondiamo gli scrittori con i letterati. Lo scrittore è proprio il contrario del letterato. Lo scrittore – che significa prima di tutto poeta – è “un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura”. Ovvero la realtà. Lo scrive, tra il 1964 e il ’65, una matura Elsa Morante – “il volto paffutello, gli occhi dolci e un po’ torbidi, esperta di civetteria e fondamentalmente innocente” (come descrive Garboli la scrittrice nata a Roma nel 1912) – nel vibrante saggio Pro o contro la bomba atomica (all’interno della raccolta di scritti a cui presta il titolo pubblicati in volume dalla Piccola Biblioteca Adelphi, nel 1987, con prefazione a cura di Cesare Garboli). Un J’accuse da leggere proprio in questi terribili giorni.

Viviamo (e vivevamo) nell’era atomica. Partiamo dall’incipit, esplosivo: “Allora non c’è dubbio che il fatto più importante che oggi accade, e che nessuno può ignorare, è questo: noi, abitanti delle nazioni civili nel Secolo Ventesimo, viviamo nell’èra atomica. E veramente, nessuno lo ignora: tanto che l’aggettivo atomico viene ripetuto in ogni occasione, perfino nelle barzellette e sui rotocalchi. Ma, riguardo al significato pieno e sostanziale dell’aggettivo, la gente, come succede, se ne difende, per lo più, con una (del resto, perdonabile) rimozione. E anche quei pochi che riconoscono l’effettiva minaccia che esso significa, e se ne angosciano (e per questo, magari, vengono considerati dagli altri dei nevrotici, se non dei matti) anche quei pochi, però si preoccupano piuttosto delle conseguenze del fenomeno, che non delle sue origini, diciamo biografiche, e dei suoi riposti motivi”.

Il punto nevralgico, ieri come oggi, è la coscienza. Interrogarla. “Pochi, insomma, domandano alla propria coscienza (mentre proprio qui forse è la vera «centrale atomica»: nella coscienza di ciascuno)”. La seduzione scientifica sembra aver sopraffatto quella immaginativa. La crisi contemporanea radica nella deviazione che ha preso l’intelligenza umana, verso la “disintegrazione”. L’intelligenza umana, “sempre in cerca di nuove avventure”, ha preso “un sentiero buio fra altri sentieri bui”. Il germe del cupio dissolvi è nato con la stessa specie umana e si è sviluppato con lei. “È nota, e ormai volgarizzata, la presenza simultanea nella psicologia umana dell’istinto di vita (Eros) e dell’istinto di morte (Thànatos)”. La disintegrazione, secondo la Morante, è prima di tutto quella della coscienza, garantita anche dalle religioni, “per mezzo dell’ingiustizia e demenza organizzate, dei miti degradanti, della noia convulsa e feroce”. La disintegrazione della coscienza umana è sotto gli occhi: un disastro assai vistoso, “accusato e registrato continuamente in saggi, conferenze, trattati”.

La predica feroce di Elsa Morante non è “contro la bomba”. Ma ragiona del contrario di tale disintegrazione. “Eccola: l’arte è il contrario della disintegrazione. E perché? Ma semplicemente perché la ragione propria dell’arte, la sua giustificazione, il solo suo motivo di presenza e sopravvivenza, o, se si preferisce, la sua funzione, è appunto questa: di impedire la disintegrazione della coscienza umana, nel suo quotidiano, e logorante, e alienante uso del mondo; di restituirle di continuo, nella confusione irreale, e frammentaria, e usata, dei rapporti esterni, l’integrità del reale, o in una parola, la realtà (ma attenzione ai truffatori, che presentano, sotto questa marca di realtà, delle falsificazioni artificiali e deperibili). La realtà è perennemente viva, accesa, attuale. Non si può avariare, né distruggere, e non decade”.

Gli scrittori non sono letterati già, ma neppure “scriventi”, personaggi più o meno consapevoli (riconoscibili a ben vedere anche ai nostri giorni) di questa disintegrazione. “C’è una quantità di persone che scrivono, e stampano libri, e si potranno distinguere chiamandoli genericamente scriventi. Alcuni di loro sono semplici strumenti del sistema: strumenti, però, di importanza assai secondaria al confronto di altri, quali gli scienziati della bomba. Le stanze, gli uffici di questi scriventi si possono considerare delle minime succursali degli stabilimenti nucleari veri e propri”. Gli scriventi non sono molto amici degli scrittori. “Tutti questi scriventi, in generale, s’incontrano di rado con lo scrittore; e le volte che s’imbattono in lui, lo trattano, secondo i casi e le persone, in modo diverso: chi da maledetto, chi da sognatore, chi da cantastorie, chi da aristocratico, chi da parente povero, chi da sovversivo, ecc. ecc. È facile intendere che lo scrittore non può trovare molti compagni suoi, nel sistema. Ma comunque lo scrittore, per sua natura, è portato a non appartenere a nessuna società determinata, a nessun gruppo o categoria, ecc. Il suo destino lo inclina piuttosto all’avventura, ma, del resto, la realtà in se stessa è una straordinaria avventura”.

Lo scrittore, se vuole essere tale, anche oggi è chiamato a occuparsi della realtà. Senza quella “certa perplessità” che l’argomento scelto da Elsa Morante aveva pur suscitato in qualcuno. Sembra evidente – oggi come negli anni ’60 – che “nessun argomento, oggi, interessa, come questo, da vicino, ogni scrittore”. Tutto il resto è letteratura, diceva qualcuno.

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