26 Luglio 2021

Famelici del miracolo. Odisseas Elitis, il poeta solare

Perfino nei relitti del nome c’è il vagabondaggio e l’elitismo, l’aristocrazia omerica del viaggio, una specie di nostalgia iliadica. L’8 dicembre del 1979, Odisseas Elitis stupì tutti: nel discorso che guarniva la cerimonia di premiazione del Nobel per la letteratura, non s’impegolò nell’impegno civile, né nei dintorni di una qualche etica lirica. Citò Pindaro e Romano il Melode, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e ortodossa; parlò, soprattutto, del sole e della luce; “mi sia permesso di parlare in nome della luminosità e della trasparenza”, così aveva attaccato. “Proprio perché i tempi sono oscuri dovremmo avere una visione più ampia, più luminosa delle cose”, disse; e disse che il poeta è come “i pittori di icone bizantine, che usando il mero colore riuscirono a suggerire il ‘divino’”.

Elitis era nato a Creta, nel 1911, era stato folgorato dalla poesia leggendo Paul Eluard, si affiliò, giovanissimo, a un gruppo di surrealisti greci, ‘formati’ da Breton. A Parigi riuscì ad approdare nel 1948, per alcuni anni, conoscendo René Char, Henri Michaux, Picasso, Ungaretti, De Chirico… Durante la Seconda guerra aveva combattuto in Albania. Tutt’altro che un mero prosecutore di pratiche liriche francesi, Elitis – di cui va menzionato il legame estetico con Mikis Theodorakis, che comporrà un oratorio da alcuni suoi testi – “riaprì alla poesia greca spazi di gioia e di entusiasmo, di vitalità e di godimento sensoriale che la lunga stagione del crepuscolarismo e l’angoscia esistenziale di Seferis le avevano in larga parte precluso” (si legga il suo profilo in Poeti greci del Novecento, a cura di N. Crocetti e F. Pontani, Mondadori 2010). Mescolò l’audacia surrealista alla potenza solare, solatia, degli omerici, Elitis, insieme a Ghiannis Ritsos e Ghiorgos Seferis il grande poeta greco del secolo scorso.

“Bellezza, Luce: capita che le persone li considerino concetti obsoleti, insignificanti. Il balzo interiore necessario per avvicinarsi alla figura dell’Angelo è, a mio avviso, infinitamente più doloroso dell’altro, che avvia la nascita di Demoni di ogni tipo. Certo, c’è l’enigma. Certo, esiste il mistero. Ma il mistero non è un gioco teatrale che sfrutta il labirinto di luci e ombre per impressionarci. Il mistero permane nella luce. Solo allora acquista quel fulgore che chiamiamo Bellezza”. Così epigrafico, forse anacronistico, da possedere una intransigente presenza, Elitis collezionò incarichi, premi, libri. Dignum est (1959) ha l’ampiezza del canto nazionale, intimità – “La lingua mi fu l’unica cura sui lidi d’Omero” – che deflagra in inno. Morì nel 1996; nel ’79, nei “Quaderni della Fenice” Guanda, Nicola Crocetti traduce una delle sue raccolte di successo, Sole il Primo. Nell’introduzione si ricalcano parole che spiegano l’indole di Elitis, “Considero la poesia una fonte d’innocenza colma di risorse rivoluzionarie. La mia missione consiste nel dirigere queste forze contro un mondo che la mia coscienza rifiuta di accettare, esattamente in modo da rendere quel mondo, attraverso continue metamorfosi, più in armonia con i miei sogni”. Oggi le Poesie di Elitis si leggono in un libro di pregio, edito proprio da Crocetti, a cura di Filippomaria Pontani: è come fare ingresso in una grotta di luce; nell’Ode a Picasso, il poeta scrive un verso di rivoltosa semplicità, “è una cosa importante l’uomo solo a pensarci”.

Morì nel 1996, Elitis, il poeta del sole. Il breve discorso a Stoccolma, dopo quello ufficiale, lo tenne in francese, “Il viaggio di Odisseo, di cui porto il nome, sembra non avere mai fine, e questo è bello… Siamo tutti imprigionati dalla fame di capire il ‘miracolo’, di credere che esso accada, così come ce lo attendiamo. In quarant’anni consacrati alla poesia, non ho fatto altro. Ed eccomi qui, oggi, con poche parole greche tra le mani: hanno tremila anni, eppure sono nuove, appena estratte dal mare, tra i sassi e le alghe dell’Egeo”. Affiliato al miracolo, un frantume, il poeta parla lingue millenarie, tradotte al futuro.

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Morte e resurrezione di Costantino Paleologo

I

Ritto com’era dinanzi alla Porta e inespugnabile nel suo dolore

Lontano dal mondo che la sua anima voleva calcolare sull’ampiezza del Paradiso   E anche più duro della roccia, mai l’avevano guardato con tenerezza – a tratti i suoi denti storti biancheggiavano in modo strano

E come passava il suo sguardo un poco sopra gli uomini e tra tutti ne sceglieva Uno   che gli sorrideva   il Veritiero   che la morte non ghermiva

Stava attento a pronunciare con chiarezza la parola mare così che brillassero dentro di lei tutti i delfini   E la desolazione grande così che vi entrasse Dio   e ogni singola goccia così che salisse saldamente al sole

Ancora giovane aveva visto l’oro brillare e spegnersi sulle spalle dei grandi   E una notte   ricorda   durante una gran tempesta gemette la gola del mare al punto da intorbidarsi   ma non si accontentò di stare lì

Il mondo era pensate da vivere ma per un po’ di fierezza ne valeva la pena.

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Diario di un invisibile aprile

Mercoledì 1

Di continuo i cavalli masticano lenzuoli bianchi e di continuo incedono trionfanti dentro la Minaccia.

Querce, faggi, roveri: li odo trascinarsi sul tetto dell’antica carrozza in cui mi sono gettato poco fa per andar via. Recitando di nuovo un film girato un tempo di nascosto e invecchiato senza che nessuno l’abbia visto.

Svelti. Prima che sbiadiscano le immagini. O si fermino improvvisamente – e si spezzi il nastro rovinato.

*

Giovedì 2, c

Ho sistemato i miei libri sugli scaffali, e nell’angolo un’Angelica addolorata.

Il quantitativo di bellezza che mi spettava è finito, l’ho esaurito tutto.

Così voglio che mi trovi il prossimo inverno, senza fuoco, coi calzoni a brandelli, a mescolare fogli non scritti come se dirigessi l’orchestra assordante di un ineffabile Paradiso.

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Domenica 5, b

La fine di Alessandro

Ripiegò le quattro stagioni e rimase come un albero cui manca l’aria.

Poi tornò a sedersi e con calma collocò l’abisso accanto a sé.

Dall’altra parte squadernò attentamente un pezzo di mare, tutto raffiche azzurre.

Passarono ore finché, a un certo momento, le donne iniziarono a fare gli occhiolini.

Allora entrò la Signora e lui spirò.

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Giovedì 7 m.

A tal punto non penso nulla e nulla mi commuove, che il tempo ha preso coraggio e mi ha abbandonato in mezzo al mare di Creta.

Sono diventato vecchio di mille anni e uso ormai la scrittura minoica con tale agio che la gente si stupisce e crede al miracolo.

La fortuna è che non riesce a leggermi.

Odisseas Elitis

*Per gentile concessione si pubblicano alcune poesie tratte da: Odisseas Elitis, “Poesie”, Crocetti, 2021

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