Una è falsa (anche se ha tutte le caratteristiche per sembrare verosimile), l’altra invece è testimoniata, documentata con abbondanza attraverso l’unicità dell’arte, quella di saper comunicare senza l’utilizzo delle parole. Ma vista l’età anagrafica – oggi ne fa 96, 70 li ha vissuti con la corona in testa che, checché se ne dica, ha pur sempre un certo peso –, è probabile (e verosimile) che le abbia dismesse entrambe.
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La prima riguarda quello che tu lettore stai facendo in questo momento: leggere, lettura, letteratura, storia. A rivelare questa passione di Elizabeth Alexandra Mary, esattamente 15 anni fa per Adelphi, è stato l’ottimo Alan Bennet in un libricino di 100 pagine e qualcosa, nulla di impegnativo. Si intitola La sovrana lettrice: se vi capita tra le mani, potrete ricredervi sulla sua personalità apparentemente algida (che non si scioglie nemmeno al sole).
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Succede che Her Majesty, un giorno come tanti altri, incroci una biblioteca ambulante che stranamente è parcheggiata davanti alle cucine reali. Lì dentro vivono il bibliotecario e un inserviente, giovanissimo e imberbe, impegnato a leggere. Si chiama Norman ed è, si scoprirà, un “figlio della Luna”. Elisabeth II chiede in prestito un volume. E si accende la miccia: come una febbre, la passione in lei inizia piano piano a crescere. Quando è matura (sia la fiamma per la lettura che lei stessa – Alan Bennett la “ferma” attorno agli 80 anni) e ha bottinato qualche autore di ottimo lignaggio e sostanza (Hardy, Forster, McEwan, Ishiguro, Nabokov, Roth), a una cena di gala come tante – e quindi pallosissima – chiede al Presidente francese se ha mai letto Jean Genet e poco dopo domanda al Ministro degli Esteri se ha sfogliato Marcel Proust.
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“Dite tutta la verità, ma ditela insinuandola: l’importante è girarci attorno” dice, con accento inglese (che ovviamente si può solo immaginare: il libro di Bennet è tradotto in italiano) a un certo punto Elisabetta II. “Chi mai può essere al di sopra della letteratura? Sarebbe come essere al di sopra dell’umanità”.
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“La lettura è disordinata, dispersiva e sempre invitante. Il ragguaglio esaurisce la questione, la lettura la apre” azzarda sempre lei, quasi fosse una Oscar(a) Wilde. Perché Elisabetta è letteratura, odore di polvere tra le pagine, copertine ingiallite, occhi stanchi che si sono persi negli interstizi bianchi che separano le parole.
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Non è certo al 100% ma ci si va vicini quando si fa combaciare la figura del Primo Ministro del Regno Unito che compare nel libro con l’altezza e i tratti somatici di Tony Blair: Alan Bennett lo definisce come un uomo d’azione ma di scarsa cultura, che pensa al futuro senza aver fatto tesoro delle esperienze storiche.
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“Quando cominciamo un libro lo finiamo. Ci hanno educate così. Libri, purè, pane e burro: bisogna finire quello che c’è nel piatto. Del resto i libri, come certo saprà, è raro che inducano ad agire. In genere confermano solo quello che, magari inconsapevolmente, si è già deciso di fare. Si ricorre ad un libro per avere conferma delle proprie convinzioni. In altri termini per chiudere un capitolo – per declinare l’invito a entrare nella gabbia dei leoni neri”. La Magnifica Sovrana, dopo aver scoperto quegli oggetti strani che sono i libri, non può più farne a meno e cerca di trasmettere il virus della lettura a chiunque incontri sul suo cammino.
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Poi Sua Maestà, verso la fine, riaccende la luce, prende un taccuino e annota, con estrema precisione: “Non si mette la vita nei libri. La si trova”.
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Vi è invece la certezza che ami molti i cavalli, i cani (i Pembroke Welsh Corgi) e la fotografia. Come Gerda Taro, anche Lilibet si è cimentata spessissimo con le Leica (ovviamente customizzate, quindi con inciso il Monogramma Reale sul top della macchina), portando avanti una tradizione familiare: il trisnonno Albert, quello che poi è stato il marito della Regina Vittoria, era appassionato di foto e fu il patrono della celebre Royal Photographic Society. Il papà di Elisabetta II, Giorgio VI, vista la royal tradizione, donò alla piccola figlia una comoda e compatta Kodak Brownie.
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Forse può essere derubricato a letteratura ma pare che la Regina sia stata una dotta “consulente” in materia di immagini: Cecil Beaton le chiedeva spunti sulle inquadrature e sulle pose. L’attento David Montgomery, chiamato a scattarle qualche foto, ebbe l’accortezza di darle carta bianca sulla posa. Lei si acciambellò davanti al camino. Annie Leibovitz osò chiederle di togliersi la corona perché “appesantiva” il servizio e di tutto punto la Regina replicò piccata: “Ha in mente chi sono io?”. Brian Aris, un fotografo con gli attributi (s’era fatto il Vietnam e l’Africa assetata e affamata) davanti a lei si emozionò e con un gesto disattento stava per far cascare a terra la sua Hasselblad “cavallettata” (il medio formato richiede spesso il cavalletto, specie in studio). Un assistente riuscì ad evitare il disastro e Aris scattò “fermandola” mentre rideva di gusto, a bocca aperta. Lei scelse esattamente quello. Con Jane Brown, che si presentò a Palazzo senza compagnia né assistenti, fece di più: montò lei stessi i pannelli e i sostegni per le attrezzature.
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Se, come dice la stessa sovrana di Bennet, “la letteratura è un Commonwealth” e “le lettere sono una Repubblica”, cos’è la fotografia?
Alessandro Carli