07 Aprile 2020

Avessimo noi una Regina Elisabetta… Il discorso del 2020 e quello del 1940, fatto da ragazzina: “E quando verrà la pace, ricordatevi che starà a noi, ai bambini di oggi, fare del mondo di domani un posto migliore e più felice”

Ministri della sanità statunitensi che invocano Pearl Harbor. Olandesi mercantilisti impegnati a mangiare margarina sbavando su funghetti allucinogeni mentre cercano di capire se va davvero a picco l’industria di papaveri e allora forse bisogna aiutare il sud Europa, dove peraltro i tedeschi in latitanza sono pronti a far man bassa di piccole e medie imprese una volta che sarà tutto finito. Scenario degno di Pynchon giovane: un iperromanzo che va avanti con la forza di un’accelerazione.

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Tornando coi piedi per terra, la regina Elisabetta ha parlato alla nazione, date le circostanze irripetibili. Gli esperti ci insegnano che solo in occasione di eventi irrazionali (del genere morte di Diana e guerra del Golfo) la regina prende la parola rivolgendosi ai Britannici in tempi lontani dal consueto discorso natalizio.

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2020: il discorso della regina Elisabetta II…

Di là dalle notizie rimbalzate di qui a lì sui banchi giornalistici, è andata così: ha costruito un discorso degno di oratoria più che di retorica. È andata subito al dunque: È in un momento di prova sempre più sfidante che vi parlo. Un tempo di spaccatura per il nostro paese: spaccatura che ha recato dolore ad alcuni, difficoltà finanziarie a molti e cambiamenti enormi alle vite quotidiane di noi tutti. Dopodiché ha realisticamente ringraziato il servizio sanitario nazionale che riporterà tutti quanti ai tempi normali. Fin qui discorso levigato da Dickens e prima palla in buca, Sir.

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Poi però c’è stato un crescendo. Primo sblocco emotivo: Spero che negli anni a venire ognuno sarà in grado di avere un punto di orgoglio per come ha affrontato questa sfida… l’orgoglio per chi siamo non è cosa del passato: definisce il nostro presente e futuro. E qui mise-en-abyme: Anche se l’autoisolamento spesso si rivela difficile, molti con molte fedi o con nessuna fede stanno scoprendo di avere l’opportunità di rallentare, fare una pausa e riflettere, in preghiera o meditazione. Mi sovviene della primissima registrazione che feci, nel 1940, aiutata da mia sorella.

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La regina ha ripensato a un giorno di ottobre 1940 quando Londra era sotto le bombe tedesche da un mese; Quisling si era insediato in Norvegia manovrato come un fantoccio da Mangiafuoco-Hitler; Mussolini aveva eroicamente, si fa per dire, bombardato Gibilterra (qui siamo veramente a V di Pynchon); ciliegina sulla torta, il Regno Unito aveva appena ceduto le basi oltremare agli USA in cambio di qualche incrociatore. Insomma l’impero era agli sgoccioli: ciononostante moltissimi dovettero emigrare nelle colonie per prestare servizio. Per dire, tutti quelli con uno straccio di laurea a Oxford e Cambridge furono reclutati dall’intelligence (leggere l’articolo The silent war di Greene) e c’erano torme di bambini lontani dai loro genitori, finiti in Indocina a decifrare cablogrammi.

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1940: il primo discorso di Elisabetta

In quel contesto, Elisabetta parlò da quattordicenne as children do, rivolgendosi ai bambini per farli sentire grandi.

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Oggi i bambini sono separati non tanto dai genitori ma dai loro amici e dalle loro amiche e credo siano loro i piccoli eroi della situazione anche se la regina non l’ha detto esplicitamente. Ma si capiva benissimo che dopo il servizio sanitario lei parlava ai bambini.

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Quel discorso del 1940 era evidentemente frutto di maquillage di palazzo ma ci sono squarci di sincerità: Migliaia di voi hanno dovuto lasciare le loro case ed esser separati dai loro padri e dalle loro madri. Mia sorella Margaret Rose ed io proviamo qualcosa per voi, proviamo così tanto perché sappiamo per esperienza cosa significa stare lontani da chi amiamo di più.

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Cosa scatta nella testa di una sovrana da indurla a ricordare i tempi di guerra? Quando diceva da ragazza: Sappiamo, tutti noi lo sappiamo, che alla fine tutto andrà bene. Dio ha cura di noi e ci darà vittoria e pace. E quando verrà la pace, ricordatevi che starà a noi, ai bambini di oggi, fare del mondo di domani un posto migliore e più felice. Mia sorella è a fianco a me e tutte e due vi auguriamo buona notte. Vieni Margaret. Buona notte bambini. Buonanotte e buona fortuna a tutti.

I bombardamenti notturni durarono ancora due settimane.

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Ecco perché ieri si è ricordata della sua prima registrazione. Ha riacquistato l’occhio infantile, se posso esprimermi in modo poco ortodosso. Ha riprovato le sensazioni dell’infanzia: confuse, caotiche, i bambini lontani dai genitori.

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Il colpo finale al tavolo da biliardo, la lontananza: Oggi, ancora una volta, molti proveranno un doloroso senso di separazione da coloro che amano. Ma ora come allora sappiamo giù nel profondo che questa è la cosa migliore da fare.

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E poi il twist retorico: Anche se abbiamo affrontato altre sfide, questa è diversaQuesta volta ci uniamo a tutte le nazioni del mondo tenendo uno stesso comportamento, usando i grandi strumenti della scienza e la nostra istintiva compassione a lenire i dolori. Ci riusciremo – e quel successo apparterrà a ognuno di noi. Dovremmo trarre un sospiro di sollievo perché anche avendo davanti molti giorni di sopportazione, verranno tempi migliori.

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In sostanza il discorso è stato strutturato così: esordio elegante – ringraziamento di sostanza – analessi (discorso 1940) – comparazione col presente – slancio – chiusa. Verranno tempi migliori. Ma per ora, mando i miei ringraziamenti e i più calorosi buoni auguri a voi tutti. 

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Il fatto è che la nostra tradizione è diversa, più parlamentare, purtroppo. Se volete infliggervi una sana lezione di retorica italiana, leggete i discorsi di Parole al potere editi per Bur da Pedullà, che comunque servono per intendere anche la Costituente e giù fino alla discesa in campo. Altrimenti, se volete intuire la visione inglese, passate direttamente a Tempi difficili o a David Copperfield di Dickens. Credetemi, non sono favole ma dure realtà. (Andrea Bianchi)

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Un vuoto, attraverso il quale i guerrieri della poesia e della storia marciano in file maestose che paiono interminabili e che cosa viene dopo nel mio ricordo? Io sono quel capo-classe, lo riesco a vedere! Eppure quel marmocchio che vedo, il fantasma del mio passato, non mi pare abbia nulla in comune con me: lo ricordo come un essere abbandonato sulla strada della vita – come qualcosa cui sono passato accanto, piuttosto che non sia veramente stato… (C. Dickens)

 

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