Di Elio Pagliaraniamo “Lezione di fisica”, edito da Scheiwiller nel 1964, in un cerchio di anni decisivi per la poesia italiana, a leggere la lista dei libri, tutti diversamente emblematici (a casaccio: Mario Luzi pubblica “Nel magma” nel 1963, Vittorio Sereni si appresta a pubblicare “Gli strumenti umani”, che esce nel 1965, lo stesso anno in cui Giorgio Caproni licenzia “Congedo del viaggiatore cerimonioso”; Zanzotto nel 1962 ha pubblicato “IX Ecloghe”, Giovanni Raboni stampa “L’insalubrità dell’aria” e Pier Paolo Pasolini “Poesia in forma di rosa”). Insomma, i poeti tentano di dire un mondo nuovo con parole nuove, tra esperimenti e verbi statuari. Pagliarani raccontò il suo lavoro lirico nella ‘voce’ pubblicata sull’“Autodizionario degli scrittori italiani” (1990): “contro i prudenti e i benpensanti in letteratura, contro i compitini dei bellettristi, contro un impegno ideologico meramente asseverativo”, al poeta “pareva sufficiente un imperterrito impegno sul linguaggio, e un lucido smagato rapporto col presente… E tenne duro sul rapporto comunicativo e, poundianamente, sulla funzione sociale della letteratura, a prescindere da ogni intenzionalità”. Citava Ezra Pound, inesorabilmente, Pagliarani. Mi piaceva, appunto, la parte finale di quella poesia, “Lezione di fisica” – dove la poesia è ‘lezione’, lettura, anzi tutto, e la ‘fisica’, al di là di un rapporto informale con la scienza (grave di virtù e di orrori), riguarda anche il ‘fisico’, il dato primo, corporeo, dell’uomo.
“Ma cosa credi che non sia stufo anch’io di coabitare con me la mia faccia la mia pancia anche in noi c’è dentro la voglia di riassuefarci alla gioia, affermare la vita col canto
e invece non ci basta nemmeno dire no che salva solo l’anima ci tocca vivere il no misurarlo coinvolgerlo in azione e tentazione perché l’opposizione agisca da opposizione e abbia i suoi testimoni”
Mi pare che tra il No alla storia e il Sì alla vita ci sia il sussurro mai ingenuo del poeta. Ecco, Elio Pagliarani è il poeta della vita contro la morte. Della vita autentica (estetica, etica, politica), non della mera vitalità; all’opposto della mortificazione degli intellettuali, delle astrazioni in forma di ghigliottina, del cervello fatto a fette, fattosi merce. In circostanze pubblico – un incontro, a Rimini – Andrea Cortellessa, che ha curato “Tutte le poesie” di Pagliarani per il Saggiatore e il nuovo numero, monografico, dedicato al poeta, de “Il Verri”, mi segnala la poesia su Pasolini. La poesia è stata pubblicata il 22 ottobre 1995, in un numero speciale de “l’Espresso”. Così Enzo Golino ricorda quell’episodio: “Vent’anni dopo, nell’anniversario dell’omicidio, L’Espresso volle ricordare il poeta assassinato: mi fu affidata la cura di un dossier […]. Insieme agli articoli di Gianni Vattimo, Giovanni Raboni, Renzo Paris, Barth David Schwartz, Enzo Siciliano, Giacinto Spagnoletti, Anna Modena, alle interviste con Martin Scorsese e Luca Ronconi, nel dossier pubblicammo poesie scritte per l’occasione in memoria di Pasolini. Le avevo chieste a Alberto Arbasino, Attilio Bertolucci, Giovanni 513 Giudici, Mario Luzi, Valerio Magrelli, Nico Naldini, Maria Luisa Spaziani, Emilio Tadini, Andrea Zanzotto. Tutti accettarono subito, ma tu, caro Elio, non volevi partecipare, mi dicesti al telefono che non te la sentivi, avvertivo un tuo imbarazzo, e alla fine rifiutasti. Ci rimasi molto male, avevo molto insistito. Dopo qualche giorno mi chiamasti per dirmi che ci avevi ripensato, e accettavi perché lo dovevi a Pier Paolo”. La poesia, che racconta il rapporto di amicizia e di polemica tra Pasolini e Pagliarani, è questa. (d.b.)
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L’angoscia della tua voce incrinata spezzata da un vento gelido di morte
La rabbia che mi facevi con l’esempio dei contadini friulani
che stavano meglio prima, negli anni Trenta/Quaranta
l’angoscia della tua voce
incrinata spezzata da un vento gelido di morte che mi pareva a effetto, e pensai
«perché mi parli dell’India con toni così drammatici e agitati, quando non
c’è pubblico» – in piazza del Popolo semideserta, quando mi raccontavi del tuo
(primo?) viaggio in India, con toni drammatici e agitati
potrò perdonarti di aver detto la verità, che questo benessere è una rovina
che tu avevi prevista, che l’uomo più sta bene più è egoista
potrò mai perdonarmi
che quel grido quel vento altro che a effetto, altro che artificiale
erano le tue stimmate
era nelle tue viscere
ti era consubstanziale.
(Solo dopo aver trascritto epigrammi da Savonarola La carne è un abisso che tira in mille modi. Così intendi della libidine dello Stato/
mi resi conto che dialogavo ancora con te).
Elio Pagliarani
*In copertina: Elio Pagliarani in un ritratto fotografico di Dino Ignani