Senza fermarsi sottomettendo il visibile al veggente, gambe e piedi come machete arrugginiti che mandano scintille sfregando sull’asfalto, sole e acciaio. Affrontare cento chilometri in ventiquattro ore, senza fermarsi mai. Provate a farlo se ci riuscite. Io non ce l’ho fatta anche se, mentre proseguivo distrutto al suo fianco, la voglia di proseguire fino al traguardo era smisurata. In quei momenti Elia pareva un faro, un santo. Cento chilometri partendo da Casalborsetti, dove comincia geograficamente la costa romagnola e proseguendo oltre, quasi sfidando la riva del mare, sino a Cattolica, dove tutto metaforicamente finisce. Dentro c’è illuminazione, fatica, amore per il territorio, poesia inedita, romanzi e film, ci sono dischi come cibo per l’anima. Ci sono persone e soprattutto visioni, fotografie, paesaggi. Ad ogni falcata si smuove l’attimo. I minuti che scorrono dietro sono tempo finito e irrecuperabile. Che non c’è più. La morte che ti rincorre e ti fa proseguire avanti (senza mai smettere di considerare chi ci ha abbandonato lungo la strada, infestando come fantasmi il precipizio della memoria. Sempre.
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Elia Tazzari è un outsider vero, di quelli ruspanti. Volto che ti scruta anche quando pare perso nel nulla. Barba incolta, a volte lunghissima, altre perfettamente rasata. Stazza da uomo che conosce il territorio. La terra che ascolta, mangia, accudisce. Ci cammina sopra con riverenza. Non ostenta mai nulla. Il richiamo è epica e picaresca avventura. Così ogni sciagura resta inerme al suo posto. Scacciata via, dall’impeto della sopravvivenza. L’inquietudine lo porta a compiere percorsi sensazionali (come nel 2017, quando in quattro mesi ha coperto a piedi la distanza che intercorre tra Londra e Gerusalemme, rivisitando lo storico tracciato della Via Francigena). Non è sfida sportiva; è disciplina umanistica, un cuneo di tenebre conficcato nella notte per scardinare il terrore e far bruciare i demoni, è ricerca dei compagni che diventa ricerca di sé e viceversa. Non ci sono sponsor in gioco, nessuna voglia di primeggiare. Combattere lo sconforto dell’anima. Il cammino come unica alternativa possibile.
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Elia lo sta raccontando, in una sorta di schizofrenico e frammentato diario narrativo fra prosa e schegge fotografiche, questo suo lungo viaggio. Racconto di quello che è stato il suo viaggio del presente e del passato ma anche precognizione rabdomantica di quello che sarà. L’abbraccio a spericolati e insieme dimessi dieci anni di marce e percorsi, che intende raccontare soprattutto le persone con le quali ha condiviso le molte camminate e le suggestioni liriche dei paesaggi.
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Perché da dieci anni con il suo Sentiero degli Dei (per comodità abbreviato in SdD), Elia si è prefissato un solo imponente obbiettivo: camminare. Senza sosta, senza limiti, senza inutili traguardi social. Non stiamo parlando di un patetico influencer che si gongola sulla rete. Lui resta un pallido camminatore solitario (ma nell’ambito del SdD chiunque può aggregarsi per accompagnarlo – e di camminate mitiche in gruppo ve ne sono a dozzine) che affronta, di volta in volta, traversate come la Ravenna-Rimini andata e ritorno in notturna senza sosta, camminate nella Pineta di Classe fino alle prime luci dell’alba, un pellegrinaggio da Bologna a Firenze, e ancora il Cammino di San Vicinio (15 giorni di dura marcia lungo l’Appennino Cesenate), la Via Peuceta da Bari a Matera, il Cammino di San Romualdo da Classe fino al mitico Eremo di Camaldoli, e la Via dei Santuari da Bologna a Prato.
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Come un guerriero di ritorno dalle crociate che riparte subito senza prendere fiato, sempre dritto, da solo. Oppure accompagnato dalle persone, focus del progetto originale, folli seguaci quali medici, ferventi cristiani, nuovi poeti cuckold, comici di fama nazionale, musicanti, autori televisivi, guerrieri senza causa, mistici e femmes fatales. Quasi fosse un carrozzone di beautiful freak, selezionati naturalmente.
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Un lavoro a contatto con la terra. La solitudine come amica fraterna. E poi narrativa (René Daumal), poesia (Mariangela Gualtieri, Dino Campana e Cesare Viviani), cinema (l’immenso Herzog), musica (16 Horsepower), a ispirare percorsi e rinfocolare e legittimare le suggestioni. Elia è ideatore di progetti paralleli come un’improbabile serie fotografica su cimiteri estinti o le foto sulle lapidi di bimbi defunti all’inizio del secolo. Regista di film underground per pochissimi, poeta (andate a leggervi la sua raccolta più sorprendente; La chiave Obliqua) così come scopritore di talenti musicali inspiegabili (vedi i Beautiful Voice and The Revolution Band).
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Non apparteniamo a nessuno se non al punto d’oro di questa lampada a noi sconosciuta e inaccessibile, diceva Char, che tiene desti il coraggio e il silenzio.
Fabrizio Testa