A noi che siamo puro anelito, che in uno spiraglio intuiamo la tonsura ma non il cappio, costelliamo di idoli la vita interiore – mai intera, mai intima, mai tutta, sempre crocefissa alle parole, alle intenzioni e ai fraintesi, volgare vogare nel nulla – ogni conforto è oro. Ci sono giorni, così, in cui basta ascoltare Il carmelo di Echt per dare entità di soglia alla propria stanza e nominare Juan de la Cruz la finestra che pende sul bosco. Scritta da Juri Camisasca, la canzone, ispirata alla vita terrena di Edith Stein, è di struggente bellezza: dà il titolo a un disco del 1991; è stata cantata da Giuni Russo in un album di statuaria bellezza, Morirò d’amore (2003), poi da Franco Battiato in Fleurs 2 (2008). L’attacco del pezzo è formidabile:
“E per vivere in solitudine nella pace e nel silenzio
Ai confini della realtà
Mentre ad Auschwitz soffiava forte il vento
E ventilava la pietà
Hai lasciato le cose del mondo
Il pensiero profondo dai voli insondabili
Per una luce che sentivi dentro…”.
Quando il canto irrompe in urlo – “Dove sarà Edith Stein?”; occorre sentirlo nella versione di Giuni Russo –, siamo certi che la chiamata, se pure esiste, è esigenza prima, ci arrischiamo verso ogni spiffero celeste, con le unghie. Pura ipocrisia – esegesi dell’idolatra – idiozia di chi in ogni corrispondenza scorge la primizia.
La canzone – di rara grazia – riassume, appunto, la storia di Edith Stein, cioè Teresa Benedetta della Croce, proclamata santa da papa Giovanni Paolo II nel 1998. Nata a Breslavia nell’ottobre del 1891, su Edith Stein si può dire che converge il secolo, in ogni brama: quella breve donna si è fatta carico della gioia, dell’orrore, della paura e del coraggio nella sua purezza. Ebrea, atea, assistente di Edmund Husserl a Friburgo, paladina del diritto di voto alle donne, si convertì dopo aver letto l’autobiografia di Teresa d’Avila. Battezzata nel 1922, Edith Stein entrò nel carmelo di Colonia nel 1934. L’ebrea convertita al cattolicesimo sembra realizzare le profezie dell’apostolo Paolo: dovrà incarnare, sacralizzata alla vita beata, il martirio ordito ai danni del suo popolo. Ritiratasi a Echt, nel Limburgo, viene arrestata insieme alla sorella Rosa nel 1942, deportata prima a Westerbork poi ad Auschwitz, dove muore, quell’anno, in una camera a gas – il suo corpo scompare, arso nei forni crematori del campo.
Jean-François Thomas, in uno studio di fatale potenza, Simone Weil ed Edith Stein. Infelicità e sofferenza (Borla, 2002), sintetizza così il percorso della santa:
“Edith Stein, entrando in convento, non è fuggita dal mondo. Dietro le grate essa si trova in comunione più intima con il mondo, e il suo amore non fa che accrescersi. Non appassisce. Fino alla fine, essa lotta contro le violenze della vita, e nello stesso tempo si prepara a donare la propria esistenza e ad accogliere la morte. Venuto il momento, sarà serena e troverà la forza di distribuire attorno a sé ciò che le resta dell’amore… L’innocente, il giusto, il martire, il santo, rinunciano alla vita senza uno sguardo di odio per il presente, senza nostalgia per il passato. Appartengono già al soprannaturale”.
L’opera di Edith Stein – spesso edita da Città Nuova, per la cura di Angela Ales Bello – mira a conciliare fenomenologia e tomismo, incontra l’esperienza di Giovanni della Croce. Gli inni e le preghiere – qui si fa riferimento all’opera curata da Lucy Gelber e Michael Linssen – non attraggono per originalità – parola insensata purché non preluda a un ritorno all’origine – ma per obbedienza. Scevre dalle scorie, da retorico lenitivo, le parole hanno la loro porzione d’urlo, il loro inginocchiatoio. L’Amato è, di volta in volta, pasto e predatore, agnello e cacciatore, pura presenza e sovrana assenza. A tratti occorre inseguire, a volte la sequela prevede la stasi, inibita attesa, a un battito da colui che già ci ha scheggiato la gola – e noi, rovesciamo, verso il patronimico della gioia, un coribante d’ombre.
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Ma io resto in Te
Tu governi alla destra del Padre
nel regno dell’eterna gloria
dal principio, Parola di Dio.
Tu regni sul trono dell’Onnipotente
in trasfigurata umana forma
messa a coltura l’opera terrena.
Credo perché la tua parola mi istruisce
credo: sapere che piantuma gioia
fioritura di speranza che beatifica.
Dove tu sei alloggiano i tuoi:
Paradiso è mia gloriosa patria – con te
mi è consegnato il trono del Padre.
La più remota stanza dell’anima
è il luogo prediletto dalla Trinità
trono celeste sulla terra.
Per liberare il regno da mani nemiche
il Figlio di Dio si è fatto Figlio dell’Uomo:
sangue spartito come riscatto.
Nel cuore trafitto di Cristo
il regno dei cieli e l’impero terrestre
sono concatenati, nostra fonte di vita.
Cuore della Divina Trinità
centro di ogni umano cuore
vita che irradia da Dio.
Ci attira con segreta forza
ci ripara nel seno del Padre
di Santo Spirito ci irrora.
Cuore che rimbomba nel tabernacolo
nascosto tra i velami del mistero
nell’osta immobile, debole, bianca.
Il tuo trono regale sulla terra, Potente,
che per noi hai eretto, visibilmente:
quando a te mi approccio, esulta il sangue.
Grave d’amore, puntelli il mio corpo di sguardi
tendi l’orecchio ai miei sussurri
mareggiata di pace nel mio cuore.
Ma il tuo amore è insoddisfatto:
patto prodigo di distacco
il tuo cuore è a caccia, mi vuole.
Vieni a me ogni mattina, mi sei pasto.
Sangue e carne tua, cibo mio –
ed è un miracolo:
il tuo corpo mi invade
anima annodata all’anima
e non sono più ciò che ero.
Mi invadi e scompari, ma il seme
che hai seminato per la futura gloria
resta sepolto in questo corpo di niente.
Nell’anima, una scheggia di cielo
negli occhi, frantume di tuono
e la voce si impenna.
Hai intrappolato tra le corde
il mio cuore, la mia vita sgorga
dalla tua, animi ogni mio arto.
Meraviglia della tua grazia: non posso
che annientarmi in un balbettio –
ragione e verbo sono ormai inutili:
e resto in Te.
*
Benedici la mente turbata
di chi soffre
la spaventosa solitudine delle anime
confitte nell’abisso, l’inquietudine
di ogni uomo, il dolore inconfessato
alle fraterne amicizie.
Benedici le notturne vie delle falene
che non sciamano insieme agli spettri su strade conosciute.
Benedici la miseria dell’uomo
che muore in un’ora:
concedigli una fine benedetta.
Benedici i cuori annodati di nubi, Dio,
guarisci i malati – pacifica i tormentati.
Concedi il balsamo dell’oblio a chi ha scortato
la propria amata alla tomba.
Non lasciare agonia di colpa sulla terra.
Benedici chi gioisce, Signore, tienilo con te.
Non mi hai ancora spogliata del lutto
e a volte le mie spalle portano un pensante fardello.
Dammi la forza di sopportarlo
senza anelare al cimitero.
Benedici il mio sonno, preludio alla morte.
Ricorda ciò che Tuo Figlio per me ha sofferto
nelle ore dell’agonia.
Tu, immane misericordia per l’uomo
dona riposo ai morti, concedi loro
di accedere alla Tua pace.
*
Novena
Chi sei, dolce lume che penetra
e illumina l’oscurità del mio cuore?
Mi guidi come una madre:
lasciami, è ora, senza di te
non potrò più camminare.
Tu sei lo spazio
che occupa e seppellisce il mio essere.
Lontano da te l’abisso
del niente, irriso dalla luce.
Mi sei vicino più di quanto io sia prossimo
a me stesso – sei l’intimo del mio intimo
impalpabile, intangibile
al di là di ogni nome
Spirito Santo, amore eterno.
Dolce manna del cuore
del Figlio, trabocchi
nel mio cuore: cibo
degli angeli e dei beati.
Ti sei destato dalla morte alla vita
mi hai risvegliato a nuova vita
dai dettami della morte.
Nuova vita mi dai ogni giorno
finché la pienezza non fluirà dentro di me
vita della vita, tu:
Santo Spirito, vita eterna.
Sei tu il raggio
che s’irradia dal trono del Giudice eterno
che spezza la notte dell’anima
e che nessuno ha mai conosciuto?
Misericordia spietata
penetri in ogni piega remota.
Allarmato dal riconoscere se stesso
l’io è incline al sacro timore
sapienza che dall’alto ci giunge:
la tua azione fa levitare
i nostri pensieri, ci ricrea
Spirito Santo, lume che tutto penetra.
Sei tu la pienezza dello spirito
con cui l’Agnello scioglie il sigillo
dell’eterno decreto di Dio?
Da te guidati
i messaggeri del giudizio fanno razzia nel mondo
con spada affilata, affiliata alla luce
separano il regno dalla notte.
Allora il cielo tornerà cielo
la terra terra e tutto
troverà il suo giusto posto
nei meandri del tuo respiro:
potenza vittoriosa dello Spirito Santo.
Sei tu il maestro che costruisce l’eterna
cattedrale che unisce come un punteruolo
la terra al cielo? Le colonne si impennano
ma tu, tu sei irremovibile.
Marchiate con il nome di Dio
inseguono la luce
divaricano la cupola
la corona della sacra basilica
opera che accerchia il mondo:
Spirito Santo, artefice di Dio.
Sei tu colui che ha creato lo specchio casto
accanto al trono dell’Onnipotente,
mare di cristallo in cui la Divinità
si guarda con amore?
Ti pieghi sul creato, la tua opera
più bella, e vieni irradiato di lodi.
Di tutte le creature, la forma
compiuta si realizza nella
Vergine, immacolata sposa:
Spirito Santo, creatore di ogni cosa.
Sei tu la canzone d’amore
e di sacra dedizione
che risuona eternamente attorno al trono
e fila i limpidi rintocchi di ogni essere?
L’armonia
che unisce le membra al Capo
in cui ciascuno trova
il misterioso significato della sua benedizione
e si solleva con gioia
libero, dissolto nel tuo sorgere:
Giubilo eterno dello Spirito Santo.
Edith Stein