
“Per ringiovanire la vita”. Bruno Barilli a Parigi, ovvero: un genio al Moulin Rouge
Libri
Alberto Scuderi
Non so se si può dire che le “donne di mondo” siano delle parigine, perché non sono mai a Parigi. Essere a Parigi, vuol dire essere ovunque nello stesso momento a Parigi: nei suoi quartieri chic e nei suoi quartieri poveri, nei suoi quartieri intelligenti e nei suoi quartieri idioti; vuol dire camminare in tutte le sue vie ed entrare in tutte le sue case; vuol dire conoscere delle persone di tutti gli ambienti; e vuol dire anche riconoscersi nella banlieue, perché è fottutamente Parigi, la banlieue.
È per questo che non amo granché le donne di mondo. Ne conosco, le mie migliori e più vecchie amiche sono delle “donne di mondo”, credo; ma sono delle donne un po’ declassate dall’amore, dalla pigrizia o da una tendenza un poco appassionata. Per cui non sono più donne di mondo. Ma non sono delle vere parigine; hanno conservato la tara della loro origine. È per questo che le amo d’amicizia ma non d’amore.
Preferisco le straniere, oppure le vere parigine. Per quale motivo? Possono esser quasi ricche o quasi povere, sposate o non sposate, concubine o non concubine, lavorare o non lavorare. Ma sono ben modellate sulla vita. Conoscono la metropolitana, gli autobus, tutte le ore del giorno e della notte. Sanno altrettanto bene che cosa voglia dire non far nulla o far qualcosa. Conoscono il prezzo di un’ora di pigrizia, la mattina, e della prima sigaretta, la sera. Conoscono il prezzo del denaro e che cosa siano la libertà, l’amore, un bambino… Sanno che l’amore è un incidente che può prolungarsi.
Le parigine sanno davvero il fatto loro in amore; non c’è ombra di dubbio. Avendole tradite a più riprese con delle straniere, ora posso ben riconoscerlo. Non conosco che certe londinesi che possano sostenere il confronto. Le parigine sanno molto bene che l’amore è fatto di due cose: la sensualità e la tenerezza; e che i due ingredienti sono altrettanto indispensabili. La dose può d’altronde variare all’infinito. E comunque non si tratta di una ricetta gastronomica. Ho avuto torto a scrivere che sanno il fatto loro. No, la cosa viene loro naturale. Hanno bisogno dell’amore sensuale e dell’amore tenero. Le une lo cercano, le altre lo attendono. Ma le une e le altre sono capaci di fiutare ed evitare le contraffazioni. A questo proposito sono identiche, siano oneste o prostitute.
Da parigini si vorrebbe esser degni delle parigine. Non sempre lo si è; lo si è a volte. C’è comunque un buon numero di uomini a Parigi che meritano d’esser l’amante o il marito di una parigina. E forse dopotutto se le parigine sono delle buone innamorate è grazie agli uomini. Lo dico perché sono terribilmente antifemminista e un po’ misogino. D’altronde ci sono anche molti uomini che ci lasciano le penne: ci vuole molto tempo a un uomo per formare una donna, e dopo di che sarà un altro ad approfittarne Per fortuna ci sono anche quelle che sono state formate dagli altri.
Contrariamente a quel che si potrebbe credere, le parigine sono molto disinteressate. Quando pensano al denaro è per via dell’amore. In fondo non gli chiedono che il mezzo di restare o diventare carine, niente di più. E gli uomini lo capiscono, al punto che si mettono in due o tre a dare a una i mezzi per stupirli. C’è dunque un’immensa classe media nella quale regna una sorta di comunione tra il denaro e l’amore. C’è anche un’immensa classe in cui si è più severi e non meno gentili, e nella quale l’amore regna più aspramente. In fin dei conti sono persuaso del fatto che Parigi sia la città in cui ci sono più passioni vere, tragiche. Ma non parlo del tragico dei crimini passionali, dei colpi di revolver. Quello è il tragico carpito agli individui da una dura e abominevole passione sociale. No, parlo del tragico quotidiano. Una donna attende, tocca, conquista un uomo; lo perde, lo riprende, lo riperde. E nel corso di qualche mese o qualche anno vengono dolcemente effusi dei tesori di sofferenza discreta.
La vera prova, nella quale si vede se una donna è una parigina della specie autentica, della specie che conosce il lavoro e la pigrizia, il formaggio, il vino rosso, il tabacco, la campagna, i quartieri anonimi, è la vecchiaia. La vera parigina sa invecchiare. Parigi è piena di vecchie autentiche che sanno guardare i giovani con una tenera dignità, e che sanno andarsene verso la morte senza rumore e senza strepiti. Vi sono delle donne che sanno rinunciare all’amore e in tal modo mostrare che ne sono state degne. Un giorno cessano di mettersi il rossetto, cessano di aspettare, senza un lamento. Lo sanno che ci sono degli uomini che le guardano con struggente rimpianto, con muta gratitudine?
Bisognerebbe anche parlare di quella specie di parigina abbastanza nuova: la ragazza nubile. In fondo a Parigi è solo da qualche anno che ci sono ragazze nubili. Prima erano chiuse in casa. Ora escono, lavorano, pensano, si preparano di buona lena. Gli uomini di domani saranno fortunati.
Non mi soffermerò granché sulle troie, che hanno gli stessi inconvenienti delle donne di mondo. Ci sono molte prostitute che non sono delle troie, che non pensano a “riuscire”.
Le operaie non le conosco.
Ci sono straniere che sono delle parigine. Ci sono delle parigine che sono così appassionatamente donne da diventare per questo quasi delle straniere. Ma sono rare e davvero pesanti da reggere.
Pierre Drieu La Rochelle
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Il testo di Pierre Drieu La Rochelle, La parigina, proposto e tradotto da Marco Settimini, è stato pubblicato sulla rivista Vu del 16 giugno 1934 (e ripreso di recente nel volume Chroniques des années ’30)