Egr. Sig. “Diretur” Davide,
“vengo a lei con questa mia” dopo aver assistito alla presentazione del libro di Alessandro Rivali, “Ho cercato di scrivere paradiso” edito da Mondadori, sabato scorso al Museo della città di Rimini; sono sceso dai calanchi della Valmarecchia “con le scarpe inzaccherate”, come Dino Campana quando andava da Marradi a Firenze con le copie dei Canti Orfici nella bisaccia per ascoltare il cronista venuto dalla metropoli che ha visto la Luce a Brunnenburg, pronto ad una sferzata di pura energia poundiana e lei mi mette il Tavor nella valeriana !?! … una gnorgnia a bassa voce che meritava “cuscino, pigiama e babbucce”.
Dov’è quell’Ezra Pound a torso nudo che grida al cielo la sua voglia di Bellezza?? Dov’è quel poeta che ammanettava le parole per farne Musica?? Dov’è quel condottiero che sguainava “Jefferson e/o Mussolini” per difendere l’Uomo dal denaro?? … nell’algida esposizione del giornalista Rivali non c’è Ezra Pound, c’è la figlia, che plasma, smussa e modella tutti i pollastri che bussano al castello, come in Frankenstein Junior; non ci può essere Pound in quel mieloso minuetto di formalismi, “dediche all’inchiostro verde”, macabri feticismi di un uomo che sapeva trasformare le lacrime in Swarovski. Voi che avete bussato a Brunnenburg non potete capire come i Cantos “carichino le molle” a noi poveri soldatini di latta, ci fanno sapere che non saremo mai soli, ci difendono dall’ignoranza, sono lo scudo della nostra libertà. Voi dovevate dare le istruzioni d’uso per maneggiare quell’arma formidabile che sono i Cantos, l’unico passaporto, insieme al Trattato del Ribelle di Jünger, che ti permette di percorrere tutte le strade del mondo e tutti i deserti dell’anima.
Eh, troppo comodo andare a leggere i Cantos sulla Cima Mut, spaparanzati sullo sdraio con un succo di mela (Apfelsaft come scrive l’autore, per far felici quelli che leggono Repubblica)… quando quelle parole sono costate sangue, lacrime e fame in tredici anni di manicomio criminale. I Cantos vanno letti nelle fogne del paradiso (per dirla con Albert Spaggiarì), strisciando tra i silenzi danteschi della povertà, dove non ci sono panorami montani e succhi di mela, ma occhi che ti guardano e odor di cimici. Dalle pance piene e dalle bevande analcoliche non è mai nato nessun capolavoro, noi oggi leggiamo quello che altri hanno sofferto e non possiamo permetterci di “non voler capire” o di “rimuovere”. A Venezia c’è una lapide con un nome, perché lì c’è il corpo del più grande compositore musicale “in forma di parole” apparso sulla terra e non potete impedirci di portare un fiore, un sasso, un ideogramma, perché difenderemo sempre i nostri crateri della Valle dei Morti (per dirla alla Rivali, che neppure se n’è accorto). La saluto con le parole di Lucio Battisti. Planando sopra boschi di braccia tese
Silvano Tognacci
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Caro Silvano, la poesia si sussurra quando non abbiamo più altro, né dita né falangi, si grida nei luoghi indegni, si aggira tra gli indicibili, per sua natura invoca alla rivolta contro la grammatica rapace della Storia, dilata il nostro cuore alfabetico fino a ridurre il vetro in stella. Non penso, però, che Alessandro Rivali abbia voluto addomesticare Ezra Pound come un barboncino a cui gli intellettuali metropolitani e di quartiere possono lustrare il pelo alla bisogna, mentre fanno il bisognino. Penso che Rivali abbia cominciato a sganciare il primo chiodo a cui hanno appeso il poeta, crocefisso nell’indifferenza, alienato nel falò delle ideologie. Ora, dopo quel libro coerentemente divulgativo, è ora di pubblicare come si deve i libri di Pound, tutti, uno per uno, non più nelle catacombe ma alla luce del genio; è ora di ritradurre i “Cantos”; è ora di incarnare la poesia nella Storia. I poeti fanno paura, sempre, ancora, perché invocano un individuo, un rapporto claustrale e coraggioso. Un caro saluto, senza braccia né mani, monco ma feroce, confidando sempre nella sua ferocia, Davide