09 Febbraio 2020

“L’equilibrio, per ciò che mi riguarda, è nell’incoerenza”: Stevenson tesse le lodi di Dostoevskij

Il 9 febbraio 1881 se ne va Dostoevskij. Era del 1821. Stessa classe di Flaubert. Un cerchio dorato quasi perfetto stringe nascita e morte dei due romanzieri: Flaubert muore un anno prima, nel 1880. Onoriamo allora Dostoevskij con una lettera di un suo ammiratore d’eccezione. Andando a commemorare con qualche ora di ritardo l’anniversario della scomparsa di Dostoevskij come dei folli, ci basta una lettera di Stevenson per capire che le ammirazioni letterarie vanno tenute nascoste. (Andrea Bianchi)

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Robert L. Stevenson a John Addington Symonds

Skerryvore (Scozia), primi di marzo 1886

Mio caro Symonds,

se ci siamo persi è (penso) solo dal punto di vista materiale; questione di lettere e non di cuori. Troverai un caloroso benvenuto a Skerryvore da parte dei reggicandele; e davvero non ci racconteremo le nostre favole finanziarie, sarà necessaria solo una toccata a Davos. Non sono interscambiabile in fatto di amicizia; credo di potertelo assicurare, un paio di buoni amici a Bournemouth ce li hai; se ti scrivono o no, è poca cosa; magari la bandiera non viene issata, ma sta lì.

Jekyll è cosa terribile, lo dico bene; ma l’unica vera cosa orribile su di lui è la vecchia storia della guerra tra le parti. Questa volta è venuta fuori; spero rimanga dentro, in futuro.

“Raskol’nikov” è facilmente il più gran libro che abbia letto negli ultimi dieci anni; sono lieto che tu l’abbia preso. Molti lo trovano noioso; Henry James non riusciva a finirlo; io posso solo dire che a momenti questo libro mi stava per finire. Come avere una malattia. James se ne disinteressa perché il carattere di Raskol’nikov non sarebbe oggettivo; e qui si apre un bel golfo tra me e lui e, a veder bene, l’esistenza di una certa impotenza in molte menti, oggigiorno, che le trattiene dal vivere dentro un libro o un personaggio, e le blocca in lontananza – spettatori davanti alle marionette. Davvero, immagino che il libro possa apparire vuoto al centro; per altri è una stanza, una stanza della vita, dove entrano e sono torturati e purificati. Il Giudice istruttore, credevo, è meraviglioso, osceno, toccante – una creazione ingegnosa. Il padre ubriaco, Sonia, l’amico studente e l’umanità di Raskol’nikov – non circoscritta, protoplasmica – sta su tutt’un altro livello che mi ha meravigliato. Anche l’esecuzione, meravigliosa in alcuni punti. Altro di lui è tradotto in francese: Umiliati e offesi. Ed è più incoerente di Delitto e castigo, ma respira della stessa bontà amorosa e ha passaggi potenti. Dostoevskij è un diavolo, ne sono certo. Hai sentito che è diventato un rivenditore della conservazione imperialista? Interessante da sapere. Al riguardo, l’equilibrio sta – per me – anche nell’incoerenza e nell’incapacità del tutto. Essendo fuori moda la vecchia idea infantile della marcia verso il Paradiso, e notando che tutti i programmi e le idee che sentivo dibattere erano costruiti sopra una superba indifferenza verso i primi principi del carattere umano – un desiderio senza quiete di riposare in qualunque cosa di cui si sappia il peggio, questo desiderio mi assale. Errori fondamentali nella natura umana di due tipi stanno all’orizzonte di tutto questo mondo moderno di aspirazioni. Primo, che gli uomini vogliano felicità. Secondo, che questa sia tutta un’armonia interiore. Gli uomini non vogliono, né credo accetterebbero, la felicità; quel che li fa vivere è rivalità, sforzo, successo, cose che i nostri amici desiderano eliminare. E d’altro canto, felicità indica moralità – o immoralità, non fa differenza – e convinzione. Gordon fu felice a Khartoum, nelle sue ore peggiori di rabbia e fatica. Marat fu felice, presumo, nella sua peggior frenesia. Marco Aurelio fu felice nel campo di battaglia, che odioso. Pepys era discretamente felice, e anch’io nell’insieme, perché entrambi abbiamo accettato con giubilo una via di mezzo, a entrambi piace badare ai fatti nostri e abbiamo avuto qualche successo nella gestione dell’insieme. È una domanda aperta se Pepys ed io dovremmo essere felici; d’altro canto non vi è dubbio che Marat avrebbe fatto meglio a rimanere infelice. Aveva ragione a dire (se l’ha detto) che lui era la miseria umana, senza rimedio – tranne la forza. La morte è un solvente elegante e magnifico; nessuno le ha fatto giustizia, manco Whitman. Quanto ai pezzi d’ornamento, al vasellame da camino, i borghesi (quorum pars) e la loro codardia ritrosa a morire e uccidere – è semplicemente un sintomo tra mille di quanto siano del tutto senza un solo contatto con la vita. La loro disapprovazione della pena capitale e il loro modo di trattare gli aiutanti domestici sono, per me, emblemi vistosi della loro vuotaggine.

Dio sa dove vado a parare. Ma sta per arrivare il pranzo. Questa interruzione felicemente per te sembra aver messo un punto. Non ho ora da aggiungere altro che abbia la premura delle sciocchezze. Prega di non perdere una visita da noi questa estate. Sarebbe una grande delusione, ora. Il tuo per sempre

Robert Louis Stevenson

*traduzione di Andrea Bianchi

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