14 Marzo 2018

“Dopo santi prepuzi e cristianesimo eretico, mi occupo di Democrazia Cristiana”: dialogo con Mauro Orletti, il più bravo scrittore dell’anno

Il brano più sfizioso – stucchevole banalità – è quello dedicato al Santo Prepuzio. Tutto comincia “nel mese di ottobre del 1557” quando “il curato di Calcata trova un piccolo scrigno in una grotta vicino alla sua chiesa, all’ingresso del paese”. Nello scrigno c’è un tesoro. “Una particella di carne di San Valentino, un frammento della mascella e un dente di Santa Marta, e una reliquia di Gesù”. Ciò che resta di Gesù, “asceso per intero, nella pienezza della sua perfezione”, a mo’ di reliquia, è il prepuzio, dichiarato ovviamente Santissimo, cioè quella striscia di minchia che gli ebrei segano via, circoncidono. Il frammento della divina minchia, per altro, fu parte del “dono che Carlo Magno fece a papa Leone III in occasione della sua incoronazione a imperatore del Sacro Romano Impero il 25 dicembre dell’800”; dono, a sua volta, ricevuto dal re dei Franchi “da un angelo mentre era in preghiera ad Aquisgrana”. Insomma, gli angeli spacciano in prepuzi. Il Santissimo Prepuzio, che si è divinamente moltiplicato (lo detengono “altre 12 città”, tra cui Santiago di Compostela, Metz, Chartres, Anversa), è evoluto in oggetto ‘letterario’: James Joyce lo cita nell’Ulisse dichiarandolo “l’anello matrimoniale della santa Romana Chiesa Cattolica”. La Guida alle reliquie miracolose d’Italia (Quodlibet 2018, pp.240, euro 16,00) allinea una quarantina di oggetti devoti, dai notissimi (Sindone, pezzi corporali di Santa Caterina da Siena, San Marco) ai mirabilmente ignoti (San Gengolfo, San Grato d’Aosta, San Leucio d’Alessandria), costruendo una sorta di baedeker ultradivino, di celestiale leggerezza, scritto con paradisiaco piglio. Il libro – con apparato di note ‘monstre’ – è un balocco narrativo: dietro ogni reliquia, è questo il bello, alligna una storia, spesso bellissima, spassosa. A tenere insieme il tutto, la scrittura lucida – che sta tra Borges e Boccaccio, con filiazioni dal ‘surreale padano’ di Celati, Cavazzoni & Co. – di Mauro Orletti, autore anomalo, che è alla seconda, convinta, prova (la Piccola storia delle eresie, già libro di culto, uscì per Quodlibet nel 2014), ormai da assimilare tra la costellazione dei rari scrittori italiani di oggi. Confronto con la storia, capacità di indagare geologicamente dietro la tappezzeria del noto, assenza di giudizio e di ambaradan retorico, novelle graziosamente accartocciate in bottiglia: Orletti propone una letteratura ‘altra’, alternativa al romanzo ‘mattone’, genere in cui sono specialisti gli scrittori italici.

Intanto. Da dove viene l’idea di questo libro? Dopo eresie, le reliquie. Insomma, si occupa delle frattaglie del cristianesimo…

Nello scrivere di eresie mi sono imbattuto in personaggi bizzarri, ad esempio santi successivamente bollati come eretici e viceversa eretici poi venerati come santi. Ho cominciato a leggere le loro biografie, storie avventurose ricche di colpi di scena. La Leggenda aurea di Jacopo da Varagine è una miniera inesauribile di aneddoti e vicende prodigiose. Ancor oggi esistono moltissime pubblicazioni sui santi e le loro vite, narrazioni più o meno attendibili, agiografie, studi o riduzioni dal tono favolistico. Allora mi sono chiesto: ha senso raccontare ancora quelle storie? C’è chi davvero le prende sul serio? È possibile che qualcuno creda alle doti taumaturgiche dei santi ausiliatori? Mentre cercavo una risposta mi è tornato in mente il breve periodo in cui ho vissuto a Torino. Lì c’è questa chiesa, la Consolata, in cui sono conservati migliaia di ex-voto: cuori argentati, spalline di ufficiali, uncinetti, fotografie, quadretti. E sempre a Torino c’è la Chiesa di Santa Maria Ausiliatrice, che custodisce nella cripta una raccolta di quasi tremila reliquie. Nell’una e nell’altra ci si imbatte spesso in devoti di questo o quel santo, della Madonna della Consolata o del Preziosissimo Sangue Laterale di N.S. Gesù. Ecco, quei devoti sono la risposta alle mie domande. Ho cominciato così questo viaggio, ricostruendo la storia delle reliquie, risalendo alle biografie degli uomini e delle donne cui appartenevano, sconfinando nelle vicende dei luoghi in cui vissero, morirono, furono fatti a pezzi e collocati dentro arche, teche e reliquiari.

Qual è la reliquia che le è piaciuto di più scrivere, la più spassosa? Che cosa ha scoperto di sorprendente?

Orletti libroMi ha molto divertito la questione del sangue di San Lorenzo. Non lo sa quasi nessuno ma ad Amaseno (nel Lazio) si conserva, appunto, il suo sangue. Fatto già di per sé sorprendente visto che il santo sarebbe stato arso sui carboni ardenti. A detta di Sant’Ambrogio, mentre bruciava sulla graticola, si sarebbe rivolto al proprio aguzzino dicendo: «Questa parte è cotta, volta e mangia». Frase che gli ha fatto meritare il patronato dei rosticcieri. Comunque, il suo sangue arriva ad Amaseno e qui, un bel momento, comincia a liquefarsi. Cioè si comporta esattamente come quello di San Gennaro. Con una differenza, però. Il sangue di quest’ultimo si scioglie quando l’ampolla in cui è contenuto viene ripetutamente capovolta. Quello di San Lorenzo, al contrario, non ha bisogno di alcun aiuto. Alquanto sorprendente è anche la vicenda del trafugamento della lingua di Sant’Antonio. Intanto perché è uno dei più recenti furti di reliquie (risale al 1991). Poi perché il mandante del gesto sacrilego è Felicetto Maniero, boss della mafia del Brenta. Anche il modo in cui viene realizzato il colpo è piuttosto sensazionale, con tanto di irruzione – armi in pugno – nella basilica e fuga precipitosa in auto. Da ultimo perché la lingua rubata non è neppure una lingua ma il mento. Miracolo del santo o stupidità dei ladri?

Gli uomini hanno bisogno di credere nel potere magico di un dito, di una ciocca di capelli, di una fatidica ‘spina’ della corona indossata da Gesù… perché, secondo lei?

Credo che, in ultima istanza, potrebbe essere un modo per esorcizzare la paura della morte. Mi spiego meglio. Alcuni osservano questo mondo e pensano galleggi in un brodo di caos, altri – al contrario – colgono in esso un ordine preciso, uno schema generale che aiuta a collocare cause, effetti, soggetti, oggetti, ecc… Eppure l’approccio delle persone alla conoscenza può rivelarsi subalterno a entrambi i punti di vista: nel primo caso servirà a dimostrare che, non esistendo un padre creatore del tutto, manca una regia complessiva e dunque si viaggia a tappe forzate verso un’irrimediabile catastrofe finale, nel secondo caso porterà a ritenere già tutto spiegato, compreso e risolto (o almeno risolvibile in tempi ragionevoli). L’idea che possa esistere il “magico” mette in crisi i due sistemi: illude che si possa scampare alla catastrofe grazie a una provvidenziale falla nella vasca dello spazio/tempo da cui defluisce il brodo di caos che la riempie; rivela l’esistenza di una stanza segreta nel grande archivio in cui si era certi di aver catalogato ogni fenomeno. E così la liberazione da una cronica emicrania (grazie al contatto con il piatto in cui venne servita a Salomè la testa del Battista) o l’insperata espulsione di un calcolo (dopo aver pregato davanti alla pietra con cui venne lapidato Santo Stefano), dimostrano in modo inequivocabile che anche la morte può essere risucchiata da un gorgo celeste o archiviata su uno scaffale irraggiungibile.

Nel libro avverto un tono che sta tra Borges (lucidità narrativa, esplorando il mistero) e Boccaccio. C’è, forse, una sottile ironia verso l’armamentario delle superstizioni cristiane: è così? Lei è un credente, va in Chiesa, ha fede in qualcosa?

Ho cercato di avere un tono piuttosto distaccato. L’ironia, che non volevo risultasse forzata, è conseguenza del rimanere sempre un passo indietro. Quando si legge di Nicolino Grimaldi (cantante eunuco di origine partenopea) che riceve in dono il bastone appartenuto a San Giuseppe (protagonista del più clamoroso caso di incerta attribuzione di paternità) e lo affida a uno zelante custode il quale, per proteggerlo dai tanti che vogliono toccare la reliquia simbolo di fertilità, minaccia: «Nun sfruculià ’a mazzarella ’e San Giuseppe», che bisogno c’è di aggiungere commenti sarcastici? Fra l’altro non volevo apparire irriverente. Non sono credente ma ho rispetto per quanti sono spinti da fede genuina. Assai meno nei confronti di chi ne approfitta.

Il sapore linguistico del libro è eminentemente narrativo. Quali sono i suoi scrittori di riferimento, se ce ne sono? Quali i padri letterari (non della Chiesa…)? Legge la narrativa italiana contemporanea, le interessa?

Leggo molta narrativa contemporanea, anche italiana. In alcuni casi si tratta di autori che potrei considerare, sebbene non anagraficamente, miei padri letterari. L’incredibile fortuna che ho, fra l’altro, è che molti di questi sono pubblicati nella collana Compagnia Extra di Quodlibet, la stessa della quale fa parte la mia Guida. In effetti, quando scorro l’elenco dei volumi editi e vedo il mio nome indegnamente vicino a quello di Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Luigi Malerba o Giorgio Manganelli, mi assale un profondo senso di inadeguatezza. Poi dovrei anche citare Daniele Benati, Paolo Nori e Ugo Cornia, scrittori che ammiro moltissimo e ho avuto modo di conoscere ai tempi dell’Accalappiacani, una rivista settemestrale di letteratura comparata al nulla che si faceva a Reggio Emilia. Lì, fra letture e discussioni, ho incontrato Paolo Albani, Giovanni Maccari, Paolo Morelli, Dino Baldi e Paolo Colagrande. Tutti autori di genio, non allineati e perciò privi di qualunque zavorra espressiva. Chi ha familiarità con un certo genere di narrativa sa che i nomi citati hanno alcune affinità. Personalmente, quando penso a loro, penso a menti libere e aperte, curiose di tutto. È questa la principale affinità. E mi vengono in mente tutti i libri che mi hanno fatto scoprire ed amare, i loro ma anche – e soprattutto – quelli di altri. Senza limiti. Classici, Jacques il fatalista e il suo padrone di Denis Diderot, contemporanei, Questa vita tuttavia mi pesa molto di Edgardo Franzosini, stranieri, Perturbamento di Thomas Bernhard, o autentiche perle, Mosca-Petuskì di Venedikt Erofeev. Questi esempi solo per dare l’idea dell’enorme debito che ho nei confronti di chi mi ha spalancato le porte di una biblioteca universale.

Dopo eresie e reliquie, di cosa vuole occuparsi?

Di Democrazia Cristiana. Mi spiego meglio. Sono di origini abruzzesi e in Abruzzo, dal dopoguerra in avanti, ha sempre governato la Democrazia Cristiana. Fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica. Si è trattato di un periodo che in molti hanno cercato di analizzare, studiare, elaborare. Ma sempre da un punto di vista squisitamente politico. A me piacerebbe raccontare la storia di uno dei protagonisti di quegli anni, un ministro che, agli occhi della piccolissima borghesia della provincia abruzzese, doveva apparire come un imperatore incoronato per diritto divino. Una biografia romanzata, dunque, in cui la vita del protagonista viene raccontata attraverso un intreccio di storie: dei plenipotenziari scudocrociati, della corte di vassalli che li accompagna, dei disgraziati che vivono alla periferia dell’impero. O qualcosa del genere.

 

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