Acqua alta
12 novembre 2019, il canto delle sirene risuona nella notte della laguna. nessuno è Ulisse. Ovunque l’acqua. Ovunque alta. Le strade non sono più strade. I passi scorrono. Il corpo è lo scafo delle costrizioni.
Circa 48 anni fa il fratello di mia madre annegava nel Mar Ionio. Ci sono state anche molte persone che sono annegate in uno specchio.
«È morte per le anime diventare acqua» Eraclito
Un uomo con un dolore è un uomo più elegante.
Non stare su nient’altro che sulla propria immagine riflessa nell’acqua. L’acqua incanta. La realtà è sempre doppia.
L’acqua ci sdoppia, dice «Io è l’altro». Per rimanere dentro te stesso devi assolutamente essere fuori.
Stringere l’acqua tra le mani è scrivere. L’acqua è una realtà poetica.
Rinunciare a scrivere è scrivere questa rinuncia.
Parlare all’acqua è essere presuntuosi. Chiunque scrive deve esserlo.
C’è un tempo che ci supera, il tempo che pregiudica ogni nostro giudizio. Pronunciamo giudizi, i nostri pregiudizi.
Tutto è fatto per accogliere la nostra negatività. Tutto per scongiurarla. Il mondo si alterna a seconda della nostra situazione esistenziale.
Bisogna amare solo ciò che non si conosce. Quello che si conosce è acqua passata.
Mi annoia ogni forma di descrizione.
Contemplare la parola è scorrere, dissolversi, morire.
Tutto viene per pronunciarsi. Tuttavia stai dove sei e aspetta, aspetta…
Dammi alla luce. Fallo ora nelle tenebre di questa parola.
Solo nella sofferenza gli uomini nel grido disperato si raccolgono nell’essere animale. S’immolano a ciò che di più alto c’è in loro, il futuro, il sempre a venire. Lo scarto dentro cui ogni cosa si riappropria dell’impossibile.
Tutta l’esistenza è un urlo. La ramificazione del dolore in ogni organo. E tutto viene messo a tacere dalle parole, dai tentativi di riportare a galla le certezze del passato. Riprodurre le azioni – tagliare il cordone ombelicale, spalancare la voce all’abisso, strisciare dentro una mattonella, gattonare, ergersi nel balbettio del vuoto, coniugare il vagito del verbo, predicare la propria innocenza. Si ripercorre un sentiero battuto, ci si consola con le briciole che abbiamo lasciato cadere quando non volevamo perderci.
Una cosa vera puoi dirla soltanto a qualcuno che ti ascolta. Occorre ascoltare l’orecchio mozzato.
Il caso dura un istante, non conosce durata. Tutto ciò che lo eccede si chiama coincidenza. Il caso è la scintilla. Il destino la fiamma.
La poesia ama nascondersi.
Il disimpegno è quell’atteggiamento di distacco e di indipendenza nelle proprie attività dagli interessi di una qualsiasi ideologia. Concepire le azioni – la scrittura come fine a se stessa. Come nel gioco del calcio l’azione di un difensore che pressato da più avversari riesce a rinviare la palla, così bisogna rinviare la parola. Il disimpegno è un espediente per uscire da una difficoltà, dall’imbarazzo della letteratura. Nel disimpegno si fa a meno di sé essendo profondamente in sé.
Tutto è principio nel regno dei principianti.
Soltanto rimanendo a una certa distanza da se stessi si riscrive la biografia della domanda. Una vita non ha perché.
Ogni volta che riemergendo dal fondale una foglia sfiora la superficie, annega il grido dell’onda tra le mie mani. Il più lontano. Credi.
L’animale è la ferita dell’uomo. Solo le braccia che toccano la terra possono scrivere. Recitare la parte eterna.
L’acqua è una materia che non smette di crescere a dismisura. Eccede nei nostri occhi.
Se credi alla magia diventi palpabile. Contro tutte le attese sei ancora qui.
Non si è mai abbastanza.
Domenico Brancale
*Si ricalca, per gentile concessione dell’autore, una porzione del libro “Mal d’acqua”, scritto da Domenico Brancale e pubblicato per i libri di Modo Infoshop. Chi ha orecchio alla poesia, sente nei ritmi di Brancale note di Edmond Jabès, il muschio di René Char, la poesia come urto, inginocchiatoio, libro d’ore, delle colpe e delle discipline. Fragile è la placca su cui questo libro è riprodotto, fragile ciò di cui parla: scritture sulle acque, e lì autenticate. Per stare nell’acqua, una scrittura deve farsi pietra, e in ciò che leviga è il rigore. (La fotografia in copertina è di Vivian Maier)