12 Settembre 2023

“Lode della vita povera. Non siamo che miseri vagabondi della terra”. Aleksandr Dobroljubov, il Rimbaud russo

La vicenda di Aleksandr Dobroljubov è inconcepibile se la leggiamo con i codici della letteratura occidentale. Protagonista del decadentismo russo, provocatore impenitente, elegante flâneur negli androni del proprio ego, Dobroljubov, nel 1896 – aveva vent’anni –, mollò tutto & tutti, si ritirò in monastero, alle Solovki, per darsi, poi, schifato perfino dalla vita monastica – il rigore dei fasulli, così la reputava – al pellegrinaggio, all’estremismo dell’eremo, a una fede piantumata di anarchie. Preferì la via negativa, i troni decollati, la latitanza dalle censure del clero. Angelo Maria Ripellino, canonizzandolo in Poesia russa del 900, ne scrive come del prototipo ‘alla russa’ del “poeta maledetto. Ma d’improvviso, pentito di quella vita peccaminosa, abbandonò la sua stanza tappezzata di panno nero e si diede a vagabondare come un umile pellegrino”. La sua vicenda, scrive Ripellino, “presenta qualche affinità con quella di Rimbaud”.

Quando Aleksandr Dobroljubov si atteggiava a poeta maledetto…

In quel qualche, diciamo così, si rivela la frattura tra la letteratura d’Occidente e quella russa – sfiancante immensità tra Est e Ovest, un continente a sé. Rimbaud sceglie l’Africa, l’estro dell’esploratore, il commercio; si fa uomo ‘d’affari’ – per quanto quasi disastrosi – dallo sguardo abbacinato di blu, baciato da lirica scaltrezza: la sua perdizione è predazione. Dobroljubov – la cui precocità poetica ha lasciato un graffio e un ghigno nella letteratura russa, non certo l’Apocalisse scatenata da Rimbaud – opta per il romitorio, per le camminate micidiali tra le tundre del Mar Bianco, per il privato martirio siberiano. Rimbaud non scrisse nulla, nel suo esilio africano, a parte lettere tristi, trite, amare, e un Rapport sur l’Ogadine in cui descriveva alcune zone dell’attuale Regione dei Somali mai viste prima da uomo occidentale. Non sembra – a patto di non considerare autentiche le isterie mistiche della sorella Isabelle – che si sia convertito; certa è la data di morte, il 1891, era novembre. Dobroljubov penetra in spazi remoti, inediti dell’animo umano: “fondò una sua setta, che perseguiva l’inerzia e il nichilismo mistico” (Ripellino). Scrisse molto: testi visionari, orazioni, “inni simili ai componimenti sacri del folclore e ai canti dei settari” che venivano ripetuti, oscuro salterio, dai suoi discepoli (sogno di ogni poeta errante: fondare una religione intorno ai propri scalognati versi). La sua morte è un mistero: Ripellino crede che il poeta-profeta “sia morto nel 1918, durante la guerra civile”; oggi siamo certi che è vissuto fino al 1943, la sua morte è fissata, genericamente, al ’45; nessuna tomba ne riferisce le spoglie: forse, come Elia, Dobroljubov è asceso al cielo. 

La storia di Dobroljubov si spiega secondo il carisma della letteratura russa moderna, che ruota intorno ai Racconti di un pellegrino russo, diversamente meditati nelle opere di Dostoevskij, Lev Tolstoj (il micidiale Padre Sergij), Nikolaj Leskov. Per capire la scelta interamente interiore, e dunque ‘letteraria’ di Dobroljubov – cioè: affermare il verbo nel Verbo, fare diaconia dello ‘stile’, farsi umile stilo di Lui – è utile quanto scrive Ivan Kologrivov in Santi Russi (La Casa di Matriona, 1977) per spiegare il crisma della spiritualità ‘russa’:

“La caratteristica spirituale fondamentale del popolo russo, che consiste in un grande distacco dal mondo e dai suoi beni, è determinata in gran parte dalla geografia del suolo russo. In questo paese dagli orizzonti sconfinati, dalle proporzioni fuor di misura, dal cielo inclemente, dai rilievi montuosi pressoché inesistenti, privo di confini geografici, abbondantemente aperto a tutte le invasioni, facilmente l’uomo diventa consapevole della propria debolezza fisica e del carattere caduco di tutte le sue opere… L’uomo occidentale tiene alla propria posizione sociale, ai propri beni, all’esistenza comoda non in ragione delle proprie debolezze e dei propri vizi, ma in ragione delle proprie virtù sociali, fondate e giustificate da principi: ha una propria ideologia che giustifica tutto ciò. Il russo, no. In fondo all’anima egli non è affatto sicuro che la sua proprietà sia sacra, che il godimento dei beni della vita sia giustificato o si possa conciliare con la vita perfetta”.

Secondo Kologrivov, la spiritualità russa si configura, nei suoi tratti più genuini ed eroici, in una “rivolta contro il mondo borghese” che apparenta “rivoluzionari e reazionari”. La china, qui, è perigliosa e spiega, semmai, il carattere ‘messianico’ del comunismo russo, intuito – come sempre – dai grandi poeti – che in Russia son sempre profeti. La chiusa de I dodici di Aleksandr Blok ha nitore di altare insanguinato:

“…E vanno con passo avido,
Dietro – famelico cane,
Davanti – stendardo
Di sangue imbrattato,
Dai rombi risparmiato,
Con passo reso alla dolcezza
Tra sfere di neve
Il capo coronato di cisto
Chi li guida? – Gesù Cristo”

Blok, per altro, sarà tra i tantissimi poeti ingaggiati e sacrificati dal nuovo regno rivoluzionario. Che anche la nostra poesia abbia il proprio germoglio nell’intonazione sacra – Francesco d’Assisi, Jacopone da Todi – poco conta: presto al profeta subentra l’intellettuale, al poeta il cortigiano.

L’opera di Dobroljubov, dispersa, disperata, sarà raccolta da Valerij Brjusov, campione del simbolismo russo, traduttore di Paul Verlaine, Edgar Allan Poe, Oscar Wilde. Il suo lavoro più sconcertante è una raccolta di pensieri, diari, orazioni e oratori intitolata Libri dell’Invisibile, che ha i criteri della fertile insussistenza, della chiamata alla comunità. Da quell’enciclopedia visionaria, sulla sogna degli ignoti, abbiamo tradotto la “Lode della vita povera”, qui presentata per la prima volta in Italia nella versione di Nadia Costantini.

***

Lode della vita povera. La parola di un pellegrino sulla povertà spirituale e corporale.

Beati i mendicanti in spirito e corpo.

Così disse il pellegrino.

Ebbene, fratelli, voi vi giustificate dicendo che non bisogna non preoccuparsi dei vostri bisogni futuri, della vostra famiglia, del vostro prossimo, del vostro sostentamento corporeo, ma ditemi, fratelli, di cosa si nutre l’uomo? Non si nutre forse del suo lavoro presente? Se hai lavorato oggi, l’indomani Dio ti darà da guadagnare e da mangiare. Ognuno si guardi con attenzione. Non è forse tutto organizzato in modo tale da non doversi preoccupare?

È un peccato non lavorare, è un peccato preoccuparsi. Alzati presto al mattino, prega la luce del mondo, e puoi anche pensare alle faccende di oggi: bisogna fare questo, bisogna prendere quello, bisogna andare là. Ma attenzione anche a queste cose! Non oltrepassare i limiti!

La preoccupazione di oggi non è proibita, né si chiama preoccupazione. Ma se aggiungete quella di domani, la tua preghiera non verrà innalzata al cielo. E la preoccupazione di oggi può gravare su di te.

Alcuni si alzano presto al mattino e pensano: “Oh, devo finire il lavoro di ieri al più presto, e poi mettermi a farne un altro, poi vedrò quella persona, e non dimenticherò di chiederle del fieno e della mucca e del capovillaggio, che gli è stato narrato ieri”. E un altro si alza e pensa fin dal primo mattino: “No, Signore, non mi affliggerò, non mi darò pena per le piccolezze. Non scriverò né sui fogli, né sui libri o nei miei pensieri tutte le faccende necessarie, ma a ogni azione e intento dirò: ‘quando è necessario per Te, o Signore, fallo uscire e solo allora mettilo Tu stesso nella mia memoria’”. Come si affliggono anche per un nonnulla, come distruggono loro stessi e tutte le loro grandi opere, come li uccide perfino la rettitudine illecita: l’uomo limita costantemente con le inquietudini perfino il suo tempo manifesto, la sua gioia e la sua vita preziosa! Non darà forse Lui il giorno migliore per i vostri frutti, per tutti i vostri fiori?

Egli è il cuore del mondo e tutto, anche la più piccola cosa viene da Lui ed è rinvigorita da Lui, se Lo si guarda almeno per un attimo. Con il Signore siamo sazi di tutto, di pane e di sale, di tutto e per tutto, siamo tutti seduti all’infinita tavola universale. E Lui dà pane e sale a tutto il mondo, anche i cani mangiano le briciole dalla Sua tavola, il pane spirituale e il pane corporeo sono aperti a tutti. Lavora e basta.

Spesso ho sentito da voi, vecchi miei, domandarsi: come si fa a non peccare e a non inquietarsi durante il lavoro? E cosa viene dalle vostre inquietudini? Niente coincide con quello che avevi progettato.

Conta sulle dita delle mani gli svantaggi. Ti sei rattristato, invece di pensare a come fare le cose meglio, sei stato Dio sa dove.

Non è forse per questa ragione che il tuo lavoro spesso ti sfugge dalle dita?

Ma tu hai perso il tesoro di casa tua!

Soprattutto, fratelli, mi addolora il cuore sentire queste parole maligne in una povera isba. Dio ti ha amato perché Lui non dà mai ricchezze su un cammino stretto. Ti ha avvicinato al Suo mistero e tu vuoi distruggere la sua grazia. Sei colpevole come il ricco, ancor più colpevole di colui che aggiunge campi ai suoi campi, all’infinito.

La benedizione e la gioia abitano nel mio cuore quando vedo le tue povere mura scure e le tue basse finestre, non distruggere il mio mondo con i tuoi bassi bargigli. Le tue porte sono spalancate. Tu, come me, come Lui, sei un misero vagabondo della terra.

Beati i poveri di spirito e di corpo, perché Lui è tutto in tutti. È questo che voglio spiegarvi, fratelli, che nel nostro cammino di sentinelle abbiamo bisogno sia di questa che di quella povertà, sia spirituale che corporale. Tu dirai che il corporeo è piccolo, ma non c’è nulla di piccolo, nel piccolo si nasconde il grande come nel bambino si cela il futuro adulto, il piccolo è il grande. Se osservi nel grande vai in profondità, tanto più nel piccolo, vai nell’esteriore. C’è anche l’esteriore, che proviene da Lui. Chiunque infranga uno dei più piccoli Suoi comandamenti, questo sarà chiamato nel regno di Dio.

Ebbene, se entro nella casa di un idolatra, davvero il mio cuore si rallegrerà, amici miei? E quando vedrò che questo idolatra è pacifico e tranquillo, vive in povertà e benedice la sorte per tutta la sua vita, davvero non mi rallegrerò per questo, ma a causa di ciò smetterò invece di addolorarmi per i suoi idoli? E ora entro in un’altra casa, il cui proprietario non è un pagano, idoli visibili non ne ha, ma è abitato da cattiveria e odio nel cuore. E davvero non mi rallegrerò prima di tutto del fatto che è un cristiano, e davvero a causa di ciò smetterò di addolorarmi per la sua cattiveria? Ecco che vengo a trascorrere la notte in un altro villaggio, da un riccone, proprietario di una taverna, ed egli è così pacifico, mi accoglie, mi dà valenki [calzature invernali russe, ndr] e vestiti per il viaggio. E davvero non mi rallegrerò della sua mitezza, ma a causa di ciò smetterò di addolorarmi per la sua ricchezza? E se incontrerò un povero malvagio, sarò sempre lieto della sua povertà, della sua benedizione e del suo cuore propizio, e addolorato per i suoi idoli interiori?

Fratelli, in mezzo ai popoli più oscuri ho incontrato alcuni che vivono in povertà e ringraziano senza sosta l’Altissimo. E voi, astuti e malvagi uomini di potere, non biasimateli. Molti di loro potrebbero aspirare al vitello d’oro come voi, ma non è mai stato nel loro cuore: spesso la ricchezza passava tra le mani, ma la divideva sempre con tutti. La sua mano non si muoveva per aumentare il podere, è rimasta intatta per tutta la vita. In un governatorato trascorsi la notte a casa dell’uomo più povero del villaggio; sin da giovane non amava le serrature e per questo aveva persino rimproverato la moglie in mia presenza di aver nascosto qualcosa in una cassa. Dove ci si può arricchire con un tale amore, con una tale saggezza, con una tale distinzione del vero bene?

La ricchezza della terra è un idolo visibile e lo riconosco da lontano, non appena mi avvicino a un’isba con alti cancelli, con catene di ferro, con un branco di cani cattivi. Dico loro: Pace, miei fratelli minori, pace, fratelli dei cani, vedete, secondo il comandamento non ho un bastone, per non irritarvi, per parlare di pace anche ai cani. Ma chi può calmare i cani affamati del riccone?

Gruppo MAGOG