01 Aprile 2018

Dio è per tutti, ma si rivela a pochi. E noi dobbiamo avere la furia di fiocinare gli angeli

Dio è per tutti, ma si rivela a pochi, ai rari (“Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio”, At 10, 40-41). Quando si rivela, Gesù risorto non insegna, non importa nuove dottrine: Gesù risorto condivide il cibo con i prescelti, i discepoli, cioè la terra (“noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”, At 10, 41). Ad ogni modo, è la carne ad essere prediletta, la gioia nello spartire la carne del mondo. Al contrario di quanto dice Pietro in Atti – potremo dire, la potenza di una testimonianza ‘carnale’ – Paolo, nella Lettera ai Colossesi insegna che se siamo “risorti con Cristo” dobbiamo volgere “il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3, 2). La resurrezione di Gesù, che è Cristo, comporta una vita nuova da parte del cristiano: il cristiano è morto (“siete morti”) con Gesù ed è “risorto con Cristo”. La resurrezione è ora, qui, quindi, ed è pari a una clamorosa conversione. ‘Vita eterna’, forse, significa eternamente, dalla Pasqua, benedire questa vita. Nel racconto di Giovanni la testimonianza del Dio svanito dal sepolcro è concessa a Maria di Màgdala, non ai discepoli. Maria di Màgdala corre da Pietro e da Giovanni, i quali, in una corsa forsennata, raggiungono il sepolcro. Il sepolcro è figura della cella, da luogo di morte è voltato in grembo, antro di vita – come Giona risorge dal ventre della balena, rinnovato nella polemica. Pietro – che ha tradito tre volte, che è stato censito da Gesù con l’epiteto ‘Satana’, ma anche come il pilastro della Chiesa – indugia. Giovanni, invece, si getta. Prima ancora di “avere compreso la Scrittura”, “vide e credette” (Gv 20, 8-9). Giovanni non ha visto Gesù: ha veduto soltanto “i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo… avvolto in un luogo a parte” (Gv 20, 6-7). Gli basta questo – mentre gli altri pensano, come faremmo noi, che il corpo di Gesù sia stato trafugato, “portato via” – per credere. La fede non ha misura di prova, protagonista è il fedele, che si avvita nella spirale del sepolcro, come fosse un abisso – guardare il sepolcro è sfidare la fossa oceanica, il cuore dove la vita sfiata in morte e viceversa. Maria di Màgdala va al sepolcro “di mattino, quando era ancora buio” (Gv 20, 1), quando il mattino, come un bambino, si fa spazio dal sepolcro della notte. Allo stesso modo, Gesù è una luce che erompe dal buio, che esplode. L’uomo, nonostante il sepolcro sia schiantato, la pietra rotolata – un grande scultore potrebbe usarla per sbalzare una memorabile Pietà – è ancora lì ad ammirare i teli e il sudario. Preferiamo stare al cospetto della morte, ai piedi della Croce, che affrontare la vita eterna, usando la Croce come un piede di porco per far decollare i cancelli del cielo. Cos’è la vita, cos’è l’eternità, cos’è la carne della terra che Gesù condivide con i discepoli, gli scelti, che cosa sono le “cose di lassù” a cui ci obbliga Paolo? Resurrezione, forse, vuol dire mutare la propria spina dorsale in un falco e dilatare le costole in ali. Avere la furia di fiocinare gli angeli e mangiare i loro occhi per desiderio di altitudine e di alterità. Di certo, la vita eterna non riguarda chi è frustrato dalla vita terrena. (d.b.)

 

Con questo breve commento alla liturgia domenicale apriamo uno spazio all’interrogazione settimanale della parola sacra, spogli, poveri, senza basiliche bibliografiche, a testa bassa.

 

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