Sfoglio “Paris Review”, giornale mitologico – americano ma fondato a Parigi – soprattutto per le interviste ai grandi autori. Mi fermo su una poesia, pubblicata nell’ultimo numero. “The Suicide of Cesare Pavese”. Procede per distici, e onora i 70 anni dalla morte di. Comincia così: “un bimbo sepolto/ è dissotterrato// quota zero/ buco aperto// lì da sempre/ un passo oltre// caduto dentro/ una sentenza”. La poesia, senza esultare, va avanti. L’ha scritta Emily Fragos. M’informo. Poetessa, Guggenheim Fellow, insegna alla Columbia e alla New York University. Insegna poesia, anche, ai disabili, nelle case di riposo per anziani. Il lavoro più interessante – per noi, da questo lato dell’oceano – è la curatela delle lettere di Emily Dickinson, una scelta antologica di un qualche successo. Su quello è stata intervistata da David O’Neill. Ecco alcuni passi dall’intervista.
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La data chiave da cui partono le discussioni è il 15 aprile del 1862, quando Emily Dickinson scrive all’allora redattore dell’“Atlantic”, Thomas Wentworth Higginson, “è troppo occupato per potermi dire se la mia Poesia è viva?”. A quel punto, la Dickinson aveva già 32 anni, era un poeta compiuto, benché sconosciuto…
A quella data scopriamo una donna giovane, vivace, brillante, spiritosa, con molti amici, uomini e donne, che adorava. Viaggiava, si divertiva, suonava, a scuola era una stella. Tutti quelli a cui scriveva erano certi che fosse una persona unica, di enorme talento.
Quindi lo stereotipo della solitaria zitella non è corretto.
Ovvio. A quell’epoca non vediamo una donna reclusa, che veste di bianco e vive separata da tutti scrivendo poesie misteriose. Al contrario, è una persona amabile, che studia e lavora, che è stanca e felice, a volte sconvolta, che prende parte alla gestione di una famiglia indaffarata, che si occupa della madre, costretta a letto. Certo, intravediamo i tratti di una personalità particolare, soprattutto dalla potenza dei suoi sentimenti. Ma il dono che ci offrono le prime lettere della Dickinson sono i dettagli che ne demistificano la leggenda, che ci ricordano che era una donna reale in un momento preciso della storia. Le poesie, che ci appaiono eterne, moderne, assolute, ci fanno dimenticare che la Dickinson è vissuta nel XIX secolo, nel pieno della guerra civile. Nelle lettere leggiamo lo svolgersi delle stagioni, che le persone cadevano come mosche e che c’erano mosche ovunque, a tonnellate, in quelle estati asfissianti. C’erano soldati che bussavano alla porta della fattoria Dickinson. La Dickinson è una donna che ha accettato precocemente la contraddizione e il paradosso che animano il suo pensiero. Nel 1861 scrive: “Strano che io che dico ‘no’ non riesca a sopportarlo da altri. Strano che io che fuggo da tutti non riesca ad accettare chi fugge da me”.
In che misura le lettere si legano alle poesie della Dickinson?
In molti modi. Le faccio solo un esempio. Quando la Dickinson perde la sua governante, che si sposa, scrive che, in effetti, le manca davvero una cameriera – e lo scrive in un linguaggio comune. Ma poi, c’è il salto: “A tutto tranne all’angoscia la mente si adegua presto”. Questa fusione tra il piccolo e il vertiginoso, tra il dato quotidiano e il pensiero assoluto, è il tratto fondamentale della Dickinson, nelle lettere come nelle poesie. I salti dell’immaginazione sono sorprendenti. Ci vuole solitudine, silenzio, genio effervescente per vivere in questo regno. Altrimenti, ci si ferma a: “Accidenti, quanto ci manca la nostra cameriera, Maggie”. Le lettere, intendo, sono parte della poesia della Dickinson, sono blocchi che censiscono le crisi, le gioie, i dettagli. Nate dall’isolamento, possono vagare libere, in una specie di anamnesi del proprio sentire. Niente è sotto controllo. Il concreto diventa astratto. Il personale diventa universale. Le lettere trascendono il fatto biografico, ascendono al reame della poesia.
Ogni anno nascono nuove interpretazioni, teorie, revisioni sul lavoro della Dickinson, sulla sua mistica. Cosa rende la leggenda di questa poetessa tanto affascinante?
La Dickinson mistica ci stordisce. Fu una reclusa; una poetessa del XIX secolo, una donna, venuta dal nulla, che non svanisce nell’oblio di una creazione insoddisfacente; che ora è considerata come uno dei più grandi poeti di ogni tempo. È una poetessa profondamente intima. Ogni lettore che si avvicina alla Dickinson sente il suo sussurro audace, fermo, elettrizzante, la sua insondabile facoltà immaginativa che paralizza per il dolore, eccita di gioia; la capacità di esplorare con un linguaggio appena coniato stati emotivi estremi, scendendo a profondità spaventose e scrivendo di quelle profondità e sopravvivendo al precipizio. Che cose che scopre! Nei momenti di crisi, un lettore si salva leggendo la Dickinson. Una volta ho detto a un’amica, “è come se la Dickinson ti mettesse in mano una bomba, e così ti calma…”. In alcune poesie sembra rispondere alla domanda atavica su cosa significhi morire, essere morti. Non le importava della storia, ma dell’eternità, ha detto. Le poesie ne sono la conferma. Ted Kooser [già Poet Laureate americano dal 2004 al 2006 e Pulitzer per la poesia, ndr] ha scritto una breve poesia, rivolgendosi alla Dickinson: “Se puoi svegliarti/ nel familiare/ e scoprirlo strano/ non devi mai uscire di casa”.
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A Samuel Bowles, 1875 circa
Caro amico,
un’esperienza squisita vederla – una Pesca – quando è una primizia – rende possibile tutte le stagioni e fa apparire gli Emisferi un capriccio. Noi che critichiamo severamente “Le mille e una notta” perché non raggiungono il livello della verità, evitiamo la trita saccenza di chi le considera pura finzione.
Sentiamo la mancanza del suo vivido Volto e dei seducenti e complessi accenti che lei porta dai suoi Rifugi Numidici. La sua venuta rinsalda quello strano falso Gioiello che è la Vita: l’indossiamo tutti, ma non appartiene a nessuno di noi e la fosforescenza luminosa che acquista su lei ci sorprende per la sua durata. Per cortesia lasci in pace la Vita che appartiene a tanti, perché le Gemme si danno alla fuga –
Se morremo, verrete come avete fatto per mio Padre? Lei, ‘non nato per morire’ deve procedere in senso contrario rispetto a tutti noi.
Emily
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A Otis P. Lord, 1883 circa
Sottrarre ciò di cui è fatta l’Estasi, non implica sottrarre l’Estasi.
Come Polvere da sparo in un Cassetto – le passiamo accanto con una Preghiera – Tuono appena assopito.
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A Susan Gilbert Dickinson
Non esiste sogno che regga il confronto con la realtà, perché la Realtà stessa è a sua volta sogno dal quale una parte sola dell’Umanità si è risvegliata mentre alcuni di noi sono una Penisola estranea.
Non esiste messaggio che sa il messaggio estremo, perché quello che diciamo ha già avuto luogo.
La conoscenza del miele e del pungiglione sarebbe dovuta esaurirsi in Eden. Il dolore è ciò che era prima della pace.
Gli inizi sono sempre più spaventosi della fine – perché è un’identità vacillante quella su cui si fondano.
Morire prima di averne paura può essere un dono davvero divino.
*Le citazioni sono tratte da: Emily Dickinson, “Lettere 1845-1886”, Einaudi 1982, a cura di Barbara Lanati