Il poeta non è un’avanguardia – è l’avvenire. La poesia non si fa conoscenza – i poeti che filosofeggiano sono maniaci della noia –, approda, semmai, nello sconosciuto, in ciò che nessuno considera. Confida nell’inaffidabile, nell’infinito, nell’informe. Dal momento che l’opera di un poeta, per chi vuole il confort, sconforta, ci si getta nella sua biografia, agile alla fiction.
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Nell’amazzonica bibliografia che riguarda Emily Dickinson, va recentemente sommato un nuovo libro. Lo ha scritto Martha Ackmann, s’intitola These Fevered Days e racconta i dieci giorni essenziali che “hanno fatto Emily Dickinson”. Uno di questi è il 6 febbraio 1848. Emily ha 17 anni, “è una giovane studente al Mount Holyoke Female Seminary” e si scontra contro la direttrice, Mary Lyon. “Ciò che Emily ha fatto – o meglio, non ha fatto – quel giorno ha modellato il pensiero per il resto della sua vita, informando anche la sua poesia”. In sostanza: “Quando Miss Lyon chiede alle sue alunne che intendano professarsi cristiane di levarsi in piedi, Emily è l’unica a rimanere seduta. È il primo ‘no’ pubblico a chi minacci la sua libertà interiore” (Marisa Bulgheroni nella Cronologia al ‘Meridiano’ Mondadori che raduna Tutte le poesie della Dickinson). Carino. Restiamo però nella palude consueta che connette vita a opera – la vita diviene, va, ma è meno enigmatica dell’opera, immobile, un totem, inesplicabile.
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Più interessante, piuttosto, il contributo di Michelle Kohler, che ha curato per la Cambridge University Press un volume The New Emily Dickinson Studies (2019). Il suo articolo, in particolare, si ferma sui rapporti tra la Dickinson e la teoria di Darwin, o meglio, lo sconvolgimento scientifico ed epistemologico che il darwinismo ha comportato. La lingua della Dickinson, cioè, racconta, per i futuri – versi scagliati come una fioriera di fuochi – il ‘mondo nuovo’ – gli Usa che trovano consapevolezza letteraria autonoma – e il modo nuovo di concepire il mondo. Gli studi della Kohler sono divulgati in forma di articolo su “JStor Daily” come How Emily Dickinson Wrestled with Darwinism (sotto la traduzione).
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Alcune poesie del ‘canone Dickinson’ pare scaturiscano dal ‘clima’ di lotta intellettuale seguito alla pubblicazione de L’origine delle specie (1859). Ad esempio, la numero 180 (qui nella traduzione di Silvio Raffo):
Come se un piccolo fiore artico
dall’orlo del polo vagando
scendesse le latitudini
finché stordito giungesse
a continenti d’estate –
a firmamenti solari –
a luminose, nuove folle di fiori –
a uccelli di una lingua a lui straniera!
Dico, se questo fiore
vagasse fino all’Eden –
cosa accadrebbe poi?
Niente! soltanto,
ciò che ne deducete!
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Secondo la Kohler, il dilemma tra rivelazione e evoluzionismo la Dickinson lo svolge in una poesia del 1872, la 1241 del ‘canone’, questa:
Il lillà è una pianta molto antica
ma ancor di più
il lillà del firmamento
sopra il colle stanotte –
Il sole concludendo la sua corsa
affida quest’ultima pianta
alla contemplazione – non al tatto –
fiore dell’Occidente –
Una corolla è l’Ovest –
il calice è la terra –
i semi rilucenti della capsula
le stelle – lo scienziato della fede
è soltanto all’inizio dell’indagine –
sovrasta la sua sintesi
la flora impenetrabile
all’analisi del tempo –
“Non ha occhio veduto” è forse cosa
normale per il cielo
ma la rivelazione mai non sia
costretta dalle tesi –
La poesia – qui nella versione di Silvio Raffo – è stata tradotta anche da Mario Luzi (es. “C’è al di sopra della sintesi/ la flora inattaccabile/ dall’analisi del tempo./ Occhio non ha veduto è possibile/ sia norma per un cieco,/ ma la Rivelazione/ non sia di tesi prigioniera”). La grandezza della Dickinson va in galassie metaforiche, non arginabili nel contrasto Revelation vs. theses. Il grado ‘filosofico’ della Dickinson, pensatrice efficace, d’acciaio – nel 1857 accade il distratto incontro con Emerson, su cui aleggia nebbia onirica: “Forse in quell’occasione Emily, di cui nessuno segnala la presenza, commenta: ‘Sembrava venire dalla terra in cui hanno origine i sogni’” – è marcato da Wallace Stevens, poeta d’efficacia trascendente, traslucida, dickensoniana. D’altronde, la pista critica che studia i rapporti tra l’opera della Dickinson e la scienza è aperta da tempo (es. Robin Peel, Emily Dickinson and the Hill of Science, 2010).
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I tormenti della scienza entrano in brandelli di epistolario, pur frantumati in una lingua che spiazza, che spazza ogni conforto esegetico – per fortuna. Nel 1861 allo “sconosciuto”: “La fede di Tommaso nella Anatomia era più forte della sua fede nella fede”. Quanto al resto, basti la descrizione – siamo nell’aprile del 1862 – con cui la Dickinson si cede a Thomas W. Higginson: “Canto come il Ragazzino quando passa vicino al Cimitero – perché ho paura – Mi chiede dei libri che amo – I miei poeti sono – Keats – e i Browning. I miei prosatori – Ruskin – Sir Thomas Browne – e l’Apocalisse. Sono andata a scuola – ma nel modo in cui l’intende lei – non ho avuto un’istruzione. Da bambina, avevo un amico, che mi ha insegnato l’Immortalità – ma essendosi arrischiato ad andarle troppo vicino, lui stesso – non ha più fatto ritorno – Subito dopo è morto il mio Maestro – e per parecchi anni il Vocabolario – è stato il mio unico compagno” (cito dalla traduzione delle Lettere di Barbara Lanati, Einaudi, 1982).
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Tutto della Dickinson è lì, in effetti, nel calibrare il barometro che lega Immortality a Lexicon. Il resto, è il dolce, incauto precipizio in una mente più vasta di un continente e della sua deriva. Sapeva, della clausura, il fiore, del claudicante il risorto. (d.b.)
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Come Emily Dickinson ha lottato contro il Darwinismo
Emily Dickinson non passa mai di moda. Una nuova biografia, firmata da Martha Ackmann, è appena uscita. Il film, Wild Nights With Emily, una commedia biografica, è attualmente in streaming. L’ovvio cliché della mistica zitella del New Englad che ha optato per la clausura è stato messo da lato per indagini molto più sfumate e interessanti della mente della Dickinson. Aveva, ad esempio, grande interesse per la filosofia del suo tempo.
Come spiega la studiosa Michelle Kohler, “Negli studi più recenti, la Dickinson è vista come curiosa di astronomia, geologia, botanica, filosofia, e del darwinismo – studiosa per diletto, che scorreva discorsi scientifici e filosofici, vi si confrontava più che soccombere al proprio isolamento”. In particolare, la Kohler esplora in The Apparatus of the Dark: Emily Dickinson and the Epistemology of Metaphor, come le “discipline scientifiche” abbiano attecchito nella poesia della Dickinson, nelle sue ricche metafore. Gli anni più prolifici della Dickinson, in effetti, coincidono con le “profonde controversie” che riguardano il senso della “conoscenza”. La poetessa, avida lettrice dello Springfield Daily Republican – guidato da un amico, Samuel Bowles – di Scribner’s, Harper’s, dell’Atlantic Monthly, era consapevole di questi dibattiti intellettuali.
“Sulla scia della pubblicazione de L’origine delle specie, nel 1859, da parte di Darwin, comprendere non significava soltanto esprimere fatti e vocaboli specifici, ma essere immersi nella loro rovina”, scrive la Kohler. “Questa destabilizzazione, questa rovina è stata tanto inquietante perché le ricerche scientifiche e accademiche non erano ancora distinte così nettamente dalla teologia”.
L’eredità teologica del Puritanesimo era forte. Il metodo di ricerca, negli Stati Uniti dei primi decenni del XIX secolo – il metodo empirico o “baconiano” – presupponeva una “creazione immutabile e intelligente” ad ordinare l’universo. La nozione darwiniana di “un mondo contingente, retto dal caso” contempla un altro modo di pensare. Il darwinismo, scrive la Kohler, “può produrre concetti mutabili e contingenti che riguardano una probabile conoscenza più che la Verità”.
Per la Dickinson, vissuta nel pieno di questo conflitto intellettuale, ciò significò una transizione. Era cresciuta nell’unico approccio che dominava la scienza: la verità è una entità fissa rappresentata dall’ordine divino. Darwiniani come Asa Gray e altri ingaggiarono un vigoroso dibattito contro i Baconiani (incluso almeno un amico influente della famiglia Dickinson) sulle riviste del New England.
La Kohler legge le poesie della Dickinson dal 1860 come interventi in “questa vasta e costante valutazione culturale della verità e dei metodi che la producono”. Studiare “le implicazioni che ha l’opera della Dickinson con la scienza e i suoi metodi significa quindi studiare il suo impegno nei riguardi dell’ampio smantellamento di qualsiasi nozione epistemologica stabile o nozione fissa di verità, sia essa scientifica o teologica”. Se le poesie della Dickinson sono ellittiche e disorientanti lo sono anche perché i tempi lo erano. “Ciò su cui si focalizza la Dickinson è rivedere nel linguaggio i concetti di rivelazione e di verità”, scrive la Kohler, suggerendo l’assoluta contemporaneità della poetessa.
Matthew Wills