03 Ottobre 2020

“La sua cittadella interiore è così inespugnabile che Dio stesso non riuscirebbe più a entrarvi”. Breve discorso sul diavolo (leggendo Fabrice Hadjadj)

Il pensiero consolante del male, della sua esistenza in persona. Durante l’estate ho letto praticamente niente, mi sono aggirato per le regioni d’Italia, per accertarmi fossero ancora confinanti, che tra la Toscana e l’Emilia Romagna non si fosse aperta una faglia incolmabile; che alla Liguria non fosse capitato di staccarsi e andare alla deriva come in un romanzo di Saramago. A Perugia capito davanti alla vetrina di una libreria, mi colpisce un titolo: La fede dei demoni, di Fabrice Hadjadj, Marietti 1820, neanche di ultima stampa, è un titolo del 2010. Hadjadj: mai sentito. Però: com’è seducente quel titolo dagli immediati rimandi dostoevskiani… Controllo sbrigativamente online: Hadjadj, origini ebraico tunisine, filosofo francese ateo e anarchico in gioventù, convertito al cattolicesimo in vista dei trent’anni, sposato e con famiglia numerosa, iter canonico del pompiere che appicca in anticipo i roghi che si periterà di spegnere per fare carriera. Desisto.

Il titolo del saggio continua a farmi compagnia durante gli spostamenti, al ritorno a casa taglio corto, lo ordino, alle prime pagine leggo “Se il fatto di essere diventato cristiano mi spedisse incontro al peggio?”. L’interrogativo mi fa ben sperare sull’onestà intellettuale con la quale avrà provato a scriverlo. Leggo “Satana è molto spirituale” e ricordo il testo della canzone del gruppo musicale Bisca, anno 1996, Lo sperma del diavolo: “Lo sperma del diavolo è freddo freddo / Perché è avaro di ogni emozione”. Fabrice Hadjadj crede al diavolo per lo stesso motivo per cui il diavolo in Il maestro e Margherita di Bulgakov crede a Dio: sono l’uno la prova dell’esistenza dell’altro. Il diavolo secondo Hadjadj s’avvicina molto ai demoni dostoevskiani, cioè agli uomini che vogliono dimostrare al mondo quindi principalmente a sé stessi la loro autonomia di pensiero, la loro massima indipendenza, in sostanza: la loro rottura con l’ossessione di non poter mai sentirsi autodeterminati del tutto, figli di un dio e non trini in proprio dunque padri e figli del proprio sé. I demoni umani fin troppo umani di Dostoevskij si vogliono intelligenti per potersi erigere al di sopra di tutto. Dubbio da carogna: come Hadjadj prima dei suoi primi trent’anni? Sarà un trito pseudopsicologismo ma quale che sia l’argomento di cui si scrive, come non si può contemporaneamente non star scrivendo anche di sé?

Luca Giordano, San Michele sconfigge gli angeli ribelli, 1666

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Il diavolo di Hadjadj è raffinato e rattristato, sembra condannato alla sua natura come i vampiri dal sexappeal rifatto a nuovo nella saga di Anne Rice. Nel diavolo “La scienza non diventa saggezza: non si trasforma in bontà”. Il diavolo è colui che non converte il potere che ha alla causa del bene, ovvero non lo trasforma in un vantaggio che a prima vista non lo coinvolge, anzi, potrebbe mandarlo in perdita secondo la contabilità utilitaristica di questo secolo ovvero di tutti i secoli, in proporzione alle conoscenze e alle tecnologie messe a disposizione. Il vero autoinganno del diavolo, pare a me leggendo la disamina che ne fa Hadjadj, è di sentirsi appunto intelligente quando è tutt’al più un furbo matricolato, un doppiogiochista nato: “il diavolo cerca sia di far assassinare Cristo, sia di farlo amare in modo sbagliato”. Il diavolo è aggiornatissimo sulle strategie di comunicazione messe a punto nel suo tempo e come tutto ciò che ne è strettamente interlegato sparirà con lui: “Non vi è nulla di più efficace per eliminare un saggio che farne un personaggio: non vi è nulla di meglio per eclissare la propria stella che renderla mediatica e farne una star”. Il diavolo è il caso editoriale dell’anno, mica un classico della letteratura.

Una evidenza: Hadjadj non rinuncia ai giochi di parole, vedi: stella/star, alle impennate dello stile, alla frase radicale: si è convertito, lotta per la causa del bene svelando le manfrine celebrali del male, ma come rinunciare al fascino indiscreto di un lucidalabbra allo zolfo?

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Il diavolo non vuole cambiare: “Cambiare natura, fosse pure per passare a una superiore, equivale a un auto-annichilimento”. È statico, quindi il più grosso dei codardi, ma quest’è ancora la lettura in controluce che faccio del saggio di Hadjadj che è decisamente più metodico e circostanziato dei piluccamenti che ne dico: Hadjadj legge criticamente i brani evangelici delle tentazioni, estrapola dalla Genesi e da Giobbe, cita dalla patristica, sa distinguere l’arcangelo Gabriele dal demone Legione (giocando con le concordanze soggetto-verbo passando dal singolare al plurale in uno sperimentalismo che non sfigurerebbe ne I canti del Caos di Moresco). Leggendo La fede dei demoni non riesco a darmi l’impressione di starmi procurando un identikit migliore sul diavolo, per stargli alla larga, ma di star visitando i demoni di Hadjadj e per quanto siano distanti la mia vita e la sua il fatto stesso di appartenere entrambi alla specie umana ci accomuna e quindi i suoi demoni non possono essere stranieri: popolano il medesimo microbiota. Parafrasando alla grossa l’Aldo Busi de La signorina Gentilin dell’omonima cartoleria: siamo tutti lo stesso intestino.

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Il male è un tema talmente interessante: ci permette di parlare del bene che desideriamo senza doverlo dare a vedere, senza arrossirne. Come per l’Italia recente, bacata da un discorso d’odio dietro l’altro: cosa sta chiedendo se non quello che le manca, di poter tornare a praticare l’amore senza per questo sentirsi anti-storica e commercialmente invendibile ora che il mercato lo domina il serial killer e la scopata compulsiva? Chi ci pensa a quei poveri serial killer arcistufi di inventarsi sadici rituali d’omicidio mappoi con il loro agente chi ci parla? Chi pensa a chi praticherebbe la castità perché è una perversione che lo tenta ma non può perché prima deve estinguere il mutuo e quindi tenere alto l’hype dei pornofan? In Gli autonauti della cosmostrada a firma Cortázar-Dunlop una nota in basso specifica che è in italiano nel testo l’espressione dolce far niente: la lingua italiana sapeva rendere dolce anche il niente! Com’è che oggi sappiamo fare di tutto mandandolo però in acido? (Anche nel diario di Lupo e Orsetta ci sono i demoni che li rincorrono sull’autostrada, c’è la morte che prova a bucare i pneumatici e a interrompere il viaggio, l’avventura, ma l’avventura va avanti, e i demoni loro malgrado dovranno imparare quanto invulnerabile sia una storia scritta dall’inizio alla fine, specie se tessuta dall’interno dall’ostinazione di un amore. Possono impossessarsi dei corpi ma dei corpi restano pugni di cenere: sono le storie le incarnazioni perenni).

Papa Silvestro II e il diavolo, 1460 ca.

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La mia lettura del saggio di Hadjadj non potrebbe mai piacere al diavolo, il diavolo è sistematico, e neppure a Hadjadj, che ha scritto lezioni corredate di pathos, di frasi che si prestano al clamore, come quando deve commentare chi si fa un credo a comodo suo, agnostico come si suol dire, e che fa a meno dei regolamenti della liturgia: “una spiritualità oscillante tra il masturbatorio e l’orgiastico”. Hadjadj conosce le trappole tese al convertito, dall’immoralità al moralismo il passo è talmente breve ch’è tutto da vedere s’è stato compiuto, non per questo Hadjadj in certe pagine non ci entra con entrambi i piedi: sempre con della grazia coreografata però.

Quale ritratto fosse pure del Nemico per antonomasia si può portare a termine senza provare nemmeno un briciolo d’amore per colui che si è ritratto? Hadjadj riserva al diavolo ogni registro, dall’offesa beffarda, “Babbo Natale della rivolta”, al riconoscergli di essere un protagonista della speculazione umana, citando da Thomas Browne ( il diavolo è “l’ultimo e comune promotore di false opinioni”), ricordando che “Kierkegaard definisce il demonio come l’angoscia davanti al bene”; fino all’intestargli una capacità di resistenza degna di un eroe da epopea: “La sua cittadella interiore è così inespugnabile che Dio stesso non riuscirebbe più a entrarvi”. Il colpo più duro, pronunciato col volto terreo come quando l’amato dichiara all’amata che non può amarla più: “Il diavolo è senza ventre”. Una lite da capogiro. Coniugale.

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Sicuramente c’è del beneficio di tipo teologico nel leggere La fede dei demoni, il mio invito a leggerlo è di diversa natura, riguarda il poter assistere all’operazione di scrittura con cui Hadjadj trasmette passione nel soggetto che ne è costituzionalmente privo: il diavolo di passione non ne sa e non ne vuole sapere niente, ne ha troppo terrore, per questo non morirà mai umiliato su una croce e per questo non proverà mai l’estasi della resurrezione che attenzione non viene dopo la morte umiliata né la risarcisce, avviene in contemporanea e non ha più un prima o un dopo: è questo il mistero del bene, questo masochismo che forse non lo è, che forse è la massima espansione d’amore. Dico: che l’epilessia di Dostoevskij non sia stata la causa della sua ispirazione poetica ma la diretta conseguenza? Del terremoto di Lisbona, disgrazia caduta a fagiolo per l’opzione atea, Hadjadj apodittico scrive: “Dietro il cataclisma c’è il demonio”. Lo stesso può dunque essere fatto valere per ogni flagello di natura. Hadjadj conclude il libro con una citazione dall’Apocalisse e con una citazione dall’Apocalisse David Quammen apre Spillover, il suo libro à la Cassandra del 2012. In Spillover Quammen a proposito delle pandemie scrive: “Chi stabilisce queste regole? A meno che non siate creazionisti, la risposta è «nessuno». Sono conseguenze dell’adattamento, esiti di strategie per la sopravvivenza scolpiti dal cesello dell’evoluzione a partire da un vasto numero di modelli possibili. E continuano a valere perché funzionano”. È più dolce persino il niente se c’è un diavolo disposto ad assumersene la parte, ad addossarsi il ruolo fondamentale dell’antagonista senza il quale nessuna storia è possibile e dunque nessuna creazione.

Antonio Coda

Gruppo MAGOG