Di norma, non amo i proclami, non mi piacciono gli scrittori ‘impegnati’ – pregni di troppe opinioni e di scarsi romanzi – e il Pen – per quanto ci abbia fatto parte Joseph Conrad – mi pare, per natura, un controsenso all’assoluta – e dissoluta – individualità dello scrittore. Ma le norme ammettono eccezioni, ambiscono al disordine. Bene. Il 14 novembre scorso il Pen International commemora il “Day of Imprisoned Writer”, il giorno degli scrittori – o dei giornalisti – imprigionati per ragioni poco civili, politiche. Non che uno scrittore in carcere sia diverso da un comune mortale, ma il segno è chiaro: è come se imprigionassi il linguaggio, la quintessenza dell’uomo, il suo cuore. Shahidul Alam, bengalese, è un fotogiornalista che è stato arrestato lo scorso agosto con l’accusa di aver diffamato il proprio Stato attraverso il suo lavoro. Rimarcare che la libertà di opinione è un diritto e che il linguaggio vada esercitato, sempre, in modo furibondo, polemico, in favore d’indignazione, mi pare sgarbato tanto è ovvio. A prendere le difese pubbliche di Alam si è messa Arundhati Roy, scrittrice di chiara fama – dopo “Il dio delle piccole cose” ha pubblicato “Il ministero della suprema felicità” – tra le più note, oggi, in India, che non ha speso il proprio successo in divani e comparsate tivù, ma per lottare. L’amico di una vita, Carlo Buldrini, che ho avuto il privilegio di intervistare, ha confermato, a una mia richiesta di dialogo, che “Arundhati vive in un rischio costante, è sotto assedio, temo per lei”. Insomma, di Arundhati Roy possiamo non amare i romanzi, non accettare le convinzioni, ma le va dato il pregio, rispetto a tanti scrittori italici da sofà, che intervengono sui giornali senza creare forme romanzesche assolute, che si animano di fronte a eventi lontanissimi dall’attico della loro indolenza, di essere una donna che non teme l’odore della battaglia, l’astio, lo scontro. Così, ho deciso di tradurre parte della lettera che Arundhati, attraverso il Pen International, ha scritto a Shahidul, un gesto di desta rivolta. Frollato, a queste latitudini, in consueta indifferenza. (d.b.)
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Caro Shahidul,
sono passati più di cento giorni da quando ti hanno portato via. I tempi non sono facili nel tuo Paese come nel mio, così, quando abbiamo saputo che uomini sconosciuti ti hanno portato via dalla tua casa, abbiamo ovviamente pensato al peggio. Stavi per essere ‘invitato’ (così diciamo in India per intendere un omicidio ad opera delle forze di sicurezza, senza processo) o ucciso da ‘attori non statali’? Il tuo corpo sarebbe stato trovato in un vicolo o che galleggiava in una pozzanghera alla periferia di Dacca? Quando è stata data notizia del tuo arresto e ti abbiamo visto, vivo, in una stazione di polizia, la nostra prima reazione è stata di gioia…
Se ti stessi davvero scrivendo, non avrei bisogno dirti che il tuo lavoro, le tue fotografie e le tue parole hanno inciso per decenni una vivida mappa dell’umanità di questa parte di mondo – il suo dolore, la sua gioia, la sua violenza, la sua sofferenza, la sua desolazione, la sua stupidità, la sua crudeltà, la sua pura, folle complicatezza – sulla nostra coscienza. Il tuo lavoro è reso luminoso dall’amore e dall’indagine, da una rabbia interrogante nata per testimoniare in prima persona ciò che hai visto. Chi ti ha imprigionato non ha capito minimamente il tuo lavoro. Possiamo sperare che un tempo possa capirlo.
Il tuo arresto è un modo per avvisare i tuoi concittadini: “Se possiamo fare questo a Shahidul Alam, pensate cosa possiamo fare a voi – senza nome, senza volto, persone comuni. State attenti. Abbiate paura”.
L’accusa formale è che hai criticato il tuo Paese in alcuni post su Facebook. Sei stato arrestato ai sensi della norma 57 della famigerata legge del Bangladesh, l’“Information and Communication Technology Act” (ICT) che autorizza “la persecuzione di ogni persona che pubblica, su supporto elettronico, materiale falso e osceno, diffamatorio, che tende a depravare e a corrompere il pubblico, che causa o può causare il deterioramento della legge e dell’ordine, che pregiudica l’immagine dello Stato o della persona, che causa o può causare disturbi a una fede religiosa”.
Che tipo di legge è questa, così assurda e discriminatoria? Che posto può avere in un Paese che si ritiene democratico? Chi ha il potere di decidere quale sia la corretta “immagine dello Stato” che bisogna divulgare? C’è solo una immagine legalmente accettata e approvata in Bangladesh? La norma 57, potenzialmente, criminalizza ogni forma di discorso tranne l’adulazione più sfacciata.
Anche in India questo attacco alla nostra intelligenza è diventato normale. L’equivalente dell’ICT Act è la legge sulla prevenzione delle attività illecite, in base alla quale centinaia di persone, inclusi studenti, attivisti, avvocati e accademici vengono arrestati. Le accuse contro di loro, come quelle a tuo carico, sono fragili, ridicole. Perfino la polizia sa che è molto probabile che vengano assolti in tribunale. Ma la speranza è che prima di allora il loro spirito sia spappolato da anni di prigionia. Il processo è la punizione.
Come è possibile difendersi da leggi come queste? Si tratta di dimostrare la propria innocenza davanti a paranoici certificati. Ogni argomento magnifica la loro paranoia e aumenta la loro delusione.
Poiché i nostri Paesi si avviano verso le elezioni, non possiamo che attenderci ulteriori arresti, linciaggi, omicidi, altri blogger minacciati di morte e martoriati, orchestrati conflitti etnici e guerre di religione e di casta – e inoltre falsi attacchi terroristici, e assassini di giornalisti e di scrittori. Elezioni, lo sappiamo, significa fuoco alle polveri.
Il vostro primo ministro, che sostiene di essere un laico democratico, ha annunciato che costruirà 500 moschee con il miliardo di dollari che l’Arabia Saudita ha donato al Bangladesh. Si suppone che queste moschee abbiano lo scopo di diffondere la forma ‘corretta’ di Islam…
Questo è ciò contro cui lottiamo, questa nitida definizione della nazione perfetta, dell’uomo perfetto, del cittadino perfetto, del perfetto indù e del perfetto musulmano. L’appendice a ciò è la perfetta maggioranza e la satanica minoranza. Europa e Unione Sovietica hanno vissuto la devastazione a causa di queste idee. Hanno sofferto il terrore senza pari della pulizia etnica. Di recente l’Europa ha ricordato l’ottantesimo anniversario della Kristallnacht – l’evento che marca il principio dell’Olocausto. Anche lì tutto è iniziato lentamente. Anche lì tutto inizia con le elezioni. Anche lì gli antichi mormorii sono ricominciati.
Nei prossimi giorni, su questa terra bruciata, cominceranno le elezioni. Useranno le loro leggi, salteranno dall’ombra, per decimare l’opposizione. Per fortuna, siamo persone irrimediabilmente disordinate. Questa folle e miope crudeltà lascerà il posto a qualcosa di visionario, di più gentile. Ne sono certa.
Arundhati Roy