“Il genocidio armeno? Colpa di Cartesio”: intervista a Siobhan Nash-Marshall
Politica culturale
Tra le nuvole, con Constable
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Oggi Alberto Burri compie gli anni. 12 marzo 1915. Ripercorrerne l’importanza è perfino ingenuo, un valzer degli sciocchi, un servizio alla diabolica malia della statistica. Tiziana Cera Rosco attracca in Burri come sa lei.
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Parrebbe un frammento di Sindone lacerato da un osso ardente. Ma il buco è immenso. Le pareti del tempo sono combustibili, una plastica attorno a un nero, ustionano ogni parola che non vuole essere decifrata dal silenzio, si rapprendono al bordo del varco che nessuno può oltrepassare.
Cosa vedi?
Gli altri si contendono i danni del visibile, dissolvono con poco un chiacchiericcio di colori ma tu, tu che sei anche un medico, curi i terremoti chiudendo con una palpebra di pietra lo strapiombo del dolore a Gibellina, tu, che sei anche medico e non mago, ustioni un buco senza organo, mostri il miglio incenerito che nessuno percorrerà per prenderci.
Sarà questo il gesto povero e senza grido da commettere in silenzio? Ustionare. Una cicatrizzazione, l’arrostimento di un pianto, uno sfondamento di pietà, la pelle di un corpo tirata dagli angoli che rapprende dove una punta lacera una carne? O ancora, anche cosi, nulla si tocca, nulla viene toccato?
Completiamo il nostro corpo solo in maniera invisibile.
Di cosa pensi sia fatta la verità di un’opera se non di te che scompari.
Tiziana Cera Rosco