
“Abituarsi agli addii, alla finitezza delle cose, alla volgarità con cui ogni faccenda si estingue”. Storie dal Tempio
Letterature
Veronica Tomassini
Oggi, per dire, direi tutt’altro. Partirei con Horacio Quiroga, l’infelice e inafferrabile scrittore di amazzonie totali, uno che ha vissuta tutta la vita nel ‘cuore di tenebra’, continuerei con Juan Rulfo, a cui sono bastate un centinaio di pagine per cambiare per sempre la storia della letteratura ispanica, e passerei il resto della vita dentro ‘Chadzi-Murat’ di Lev Tostoj. A volte, tuttavia, mi basta la leggerezza di un racconto di Ivan Bunin per farmi dire che la vita è bella. Per dire come l’istinto al vagabondaggio e il miele della menzogna, in me, siano definitivi. Per fortuna, c’è gente come Andrea Caterini, superbo lettore (leggetevi “La preghiera della letteratura”, Fazi, 2016) e sapiente scrittore (leggetevi “Giordano”, Fazi, 2014) che mi mette il cranio in formalina. Il gioco è semplice. I 10 libri della letteratura ‘moderna’ (da Foscolo in qua) che vi paiono indispensabili. Le vostre lettere, speditele qui: dav.brullo@gmail.com.
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Andrea Caterini
Non è una graduatoria da uno a dieci o da dieci a uno. Ho buttato giù la lista rispettando l’ordine con cui le motivazioni, prima che i libri, mi venivano in mente. Una lista che potrebbe cambiare, magari tra una settimana, tra un mese, tra un anno… Ma non è vero, sto mentendo, alcuni di questi libri, dalla lista non li toglierei nemmeno sotto tortura.
Federigo Tozzi, Tre croci. I punti e virgola di Tozzi! La vita che si strozza in un assoluto in cui la parola non basta più, è insufficiente.
Giacomo Leopardi, Le operette morali. È l’eccellenza della prosa italiana.
Henry James, Ritratto di signora. James sognava una vita da poeta, ma ha avuto in sorte una vita da romanzo – e che romanzo.
T. S. Eliot, Quattro quartetti. È il libro della sapienza scritto nel Novecento, da un uomo che ormai vede tutto.
Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo. Il suo romanzo più bello, anche se non il più importante. Il più importante èI fratelli Karamazov. Ma Dostoevskij è il più grande di tutti. All’umiltà fa precedere l’umiliazione. E capisce che il miracolo più grande che l’uomo possa raggiungere, dico vedere, dico vivere, è il perdono.
Malcolm Lowry, Buio come la tomba dove giace il mio amico. Che non ha mai finito, che non avrebbe potuto scrivere senza Sotto il vulcano; eppure, quell’incompiutezza è perfezione formale e stilistica. Tutto accade quando ogni cosa è già accaduta.
Lawrence Durrell, Quartetto d’Alessandria. La realtà è il punto di vista, la visione di chi la guarda. Quattro libri per quattro stili a seconda di chi è che racconta. Il tempo, qui, è uno stato mentale.
Joseph Conrad, Lord Jim. Perché il dubbio non è una scelta ma una visione in cui l’uomo, di fronte la propria morte, si vede per quello che realmente è. Il dubbio è avere una sola possibilità di scelta.
Virginia Woolf, La signora Dalloway. Ma sarei tentato di dire anche Gita al faro; però anche Le onde. È la scrittura che cerca la sostanza dell’umano, che si oppone all’illusione di un ordine, pur sapendo che il caos – la follia – dà spavento, terrorizza. È una scommessa tutta umana. In Woolf non c’è un gran pensiero a sostenerla – solo scrittura, ma divina.
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. A queste profondità (o altezze) nessuno è mai arrivato. C’è tutta la vita. La vita è tutto.