07 Febbraio 2021

"I bambini ci impongono lo stesso scopo della letteratura più elevata". Le confessioni inedite del mangiatore d'oppio De Quincey

Rilanciamo la posta in gioco. Ributtiamo De Quincey sul ring dei contemporanei.

Ci sono poche traduzioni ormai in giro, quella proposta oggi è un saggio del 1848 che sotto il titolo stordente cela in realtà delle sensazioni molto particolari, molto pregevoli. In sostanza, De Quincey spacca in due la letteratura dicendo che c’è quella puramente utile e quella che ci rafforza. C’è un’introduzione sapiente e sbarazzina nel saggio, dopodiché lo scatto: la letteratura che conta è quella che ci potenzia senza istruirci perché ci restituisce al vivo le sensazioni dell’infanzia. O meglio: ci fa vedere e apprezzare l’infanzia intorno a noi.

Finalmente.

Solo una nota tecnica. Idee così imbarazzanti come quella del saggio, quando trasposte in libro, passano quasi inosservate: De Quincey che racconta nelle Confessioni il suo vagabondare a Londra, orfano di dieci anni, ci colpisce forse meno della formulazione netta in un saggio: Guardate che la verità era lì dietro, anni fa, e ve ne stavate scordando.

Ma ormai il gusto dell’infanzia stava arrivando con prepotenza. Dopo un letargo sul continente con le fiabe tedesche dei Grimm, il testimone era passato in Danimarca. Il primo romanzo di Andersen esce nello stesso 1835 che vede la sua raccolta di fiabe: i dotti valutarono solo il romanzo, com’era prevedibile.

Il pubblico diede ragione alle sue fiabe.

Andrea Bianchi

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De Quincey, Letteratura di Conoscenza e letteratura di Potenza

Ogni grande classico della nostra lingua madre dovrebbe essere recensito di quando in quando; e specialmente se appartiene in modo particolare ai costumi, e se in origine la sua reputazione, o il suo stile di composizione, probabilmente è stato influenzata da mode variabili della sua epoca. Sottrarre ad esempio a un poeta drammatico o satirico ogni falso lustro che questi doveva a una connessione momentanea con quella che potremmo chiamare la personalità di una brevissima generazione, o togliergli ogni impropria corazza ai suoi errori che aveva raccolto intorno a sé per pregiudizi politici (o per malanni intellettuali tra i suoi partigiani), a volte modificherà seriamente, dopo un secolo o quasi, il più onesto apprezzamento originale. Una finestra, un quadro di bicchieri dipinti da Claude Lorraine si diffonde sul paesaggio esterno con effetto disturbante, e nemmeno un occhio allenato può sfuggirvi. Gli eidola theatri ci colpiscono tutti. Nessuno sfugge al contagio dei suoi spettatori contemporanei.

Siccome i libri si moltiplicano fino ad eccessi inimmaginabili, la selezione diventa sempre più una necessità per i lettori, e il potere di selezione un problema sempre più disperato per i lettori che abbiano poco tempo. La possibilità di selezionare con saggezza sta diventando continuamente e sempre più un caso senza speranza giacché la necessità di selezionare si fa più pressante. Proprio perché il peso crescente di libri straripa e soffoca il potere di paragonarli, pari passu la richiesta di un paragone si fa più clamorosa; e quindi sorge un dovere altrettanto urgente di cercare e revisionare finché tutto quel che è spurio sia stato estirpato dalla flora della nostra migliore letteratura, e questo finché la perdita di tempo per coloro i quali dispongono di poco tempo non sia ridotta a un minimum. Perché mentre non si può andare sino in fondo al buono si richiede che nessuna parte del cattivo debba rubare un’ora del tempo disponibile; e non si può sopportare che persone senza un minuto da perdere debbano essere obbligate per prima cosa a leggere un libro senza che possano accertarsi se di fatto valga la pena leggerlo. Il pubblico non può leggere per delega qualcosa di buono di cui si deve appropriare, ma può fare questa delega per quanto riguarda il veleno a cui deve sfuggire. E perciò, siccome la letteratura si espande continuamente diventando una necessità di manutenzione domestica, il dovere resta addossato ai critici (che sono lettori vicari per il pubblico) e si fa più urgente – recensire tutti i lavori che si suppongono aver beneficiato troppo poco o troppo indiscriminatamente della superstizione di un nome. I praegustatores dovrebbero aver assaggiato ogni calice riportandone la qualità prima che il pubblico ne chieda uno per sé; e soprattutto dovrebbero averlo fatto per quel che riguarda la migliore letteratura – e cioè, la letteratura propriamente detta.

Thomas De Quincey (1785-1859) ritratto nel 1855

Cosa intendiamo con letteratura? A livello popolare e tra quelli senza sale in zucca si dice che essa includa tutto quel che viene stampato in un libro. Si chiede poca logica per scalfire quella definizione. Anche il più sciocco si convince presto che nell’idea di letteratura un elemento essenziale è una certa relazione a un interesse generale e comune per l’uomo – così che quel che si applica a un interesse solo locale, o professionale, o meramente personale, anche quando si presenti in forma di libro, non apparterrà alla letteratura. In questo modo la sua definizione si restringe facilmente; e si espande altrettanto facilmente. Perché non soltanto molte cose che non sono letteratura si fermano nei libri; ma inversamente molto di quel che è letteratura non raggiunge mai i libri. I sermoni settimanali cristiani della domenica, quella vasta letteratura da pulpito che agisce così estensivamente sulla mente del popolo – per ammonire, trattenere, rinnovare, confortare, allarmare – non pertiene al santuario delle biblioteche nemmeno nella loro decimillesima parte. Ancora, il dramma – come per esempio le migliori tragedie di Shakespeare in Inghilterra e tutte le più influenti opere ateniesi nel mezzogiorno della scena attica – agirono come letteratura sulla mente del pubblico ed erano (secondo il senso stretto del termine) pubblicate per mezzo dell’audience che era lì come testimone prima che fossero pubblicate per venir lette; ed erano pubblicate in modo scenico con molto più effetto di quanto potessero averne come libri in un’epoca in cui ricopiare e stampare era assai costoso.

Per esempio Carlo I quando era principe di Galles e molti altri alla sua corte ottennero familiarità con Shakespeare non con i libri in quarto originali, così poco diffusi, né tramite la prima edizione del 1623, ma tramite rappresentazioni di corte delle sue opere principali a Whitehall.

I libri, perciò, non suggeriscono un’idea coestensiva e interscambiabile con l’idea di letteratura; giacché molta letteratura, scenica, forense o didattica (sia di insegnanti che di oratori pubblici) non potrebbe mai finire dentro un libro, e molta di quella che ci arriva potrebbe poi comportare un interesse letterario nullo.

I cosiddetti Blue Books – sotto questo titolo sono compresi i report stampati di ogni sessione parlamentare dai comitati delle due Houses, e racchiusi in copertina blu – benché spesso spregiati dall’ignorante come carta sciupata, saranno riconosciuti con gratitudine da parte di chi li ha usati diligentemente allo stesso modo che se fossero teste d’uovo per ottenere un’informazione accurata riguardo la Gran Bretagna d’oggi. Come deposito di statistiche fedeli (e non obsolete) sono indispensabili allo studente onesto. Ma nessuno li classificherebbe pe questo motivo come letteratura.

Ma una correzione più importante, applicabile alla comune, vaga idea di letteratura, va cercata non tanto in una definizione migliore di letteratura quanto in una più precisa distinzione delle due funzioni da lei compiute. In quel grande organo sociale che, collettivamente, chiamiamo letteratura, si riesce a distinguere due uffici separati che potrebbero mescolarsi e spesso lo fanno ma capaci, in più occasioni, di isolarsi in modo deciso, e naturalmente congegnati in modo da respingersi reciprocamente. C’è, per prima, la letteratura di Conoscenza; e per seconda la letteratura di Potenza. Funzione della prima è insegnare; funzione della seconda è spronare; la prima è un timone, la seconda un remo o una nave. La prima si rivolge alla mera comprensione discorsiva; può succedere invece che la seconda parli direttamente alla comprensione più elevata, alla ragione, ma sempre tramite sensazioni di piacere e simpatia. […] La grandezza della verità sta nel fatto che può occupare un posto elevato tra gli interessi umani senza essere assolutamente una novità nemmeno per la più semplice testolina: esiste eternamente come un germe o principio latente nel grado più basso come nel più alto, con una necessità di venir sviluppata, giammai di esser piantata. La sua capacità di venir trapiantata è il criterio immediato di una verità che oscilla su una scala molto bassa. Ma oltre questo livello, c’è qualcosa di più raro che non la verità – e precisamente la potenza, ossia la simpatia profonda con la verità. Qual è l’effetto, ad esempio, che i bambini hanno sulla società? Con la pietà, la tenerezza, con modi particolari di ammirazione che li rimandano a una sfera indifesa e senza aiuti, con l’innocenza e con la loro semplicità, i bambini non solo rinforzano e rinnovano continuamente i nostri affetti primari, ma proprio le qualità che sono più care agli occhi del cielo – la fragilità, ad esempio, che è gradita alla sopportazione, l’innocenza che simboleggia cose celesti, e la semplicità che è quanto ci sia di più distante dalle cose mondane – tutto questo viene trattenuto grazie ai bambini nel ricordo perpetuo, e i loro ideali ne sono continuamente rinfrescati. Uno scopo analogo a quello che ci impongono i bambini è perseguito dalla letteratura più elevata, la letteratura di Potenza. […]

Se la sensibilità umana non fosse chiamata in causa in continuazione per esser esercitata dai grandi avvenimenti dell’infanzia, se la vita reale non si muovesse tramite il caso nei suoi cambiamenti, se la letteratura non ricombinasse questi elementi nelle imitazioni della poesia, del romanzo e simili, è certo che questa sensibilità, come ogni potere puramente animale, come ogni energia muscolare, dovrebbe cadere in disuso, e gradualmente abbassarsi consumandosi. È in relazione a queste grandi capacità morali dell’uomo che la letteratura di Potenza, come contraddistinta da quella di Conoscenza, vive e ha il suo proprio campo d’azione. […]

E di questo potete star certi – che dovete ai libri appassionati che avete letto un migliaio di emozioni più di quelle che consapevolmente potete ricondurre a quei libri. Per quanto sia fioca la loro origine, queste emozioni sorgono comunque in voi, e si attaccano alla vita come una muffa, come incidenti dimenticati della vostra infanzia.

Thomas de Quincey

Pubblicato su North British Review, agosto 1847

*Foto di copertina, Statua di Andersen a Central Park 1955

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