Un ammantato stuolo di tirapiedi, forse gli stessi che il poeta avrebbe “cantato” nelle vesti dei perdenti, nei rappresentanti del potere detenuto. Prezzemolini, imbucati, quaquaraquà, ominicchi: insomma, facce messe lì per dire “io c’ero”, “io ho detto”, “io ho partecipato”. E poco importa, senza scomodare Leonardo Sciascia, se sullo sfondo appare il suo faccione bello, quasi borghese, affascinante. Al rito collettivo della memoria di un ricordo occorre esserci tutti, come è accaduto quella volta alla stazione di Sant’Ilario: dal commissario al sacrestano, per dirla alla sua maniera, tutti sorridenti e in fila, a salutare chi “portò l’amore nel paese”.
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Siamo in fila anche se i biglietti li abbiamo già acquistati online con largo anticipo. La formazione è quella storica: lo zoccolo duro delle serate dell’11 gennaio di ogni anno sotto la vecchia pescheria di Rimini, a sfidare il freddo e l’età. A ricordare quel “Pettirosso da combattimento” che è volato in cielo, o più semplicemente plana “sui monti di Trento”.
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La prima conquista arriva prima della proiezione: generazioni diverse – anche se spiccano gli over – che si uniscono per vedere (o ri-vedere) l’incontro di due fiumi. Per i più, quella cosa che verrà fatta vedere ha un formato quadrato, quello delle copertine dei due live. Per altri sono anche quelle parole lì, quelle sonorità lì. E quel timbro di voce suo, unico, che entra e che sembra che parli solamente a te.
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Davide, Elisa, Fausto, Laura, Alessandro, Matteo, Paolo. La richiesta è una sola: presentarsi con qualcosa che ricordi o richiami il Poeta: una t-shirt, un disco, una foto. Fausto chiede se basta un tatuaggio…
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Per 40 anni il regista Piero Frattari ha custodito le riprese di quel concerto che si è tenuto a Genova il 3 gennaio del 1979. Sappiamo che è stato registrato su tre nastri U-matic e che la qualità non dovrebbe essere eccezionale. Poco importa: bastano anche pochi frammenti per riscaldare il cuore, per tornare nel passato. E per chi quella volta a Zena non era presente e oggi ha qualche capello bianco, con facilità segue il Bianconiglio e con la memoria si intrufola in qualche data. Per alcuni audaci è quella di gennaio 1976 all’Altro Mondo Studios di Miramare di Rimini quando si esibì per gli anarchici della Riviera. Per altri il 19 dicembre del 1997 alla Vecchia Fiera di Rimini.
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Fabrizio De André e PFM. Il concerto ritrovato è il docu-film diretto da Walter Veltroni che è stato portato nelle sale per tre giorni soltanto, a cavallo dell’80esimo compleanno di Faber.
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Lo storico filmato del concerto di Fabrizio De Andrè con la PFM, recentemente ritrovato dopo essere stato custodito per oltre 40 anni dal regista Piero Frattari che partecipò alla realizzazione delle riprese.
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Due film in uno. Sembra un’occasione da volantino di un supermercato…
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I primi 30 minuti sono noiosi: “Uolter” Veltroni ha ripreso oggi alcuni protagonisti dell’epoca: si vedono i visi e si sentono le parole di Dori Ghezzi, Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Franco Mussida, Flavio Premoli, David Riondino, Piero Frattari e Guido Harari. La perla: Faber non amava i cellulari ma fu costretto a prenderne uno. Dopo il primo mese gli arrivò una bolletta da 19 milioni di lire e quindi decise di seppellirlo nel giardino della la tenuta dell’Agnata. A fine film si vede un contadino con la vanga che si mette a scavare e casualmente lo ritrova…
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Molto meglio il concerto propriamente detto: le aspettative sulla qualità delle riprese erano basse e invece, tutto sommato, il risultato è apprezzabile. La vera sorpresa però è la qualità dell’audio: ottima davvero sin dal primo pezzo, La canzone di Marinella. Scorrono così i pezzi della tournée che poi è stata raccolta del doppio ellepì: tutti quelli del primo disco e alcuni del secondo (Avventura a Durango, Rimini, Via del Campo, Il testamento di Tito; peccato l’esclusione di Sally e di Maria nella bottega del falegname).
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Il docu-film è dedicato a chi ha visto Faber dal vivo: l’emozione è ancora forte, densa, e ti avvolge in una cortina di fumo. Anestetizza, ti entra nei polmoni per poi ritrovarti a guardare il suo viso mentre canta, il movimento della bocca, le sigarette accese, le sue mani che finiscono tra le corde della chitarra.
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“…io mi dico è stato meglio lasciarci/ che non esserci mai incontrati”.
Alessandro Carli