Mantova 3 giugno 2019
Caro Gianluca,
ho finito ieri di leggere il Marco Polo e dopo aver fatto sedimentare un po’ di idee mi sono deciso che la forma migliore per dare un mio parere non è la “recensione” ma un’epistola come quelle che ci si mandava in busta affrancata prima dell’avvento delle dannate e-mail o dei Twitter da 280 caratteri.
Il tuo Marco Polo è un romanzo dalla scrittura tersa ed esatta. In un libro come il tuo io non cerco solo la lettura piacevole, lo spasso, ‘l’acqua fresca’, ma cerco anche l’uomo della sua epoca. La nostra. Mentre leggevo pensavo che stavi riuscendo nell’intento di raccontare una storia e di raccontare anche l’uomo medievale. Intanto vediamo un parallelismo: Marco è coevo di Giotto ed entrambi sono uomini che aprono la mente ai loro contemporanei. Così come Giotto è colui che rappresenta la nascita dell’arte moderna, Polo è l’uomo dei confini, l’uomo narratore, l’oratore che va per corti a intrattenere. Precedentemente a loro c’era l’immagine bizantina, antinaturalistica, bidimensionale, fondo oro. Non c’è niente che assomigli alla realtà. Basta guardare le immagini fondo oro dell’Imperatore Giustiniano a Ravenna e tutti i mosaici che per 700 lunghi anni hanno decretato l’immaginario collettivo. Con Giotto cambia tutto, con Marco anche: tridimensionalità, figure espressive. Il modo di concepire lo spazio e il corpo cambiano, così come cambiano con l’avventura di Marco Polo. Vera? Falsa? Non ha importanza.
Tu riesci a descrivere il moto rivoluzionario del protagonista attraverso i suoi ricordi, attraverso la sua ‘ideologia’. Finalmente con Giotto e con Marco i fondi non sono più d’oro, ma diventano i blu oltremare, pieni di lapislazzuli. Il corpo raffigurato da Giotto e da Masaccio lo troviamo perfettamente rappresentato dal corpo di Marco Polo, che in prima persona sfida lo spazio e mette al centro il corpo. Non è da sottovalutare questa tua narrazione ‘corporea’, anzi è proprio il centro del romanzo, perché di lì a qualche secolo, con i calcoli matematico-geometrici di Luca Pacioli e la loro applicazione con Leonardo, il corpo verrà sostituito con l’uomo. Con il rinascimento e l’umanesimo sarà l’uomo al centro dell’universo. Non per niente l’uomo vitruviano darà all’uomo l’illusione di essere sempre il protagonista del ‘punto di fuga’, mentre il tuo Marco Polo è ancora lì: sul corpo e sullo spazio, nel corpo, nello spazio. Precario nella sua verità falsa o nella sua falsità vera. Questo è un tema di grande attualità (ecco la mia ricerca dell’uomo!), perché Marco Polo è molto più contemporaneo di Da Vinci proprio perché noi, oggi, abbiamo perso la grande illusione di essere al centro dell’universo, non siamo più epoca di antropocentrismo, ma siamo come Marco degli esploratori di confini ignoti, dei produttori di falsità meravigliose. Il tuo romanzo pone interrogativi molto importanti: Marco Polo che è in noi, nel medio evo accetta la sfida, sfonda la bidimensionalità e sta dentro alla Cappella degli Scrovegni, se mi passi la relazione, entra in un corpo in 3D, espressivo, colorato, giottesco. Non è ancora diventato l’uomo copernicano e galileiano, e infatti le sue visioni ‘oniriche’, i mostri, le interpretazioni, sono tutte pre-scientifiche, però è un ‘corpo’ che viaggia nei confini dello spazio. Così come Giotto rivoluzionerà l’arte, Marco rivoluziona l’idea dell’uomo bizantino, precedente a lui, e per questo mi sento di dire che è il prototipo dell’uomo medievale.
Noi oggi siamo molto più uomini medievali che uomini rinascimentali o dell’umanesimo. Non per niente il corpo è ancora al centro delle nostre coscienze. Il corpo, più dell’individuo, il corpo, più dell’uomo. Tu scrivi: “Vuole vedere l’arca, vuole vedere il santo sepolcro”, il corpo (non il suo) che possiede la morta scoperchiando la tomba. I corpi delle 500 giovani donne, i corpi dei nemici, corpi di cui sbarazzarsi. Tutto ben descritto nel libro, come in un film hollywoodiano. E la meraviglia. Sì, la meraviglia dell’uomo che fino a quel momento ha visto solo immagini antinaturalistiche, fondo oro, inespressive, statiche e poi gli si apre davanti la terza dimensione, i vestiti, le espressioni, la trasmissione dei sentimenti. Una rivoluzione capitale! Infatti gli fai dire: “Parlai con i notabili della città ma solo per ottenere risposte elusive. Somigliavano a degli automi. Non parevano in grado di spingersi oltre le frasi di circostanza o qualche battuta fatta apposta per mettere in discussione la mia capacità di giudizio e la mia serenità mentale. Arrivai a pensare che volessero farmi passare per pazzo. ‘Messer Polo, sembrate giù di corda’ mi sentivo dire. Oppure: ‘Messer Polo, avete bisogno di riposo. Nemmeno questa notte avete riposato?’. ‘Il nostro caro governatore si sente forse poco bene?’. Capii che da nessuno di loro avrei mai cavato informazioni utili. Compresi anche che se non avessi fatto attenzione avrebbero finito per farmi crollare i nervi”. È l’uomo di Giotto che parla, qui. Parla agli uomini ‘bizantini’ che sono statici, fermi. “Parevano automi” dice Marco. Cosa è vero? Cosa è falso? Crei un personaggio che è molto vicino al tuo La truffa come una delle belle arti, però vai oltre perché costruisci su basi storiche un uomo tridimensionale, un ‘tipo’ medievale tra i più eccellenti e dice di noi, oggi, soverchiati dalle fake news e dagli algoritmi. Polo costruisce mondi attraverso la parola, costruisce meraviglie in 3D. Nel Milione costruisce la sua Cappella degli Scrovegni personalissima e universale. Questo romanzo apre al dibattito ed è bello da leggere. Un libro pieno di relazioni con l’oggi. Non è un libro di paragoni, è un libro di relazioni. Relazioni interne, ma anche relazioni tra quel periodo e il nostro. Se ne parlerà!
Un saluto
Davide Bregola
*In copertina: particolare dal “Compianto sul Cristo morto” di Giotto, dalla Cappella degli Scrovegni in Padova