
Elogio di Knut Hamsun, un uomo pieno di contraddizioni, un anarchico nell’anima
Libri
Silvano Calzini
Cronaca della fine è il romanzo/saggio di Antonio Franchini (scrittore in catalogo Marsilio e Feltrinelli, ora direttore editoriale Giunti) che racconta la vicenda umana ed editoriale di Dante Virgili, scrittore dalla vita oscura, esteticamente ributtante, esperto d’ippica, povero diavolo.
Un libro pubblicato negli anni Settanta, La distruzione, dove il protagonista, grigio impiegato con fantasie naziste e sadomasochiste, sogna la fine del mondo e il ritorno del Führer. Romanzo che non fece il botto e scomparve tra cascate di carta stampata dopo due anni di dibattiti e letture in redazione tra i funzionari di allora e il loro direttore editoriale, il poeta Vittorio Sereni, per decidere la pubblicazione.
Nel 1990 l’omino ritorna (anche se forse non se ne era mai andato, mantenuto da quegli stessi funzionari grazie a sovvenzioni volontarie e richiesti per lavori free lance come traduttore) e porta in Mondadori un nuovo romanzo, Metodo della sopravvivenza, che però il nuovo direttore editoriale, Antonio Franchini, non esita a bocciare.
I due libri verranno poi ristampati da Pequod e recentemente da Il Saggiatore e Off Topic.
Recentemente le ossa di Dante Virgili sono state “salvate” dal tuffo nell’ossario comunale grazie al pronto intervento di Gerardo De Stefano, fine cultore del misterioso scrittore, e dell’anarchico stirneriano ed editore irregolare, e Andrea Lombardi.
“È stato il desiderio di raccontare una storia che non si conosceva”, mi racconta al telefono Antonio Franchini, “forse adesso se ne sa pure tanto perché sono arrivati poi tempi maturi per contestualizzare quell’esperienza. Mi interessava raccontare, anche dall’interno, i meccanismi delle decisioni editoriali che all’epoca cominciavano ad interessare un pubblico maggiore, rispetto agli anni passati che non interessavano quasi a nessuno. Oggi forse interessano anche a troppi”.
Ma come mai, nel 1990, bocciare allora quel suo secondo romanzo? Molto più completo e leggibile de La distruzione. Il protagonista pare un assonnato Bukowski italiano che si muove, in quell’afosa e solitaria estate del ’90, tra edicole e sale corse, prostitute e spacci alimentari. L’estate dei mondiali giocati in Italia e della guerra in Kuwait.
“Non ho mai avuto particolare dubbi. Gli aspetti che evidenza ci sono ma il mondo editoriale agli inizi degli anni Novanta era piuttosto convenzionale rispetto a come è oggi e a com’era stato prima. Gli anni Novanta sono stati un periodo piuttosto piatto, con tuttavia alcune eccezioni. Mentre qualche cosa di nuovo è stato fatto negli anni Ottanta (anche come reazione agli anni Settanta, sono gli anni di De Carlo, Tondelli) perché la narrativa pure in quegli anni di contestazione era quasi considerata un disimpegno. La scena letteraria del periodo era davvero poco mossa. Ero arrivato da poco alla Mondadori e nessuno si aspettava un libro come quello di Virgili. Nessuno all’epoca, al contrario di oggi, aveva il concetto della nicchia, il concetto dell’opera interessante perché estrema. Quindi l’opera di un personaggio eccentrico non era collocabile”.
Virgili muore solo. Lo storico editor della Mondadori, Ferruccio Parazzoli, lo trova riverso in terra, gonfio e color vinaccia. Da vivo vomitava in pubblico, un bolo in gola gli impediva di triturare bene il cibo e così mangiava solo prosciutto cotto e carne crudo. Assomigliava vagamente al pupazzo Provolino per via degli incisivi superiori sporgenti. Era con tutta probabilità un bisessuale con tendenze sadomasochiste, in un Italia ancora molto lontana dal conoscere fantasie sessuali estreme. Eppure quegli stessi funzionari lo aiutarono per vent’anni, tramite collette, passandogli lavoretti occasionali…
“Virgili era sicuramente una persona in grado di colpire; il fascino del mostro era il fascino che Virgili emanava. I dirigenti di quella Mondadori, che non erano sicuramente persone che si lasciavano impressionare dal primo che passava, furono a vario titolo molto impressionate da questa strana figura. Io lo incontrai un paio di volte, ma il mio coinvolgimento emotivo era lontano, non era un’ossessione che mi appartenesse da un punto di vista esistenziale. Perché lo vivevo come un uomo di un’altra generazione che aveva avuto modo di esercitare la sua influenza sui suoi coetanei. Su quei dirigenti che poi scelsero di pubblicarlo, di seguirlo”.
La loro storia le interessava, altrimenti non avrebbe scritto questo libro, ma resta comunque la loro storia. Giusto?
“Sì, poi c’era tutto questo discorso sulla continuità rispetto ad oggi. Oggi il mondo dell’editoria segue regole completamente diverse. Influenzato da cose molto diverse. Oggi è più importante leggere la contemporaneità, rispetto al passato. Era un mondo più piccolo, con molti meno scrittori. I rapporti erano più profondi, duravano di più. L’atto della pubblicazione era un atto importante. Se pubblicavi qualcuno, quello diventava un autore della tua casa editrice, costitutiva un pezzo di quello che stavi facendo e quello che avresti fatto”.
Forse è proprio così, oggi pubblicare un libro ha un valore simbolico molto basso e l’esperienza è meno profonda.
Dante Virgili fu sepolto nel 1992. Di lui non esiste nemmeno una fotografia. Il certificato di morte risulta introvabile. I lontani parenti delle Marche ne sanno meno di me. Ma a quanto risulta ce ne sono anche in Calabria! La fondazione Garzanti, dove abitò per qualche tempo, ormai non esiste più. I funzionari che lo supportarono negli anni Settanta oggi sono tutti defunti.
La mia sete di curiosità si è spinta oltre e sono riuscito a parlare con la moglie di Piero Buscaroli, personaggio scomodo, musicologo e direttore del quotidiano “Roma” negli anni Settanta e amico dello scrittore, che mi ha confermato delle reali frequentazioni tra i due. Me lo ha descritto come un uomo qualunque, sicuramente non ributtante né problematico. Semplicemente, un uomo medio dell’epoca, con i suoi tic e le sue preoccupazioni che faceva spesso leggere i suoi scritti.
Personaggio reale gonfiato poi con la fantasia tipica dei bravi narratori non importa; come ha scritto anni fa Roberto Saviano su “Nazione Indiana”, “la prosa di Virgili è fatta per essere iniettata sotto pelle”. Solo così potremmo sublimarci con il fascino del male e forse meglio fronteggiare questo mondo sempre più tetro.