La prima lettura della Commedia di cui abbiamo notizia è quella, affidata al Boccaccio, datata 23 ottobre 1373, presso la chiesa di S. Stefano in Badia. L’autore del Decameron, ormai anziano e dalla salute malferma, tenne sessanta lezioni, giungendo fino all’inizio del XVII canto dell’Inferno. Impresa gravosa e mal compensata, la sua, se incorse nel biasimo del comune fiorentino, scandalizzato da questa generosa elargizione del poema ai volgari appetiti della plebe. In anni più recenti, tra XX e XXI secolo, in molti si sono cimentati nella messa in scena delle tre cantiche: dalla registrazione radiofonica che la RAI ha commissionato al dantista Sermonti, nel 1987, con la collaborazione del filologo Gianfranco Contini, alla seguitissima, seppur discussa, rappresentazione di Roberto Benigni, tenutasi, a più riprese, tra il 2006 e il 2013. Alla vigilia dei settecento anni dalla morte del Poeta il calendario di eventi che ambiscono a celebrarlo è fitto di appuntamenti. A rendergli omaggio altrettanti nomi autorevoli: ad uno di loro vorremmo oggi rivolgere la nostra attenzione. Quando i docenti di lettere dell’Istituto superiore Valceresio di Bisuschio, in provincia di Varese, hanno pensato di aggiungere la propria voce alle tante dedicate alla Commedia, serviva loro un nome capace di valicare i confini generazionali, testimoniando come anche un’opera apparentemente distante dagli studenti possa consegnare loro una traccia vitale, e attraverso la lettura stillare linfa sempre nuova, rendendosi protagonista di una straordinaria rigenerazione semantica. Il Professor Giuseppe Frasso è sembrato subito il testimone su cui convergere, a cui affidare la testimonianza esemplare di un percorso rigoroso e appassionato. L’intervento del docente si colloca ad apertura di un progetto che ha coinvolto trasversalmente insegnanti e studenti: l’intero istituto è stato impegnato nella lettura integrale delle tre cantiche (il prodotto finale verrà trasmesso in streaming dal 25 al 27 marzo sul canale youtube dell’istituto Isis Valceresio). Nell’attesa, riportiamo integralmente le domande che abbiamo rivolto a Frasso. (Francesca Valli)
Professor Frasso, quando è nata la sua passione per la Commedia?
Da ragazzino (cinque, sei, sette anni) passavo molto tempo con i miei nonni materni; vivevano nella stessa casa, i miei nonni al primo piano, i miei genitori, mio fratello e io al secondo. In quella casa sono nato e ancora ci vivo, apportati ovviamente gli ammodernamenti che i tempi impongono. La sera, dopo cena (si cenava, alla lombarda, abbastanza presto, alle 19) ero solito andare, prima di infilarmi sotto le coperte, un’oretta dai nonni; la nonna, che era stata maestra, quasi ogni sera mi intratteneva sfogliando con me qualche libro; tra i libri che vedevamo insieme c’erano tre ampi volumi, uno rilegato in rosso, un altro in verde e un terzo in azzurro che mi attraevano particolarmente: erano le tre cantiche della Commedia illustrate mirabilmente da Gustave Doré. La nonna, a volte, leggeva qualche verso e me lo spiegava; più spesso mi chiariva alcune di quelle immagini che mi inquietavano un po’, ma che soprattutto mi incuriosivano. Il ricordo di Dante si lega dunque per me all’infanzia e a una persona che mi ha molto amato (e che ho molto amato). Quando poi ho incontrato Dante alle scuole medie (lì ho imparato a memoria versi di If. X – Farinata –, di Pg. III – Manfredi –, di Pd XXXIII – la preghiera alla Vergine) era come ritrovare una figura nota che, negli anni del liceo, ebbi modo di conoscere più a fondo grazie al mio insegnante di italiano, Giovan Battista Roggia. Il prof. Roggia cercava di farci capire, leggendo Dante, come ragione e volontà fossero i tratti distintivi dell’uomo, di ogni uomo che doveva capire e scegliere liberamente, che doveva saper affrontare il peso delle proprie scelte, che non doveva rinnegare le proprie idee, che doveva vivere una fede in Dio viva e operosa.
La sua è stata senz’altro una folgorazione precoce, incoraggiata da un ambiente familiare stimolante. Ma oggi, nel XXI secolo, in una società frammentata e vorace di novità e di consumo, che senso ha leggere ancora Dante?
Oltre all’aspetto morale, formativo della Commedia, il prof. Roggia non mancava di insegnarci che Dante è il fondamento della lingua italiana (il nostro lessico fondamentale è, in percentuale altissima, già presente in Dante) e della letteratura italiana. Non riusciamo a immaginare la letteratura italiana senza Dante, sia che lo si segua, lo si imiti o a lui ci si opponga. I 14.000 e più versi della Commedia sono stati e sono la pietra di paragone (a volte inconsapevole) di chiunque si sia accinto a scrivere in versi (e spesso anche in prosa) nella lingua di sì. Per restare a poeti a noi più vicini, basti pensare a Pavese di Lavorare stanca o a Montale.
Professore, come possiamo avvicinare allora i giovani ad un testo troppo spesso percepito distante dal proprio vissuto culturale e sociale?
Forse bisognerebbe dire: Come avvicinare i giovani alla lettura? La Commedia è difficile, certamente, ma letta con calma, magari ad alta voce per sentire anche il suono delle parole, scegliendo passi adatti (che si spera invitino a una lettura estesa) può essere proprio una chiave di accesso alla lettura in generale (Benigni ha fatto un’opera meritoria, leggendo Dante; magari si può discutere su certe sue interpretazioni, ma il merito di aver fatto risuonare la parola di Dante è innegabile). Dopo essersi avvicinati a Dante, dopo aver capito almeno un po’ quello che vuole dirci, altre letture diventano più facili. Può essere suggestivo cercare di seguire il rincorrersi delle rime, il significato di alcune parole, l’imporsi di immagini e figure indimenticabili (come quelle di film di grande forza); può essere cosa intelligente aiutarsi anche con le immagini che alla Commedia hanno dedicato moltissimi artisti. Ma credo che importi soprattutto dire che Dante ha giocato la sua vita nella Commedia: lì c’è la sua storia. Ma la grandezza del poeta sta nel fatto che la sua storia diventa la storia di ogni uomo. Dal male al bene, dalla sofferenza alla felicità: vale per lui, Dante vorrebbe che valesse anche per noi.
Se dovesse rappresentare ciascuna cantica con un aggettivo, quale sceglierebbe?
Bisognerebbe avere le doti sintetiche di un poeta per dare una risposta plausibile: queste doti purtroppo non le ho. La Commedia ci impone dunque di ristabilire e preservare l’autenticità di una lingua universale e polisemica, che fa del realismo e del libero arbitrio un antidoto alla dispersione di senso e all’individualismo contemporanei. Dante non offre facili soluzioni ma indica una strada, consegna un messaggio che va al di là della contestualizzazione storica e filosofica, proprio perché ad essere interpellata è la responsabilità del singolo: un itinerario consegnato all’umanità e a ciascuno di noi, e una lingua potente, fondativa, che sperimenta nel suo stile multiforme l’incontro tra l’uomo e Dio.
*Giuseppe Frasso è Professore emerito di Filologia della letteratura italiana all’Università Cattolica di Milano e fa parte del Consiglio Direttivo dell’Ente Nazionale Francesco Petrarca; di Petrarca e delle sue opere è attento cultore. Ha insegnato anche a Berkeley, Losanna, Helsinki e Budapest. Già presidente della Società dei Filologi della Letteratura italiana e condirettore della rivista «Studi Petrarcheschi», è tra i fondatori e direttore scientifico della Scuola estiva internazionale di Studi danteschi di Ravenna.