31 Agosto 2023

“Ti amo alla follia. Capiscimi, non potevo continuare a vivere”. Per Marina Cvetaeva

La bara, lo scalpiccio dei cavalli, il funerale. Il ragazzino, turbato, l’impressione che voglia tenere un discorso sulla tomba della madre. I momenti che scorrono veloci e irrevocabili. «Andavano e sempre camminando cantavano eterna memoria».

Se Boris Pasternak, per la cornice di debutto del dottor Živago, si fosse ispirato al funerale della fraterna, spirituale amante, Marina Cvetaeva – che il 31 agosto 1941, ormai depressa ed espropriata della propria esistenza poetica, si suicida nella squallida dimora di Elabuga – risulterebbe verosimile fantasia. Georgij Efron, detto ‘Mur’, il figlio che Marina aveva idealmente consacrato a Pasternak, raccontò, nei suoi diari, pochi giorni dopo l’evento che aveva squarciato la sua esistenza in due, impietosa crepa, quei precisi momenti – la bara, i cavalli, il funerale – con inquietante lucidità. Dei giovani Jurij Živago e Mur Efron le immagini potrebbero sovrapporsi con insperata aderenza.

Pregno di cruda rassegnazione – strategia di sopravvivenza verticalmente contraria allo sguardo tragico di sua madre – Efron dimostrò di approvare il gesto estremo di Marina, di raccoglierne il disperato esito per mutarlo in parola, ‘forza primordiale’. Nell’epoca in cui l’interiorità non appartiene più al singolo, Mur scrive infatti un diario in cui a prendere forma è l’individuo, l’atto di resistenza più intimo e violento che si possa immaginare. Gli ultimi istanti della vita di Marina Cvetaeva sono custoditi lì, nei meandri di una testimonianza storica e poetica preziosa nella sua unicità, fermi nel tempo in cui non piovono che bombe, fuori e dentro l’uomo. (Fabrizia Sabbatini)

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Si riportano di seguito le pagine del diario di Mur Efron immediatamente successive alla morte di Marina Cvetaeva, contenute nel volume “Grida dai tetti il suo amore per me” (Magog, 2022).

4 settembre 1941

In questi cinque giorni hanno avuto luogo gli eventi che hanno rovesciato e sconvolto la mia vita. Il 31 agosto mia madre si è suicidata, si è impiccata. L’ho appreso tornando dal lavoro all’aeroporto, dove sono stato chiamato. Negli ultimi giorni aveva parlato spesso di suicidio, pregando di essere “liberata”. E così si è suicidata. Ha lasciato tre lettere: una per me, una per Aseev e una per le persone che sono state evacuate con noi. Ecco il contenuto della sua lettera per me:

«Mourrlyga! Perdonami. Ma se fossi andata avanti così sarebbe stato peggio. Sono gravemente malata, non sono più me stessa. Ti amo alla follia. Capiscimi, non potevo continuare a vivere. Dì a papà e ad Alja, se li vedi, che li ho amati fino all’ultimo minuto, e spiega loro che mi trovavo in un vicolo cieco».

Ecco la lettera ad Aseev:

«Caro Nikolaj Nikolaevič! Care sorelle Siniakov![1] Vi prego di portare Mur con voi a Čistopol’ – prendetelo come fosse vostro figlio – garantitegli un’educazione. Non posso fare più niente per lui e lo sto distruggendo. Nella mia borsa ci sono quattrocentocinquanta rubli e potreste provare a vendere tutti i miei averi. In un baule ci sono alcuni manoscritti di poesie e un pacco di bozze di testi in prosa: ve li affido. Prendetevi cura del mio caro Mur, è in condizioni di salute molto fragili.

Amatelo come fosse vostro figlio – se lo merita. E perdonatemi, non ce la facevo più. M. TS. Non abbandonatelo mai. Sarei molto felice se venisse a vivere con te con voi. Se partirete, portatelo con voi. Non abbandonatelo mai!».

Ecco la lettera per le persone evacuate con noi:

«Cari compagni! Non lasciate Mur. Prego chiunque di voi che potrà, di portarlo a Čistopol’, da N. N. Aseev. I piroscafi sono tremendi, vi prego di non lasciarlo partire da solo. Aiutatelo a fare le valigie e portarle a destinazione. A Čistopol’ spero che potrà vendere i miei averi. Voglio che Mur viva e riceva un’istruzione. Con me sarebbe perduto. L’indirizzo di Aseev è sulla busta. Non seppellitemi viva. Controllate bene».[2]

In serata sono venuti un miliziano e un medico, hanno preso queste lettere e portato via il corpo. Il giorno dopo, verso sera, sono andato alla polizia e non senza difficoltà ho ritrovato le lettere, tranne quella che era stata indirizzata agli sfollati, di cui mi hanno dato una copia. La polizia non voleva restituirmele, ma darmi solo delle copie. «Le cause del suicidio devono rimanere con noi». Ma io ho insistito. Lo stesso giorno, sono andato al centro medico, ho ritirato il certificato di morte e il permesso di sepoltura (all’anagrafe). M. I. era in perfetta salute al momento del suicidio. È stata seppellita il giorno dopo. Abbiamo aspettato a lungo i cavalli, la bara. È stata sepolta nel cimitero a spese del consiglio comunale. Il 3 ho finito di sistemare tutti i nostri averi (le cose di mia madre da una parte, le mie dall’altra) e preparato tutto per la partenza. Con l’aiuto di Silorskij e Liolka, ho trasportato tutti i bagagli con un carretto fino al molo e li ho lasciati al deposito. Per tutti quei giorni ho passato la notte da Sikorskij. Ho venduto del cibo alla proprietaria per ottanta rubli e comprato delle scarpe in un negozio per cinquantacinque rubli. Ho salutato Dimka, Zagorskij, Liolka e la sera del 3 sono andato al molo, dove ho aspettato la barca con un certo Osnos,[3] docente all’Ifli, che tornava da Elabuga a Čistopol’ e mi ha aiutato a trasportare le mie cose, comprare i biglietti, ecc. È un bene che io sia potuto partire con lui. La barca era piena fino a scoppiare, zeppa di sfollati, di coscritti… Tutto puzzava e urlava, e non potevo nemmeno sedermi, non c’era un posto libero.

Marina Cvetaeva insieme al figlio ‘Mur’: cresciuto in Francia, morirà sul fronte orientale, durante la Seconda guerra, nell’estate del 1944

Finalmente, verso mezzanotte, abbiamo preso posto, in terza classe, sulla barca Molotov-Scriabin, abbiamo trasportato le nostre cose e la mattina del 4 siamo giunti a Čistopol’, dopo un viaggio terribile, tra zingari sporchi e giovani coscritti ubriachi. È cosa buona che io sia riuscito a lasciare Elabuga in fretta. Restare lì sarebbe stato al di là delle mie forze, tutto mi disgustava e riaccendeva il mio dolore.

Quando sono arrivato a Čistopol’ ho pranzato da questo Osnos, poi sono andato dagli Aseev. È stato devastante per lui apprendere della morte di M. I.; ci siamo recati subito alla sede locale del partito, dove ha ricevuto il permesso di registrarmi a casa sua. Sempre in giornata, ieri, ho trasportato – con l’aiuto di N. N.[4] – tutte le mie cose dal porto a casa sua. Abbiamo iniziato ad analizzare la situazione. È che Aseev e sua moglie sono stati convocati a Mosca; quindi non posso fare affidamento su di loro a Čistopol’. Considerando che ovviamente non andrò in collegio – ho sedici anni, chi pagherebbe? – e che non desidero frequentare una scuola professionale a Čistopol’, questa mattina ho preso la decisione irrevocabile di tornare a Mosca e stabilirmi lì. Lì c’è il Litfond, ci sono persone che conoscono e apprezzano M. I., laggiù forse Moulia e le mie zie mi aiuteranno, e poi, soprattutto, si tratta di Mosca, la capitale. La cosa più difficile è realizzare il tutto, ricevere l’autorizzazione, che è la cosa fondamentale.

Aseev ed io abbiamo ragionato nel seguente modo: un consiglio di rappresentanti del Litfond sarà presto convocato a Čistopol’. Aseev chiederà loro di ottenere un permesso per la mia partenza per il seguente motivo (ad esempio): «Data la morte di sua madre, questo giovane sfollato viene mandato a Mosca per continuare i suoi studi lì, perché a Čistopol’ non possiede mezzi di sussistenza». Questo documento dovrebbe permettermi di recarmi a Mosca senza difficoltà. Inoltre, come studente, avrei un passaporto di Mosca, quindi è improbabile che sorgano ostacoli alla mia registrazione. Ma un’altra cosa: a Mosca sarà difficile affittare una stanza, studiare, avere abbastanza denaro per vivere. Sempre che riesca ad arrivarci! Lascerò le mie cose al deposito bagagli, telefonerò a Moulia, andrò al Litfond con una lettera che Aseev mi scriverà in caso di partenza, e finalmente mi sistemerò. La cosa più difficile, la più terribile, è convincerli a farmi portare a termine il viaggio, fare in modo che non mi rispediscano indietro a metà strada. Tutto ciò potrebbe fallire, non ho alcuna certezza. Forse Aseev riuscirà a organizzarmi il viaggio, in un modo o nell’altro. Ovviamente andrò da solo, il che è un po’ inquietante. Ma di cosa posso davvero aver paura? La cosa più difficile è arrivare, la più terribile è essere arrivati.

In attesa della decisione definitiva di partire per Mosca, mi sono occupato di vendere i beni di mia madre. Questa mattina, grazie all’aiuto delle cognate di Aseev, ho venduto della biancheria, della lingerie, ecc., per seicentocinquanta rubli. In totale ho circa millesessanta rubli. Non è male. E continuerò a vendere altre cose per circa cinquecento rubli. Ne ho portate alcune in un magazzino e se anche non riusciranno a venderle prima che me ne vada, non importa. Se solo riuscissi ad arrivare a Mosca! Lì poi si vedrà. Non ho motivo di indugiare qui. Mosca non viene bombardata da dieci giorni. Non ho paura delle bombe, ed ho più possibilità di stabilirmi lì che qui. Preferisco stare nell’ultima delle città che nel più bello dei paesi. Vedremo.

I tedeschi hanno preso Tallinn. Osnos dice di aver visto un uomo, il quale gli ha riferito che Leningrado è piena di truppe e aerei inglesi. L’Iran è occupato dalle truppe britanniche e da quelle sovietiche. Mi chiedo quale esercito occuperà Teheran.

Sì, voglio assolutamente andare a Mosca. Forse Mitia sarà lì, e forse anche Valia. Mitia ovviamente sta già studiando all’Ifli. Vedremo. Sì, nonostante tutto, si va a Mosca. 

*La traduzione e la scelta del testo sono di Fabrizia Sabbatini


[1] Xenia Mikhailovna (1890-1984), moglie di N. N. Aseev; Maria Mikhailovna (1889-1975), sposata Ouretchina, pittrice; Nadejda Mikhailovna (1889-1975), moglie dello scrittore S. G. Pitchet, cantante; Vera Mikhailovna (1895-1973) moglie dello scrittore Simon Hecht.

[2] Le tre lettere d’addio della Cvetaeva sono tutt’oggi esposte e accessibili al pubblico nel museo Cvetaeva, a Elabuga, in Tataria.

[3] Jurij Aleksandrovič Osnos (1911-1978), traduttore, regista e storico del teatro; marito della scrittrice Jeanne Gaouzner (1912-1962), figlia di V. Imbert (1890-1972), giornalista, poetessa e scrittrice sovietica, vincitrice del premio Stalin. 

[4] Nikolaj Nikolaevič Aseev.

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