19 Ottobre 2019

“Di un libro non conta la qualità: deve essere politicamente corretto”. Dialogo con Giuseppe Culicchia, traduttore di Bret Easton Ellis (che urla: “Volevo essere sconvolto, ferito dall’arte”)

Ad averne di scrittori così coraggiosi! Non che Bianco (Einaudi, 2019) sia la migliore prova letteraria di Bret Easton Ellis, ma di questi tempi un simile saggio-memoir è dinamite, una detonazione dirompente e liberatoria. L’autore di American Psycho, pur senza mai abbandonarsi a manifestazioni di livore gratuito, non risparmia nessuno. La comunità LGBT, per esempio, ne esce con le costole rotte: “Quando una comunità si vanta delle sue diversità e della sua unicità e poi mette al bando la gente solo per come si esprime – non per atti di incitazione all’odio ma semplicemente perché non ne gradisce le opinioni – ecco che si mette in moto un fascismo corporativo che dovrebbe essere seriamente riconsiderato, non solo dalla comunità gay ma da tutti. Il problema che avevano numerosi miei sostenitori era semplice: se non sei un gay della serie Elfo Magico, corri automaticamente il rischio di venire ostracizzato dall’élite della comunità gay…”. Nel mirino ci sono anche i social network e la mentalità narcisistica che incoraggiano, una sorta di infantilismo sotteso all’intolleranza politicamente corretta: “Ecco il vicolo cieco dei social: dopo che hai creato la tua personale bolla che riflette solo ciò a cui tu ti rapporti o con cui ti identifichi, dopo che hai bloccato o hai smesso di seguire le persone le cui opinioni o la cui visione del mondo condanni e non condividi, dopo che hai creato la tua personale piccola utopia fondata sui valori che ti sono cari, una sorta di folle narcisismo inizia a deformare quest’immagine cosí carina. Non essere in grado di o non volere mettersi nei panni degli altri  non voler vedere il mondo in maniera diversa da come tu lo percepisci – è il primo passo verso la non empatia, ed è per questo che cosí tanti movimenti progressisti diventano rigidi e autoritari quanto le istituzioni a cui si oppongono”. E non mancano i miti che Ellis si diverte a sbertucciare senza tanti problemi, come quello di David Foster Wallace, a suo avviso lo scrittore più “sopravvalutato” e “pretenzioso” della sua generazione: “non sono mai riuscito a leggere il suo romanzo del 1996  Infinite Jest, malgrado ci abbia provato diverse volte, e ho sempre  trovato i suoi pezzi giornalistici enfatici e condiscendenti, e del suo discorso ai laureati del Kenyon College nel 2005 pensavo fosse uno straordinario esempio di un cumulo di cazzate”. Col cavolo che uno della conventicola giusta, qui in Italia, criticherebbe a muso duro un autore altrettanto famoso.

Ma più di tutto Bret Easton Ellis si è rotto i coglioni di chi non comprende come la valutazione di un’opera d’arte debba essere di carattere estetico e su questa fa pesare il giudizio umano sull’artista. Al contempo, una cosa è certa, l’arte non deve avere una funzione consolatoria o accomodante, ma spiazzante, distruttiva di ogni visione consolidata: “Anziché rispetto e gentilezza, inclusione e innocuità, amabilità e decenza, ciò che volevo era essere disturbato dalle cose […] Volevo essere scioccato. Adoravo l’ambiguità. Volevo cambiare le mie opinioni su questo e su quello, praticamente su tutto. Volevo essere sconvolto e perfino ferito dall’arte. Volevo che qualcuno mi annichilisse con la crudeltà della sua visione del mondo […] E tutto questo ebbe su di me un effetto profondo. Mi donò l’empatia. Mi aiutò a capire che esisteva un altro mondo oltre al mio, con i suoi punti di vista e i suoi trascorsi e le sue inclinazioni, e non ho dubbi sul fatto che tutto questo mi aiutò a diventare adulto. Mi strappò dal narcisismo dell’infanzia proiettandomi tra i misteri del mondo – l’inspiegabile, il tabú, l’altro – e mi avvicinò a una posizione di comprensione e accettazione”.

La vera sorpresa, poi, con l’edizione italiana che esce a un anno di distanza da quella americana, è il ritorno, come suo traduttore, di una delle punte di diamante della letteratura italiana, ovvero Giuseppe Culicchia, l’autore dell’intramontabile Tutti giù per terra, che già avevamo potuto apprezzare nella versione italiana di American Psycho. Palesemente, lui ed Ellis sono un’accoppiata ideale perfetta, essendo entrambi scrittori della Generazione X. Non potevamo quindi esimerci dal sentire Culicchia, grande amico di Pangea e che più volte abbiamo avuto il piacere di ospitare.

Un libro ad alto tasso di politicamente scorretto, questo Bianco di Bret Easton Ellis. A tuo avviso, c’era da parte dell’autore la necessità di mettere certe cose in chiaro in modo inequivocabile, per questo ha scelto la forma del saggio-memoriale?

Credo che la scelta di Ellis possa dipendere da due fattori. In primo luogo, dall’urgenza di dire certe cose alla luce del momento storico in cui viviamo. E poi dal fatto che attualmente non ha più intenzione di usare la forma romanzo. Una scelta che da lettore mi dispiace moltissimo e che spero sia solo momentanea, anche se ormai sono parecchi anni che Ellis non dà alle stampe un libro di pura narrativa. Fermo restando che alcuni passaggi di Bianco sono narrativi e deliziosi.

È vero, a tuo avviso, che oggi American Psycho avrebbe ancora più difficoltà di quante ne ebbe a suo tempo per essere pubblicato? 

Oggi un libro come American Psycho non lo pubblicherebbe nessuno. E, se anche fosse, verrebbe massacrato ancora più di quanto non avvenne allora. Ormai prevale l’idea che la qualità di un libro non conti: contano semmai le idee politiche dell’autore, la sua posizione in merito a determinati temi. Fermo restando naturalmente che il libro deve essere in grado di superare l’esame dei tutori del politicamente corretto, non urtare nessuno, a cominciare dalle minoranze. La cosa sconvolgente, in tutto questo, resta l’incapacità di capire che American Psycho è un romanzo profondamente morale, nonché la critica più lucida e feroce al liberismo capitalista e alla religione del denaro.

Uno scrittore che traduce un altro scrittore. Qual è il tuo valore aggiunto nel trasporre Ellis in italiano?

Non saprei, bisognerebbe chiederlo ai lettori. Ho amato Ellis fin dal suo esordio con Meno di zero e per me è un grande onore poterlo tradurre.

Stando a quanto si dice in Bianco, l’asfittica piaga del politicamente corretto è proprio una tendenza globale – o forse globalizzata. Se mutassimo i nomi e, invece di Trump, menzionassimo un qualche politico italiano della “parte sbagliata”, la situazione da lui descritta sarebbe tranquillamente sovrapponibile alla nostra. Non trovi?

Assolutamente. Ma temo che lo stesso valga per tutti i Paesi occidentali.

È singolare il fatto che uno scrittore gay si scagli contro la tendenza degli omosessuali alla vittimizzazione di genere e alla demonizzazione del maschio bianco etero. Mi chiedo anche come sia possibile che ancora non l’abbiano fatto fuori dalla scena letteraria, in America. Sì può, dunque, sopravvivere alla mannaia del politicamente corretto?

Temo che Ellis non sia tra gli scrittori più amati della scena letteraria americana: non è in linea con il pensiero dominante, non scrive storie consolatorie, non sa cosa sia un lieto fine, se ne sbatte delle aspettative di critica e pubblico scrivendo solo e sempre quello che vuole e quando ha voglia di farlo. Naturalmente, ne paga le conseguenze.

Ellis rimpiange la vecchia era analogica, quando si compravano le videocassette e i giornali porno. Preferisce inoltre quei tempi in cui i bambini non vivevano sotto una campana di vetro, ma facevano un po’ come gli pareva girando liberamente e menandosi senza che chiunque gridasse allo scandalo del bullismo. Quel che sostiene è il classico ritornello tipico degli anziani del “si stava meglio quando si stava peggio”, oppure semplicemente ha ragione da vendere?

L’età più bella è quella che hai, dice Vittorio Gassman/Bruno Cortona ne Il Sorpasso. Credo che Ellis abbia ragione quando scrive che per quelli della sua generazione certe cose non erano scontate; bisognava desiderarle davvero, e sapersele prendere o guadagnare. Sbattersi settimane per mettere le mani sull’unica copia di un 33 giri d’importazione dava ai brani di quel disco un altro valore rispetto a oggi che tutta la musica è a portata di click. E questo vale per tutto il resto. Fermo restando poi che l’idea che la cultura – si tratti di libri, musica, film o altro – debba essere gratuita è profondamente sbagliata. Tutti devono potersela permettere, ma gli artisti devono anche poter vivere del loro lavoro. Questo, però, è un altro tema.

Io credo che uno dei punti migliori del testo sia quello in cui l’autore riflette su quanto sia malato di narcisismo e fermo a uno stadio infantile del proprio sviluppo intellettuale chi non tollera la sussistenza di opinioni divergenti. Non pensi anche tu?

Sì, certo, sono totalmente d’accordo. Il narcisismo di certi censori è francamente insopportabile. Il fatto è che questi signori non si rendono conto di quanto sono ridicoli. Ma sarebbe ora che noi ci si rendesse conto di quanto sono pericolosi.

Ellis ha il coraggio di dire peste e corna di David Foster Wallace, smontando la narrazione mitologizzante che vi è stata costruita intorno. Ti faccio una domanda birichina: oggi, un famoso scrittore italiano direbbe mai qualcosa di altrettanto duro contro un collega di spicco?

Matteo, Matteo, sei davvero un ragazzaccio.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG