13 Ottobre 2020

“Del resto il vero lettore, il predestinato, non ha bisogno che di un cenno”. Il rapporto tra Cristina Campo e Gustaw Herling

L’anno scorso Gustaw Herling avrebbe compiuto cento anni; è morto dieci anni fa, a Napoli. Per onorare la ricorrenza, Mondadori ha allestito un ‘Meridiano’, Etica e letteratura, in cui sono raccolte “Testimonianze, diario, racconti” dello scrittore polacco. Il lavoro è miliare, il prezzo importante – 80 euro –, come si sa il ‘Meridiano’ è una celebrazione tombale: di fatto, in libreria, Herling è riassunto in un unico libro, Un mondo a parte. Per carità: quel libro è fondamentale. Catturato a Leopoli durante la guerra, nel 1940, Herling fu internato in un Gulag; dopo essere liberato, andò a combattere a Montecassino. Visse a Roma, poi a Londra, dove pubblicò quel libro decisivo,la prima radicale testimonianza di come funzionasse il sistema sovietico. In seconde nozze sposò la figlia di Benedetto Croce, Lidia; si trasferì a Napoli. Nel 1944 aveva scelto di farsi battezzare. Herling “ha svelato, tra i primi al mondo, l’esistenza dei lager sovietici e i meccanismi di degradamento dell’uomo imposti dall’universo concentrazionario. Divenne per questo uno degli scrittori più invisi al regime comunista polacco” (Marcello Piacentini).

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Nel 1960 l’editore Silva, raffinatissimo, pubblica Pale di altare. Il libro, costituito da due racconti – che saranno ripresi nel 1990 da Scheiwiller come La torre. Il miracolo – trova un lettore congeniale in Cristina Campo, che lo recensisce l’11 marzo del 1961 sul settimanale “Il Punto”, diretto da Vittorio Calef, su cui collaboravano, tra gli amici della Campo, Juan Rodolfo Wilcock e Pietro Citati. Secondo la Campo, “la stirpe di Herling” va rintracciata “fra i tragici moralisti del XVIII e XIX secolo” e la sua opera va affratellata a quella di Jorge Luis Borges. “Tra il gelido pitagorismo di Borges e la tenebrosa cattolicità di Herling c’è una costante comune: sono i due soli narratori contemporanei incapaci di ideare un racconto che non abbia il rigore di una fuga o di una chanson royale: dove nulla resterà senza una risposta, senza un’eco fatale e rivelatrice; dove il mistero di manifesterà, come deve, nel silenzio degli specchi e nei cicli della spirale”. La Campo affianca Herling a Borges e ne traccia la differenza: “Herling ha tuttavia su Borges – tanto più ricco di squisite provocazioni – la superiorità di un’interezza quasi agghiacciante” (la recensione è in Sotto falso nome, stampa Adelphi). Va da sé che allo squisito preferiamo l’agghiacciante, al gioco dell’estremista enciclopedico la vertigine finale. Mettendo in obliquo le Lettere a Mita scopriamo le letture della Campo intorno a Herling: Hawthorne, Pasternak, Bernanos, von Eschenbach, soprattutto Simone Weil e Meister Eckhart.

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Nel 1999, in Diario scritto di notte, Gustaw Herling ricorda il talento di Cristina Campo. “Avere buoni critici: il sogno di ogni scrittore. Nel mio caso si è avverato. Non li elencherò tutti, elencherò solo quelli che mi sono più vicini, che sono diventati anche miei amici. Per prima nominerò Cristina Campo, proveniente da Firenze, all’anagrafe Vittoria Guerrini. L’ho conosciuta a Roma, poco dopo essermi stabilito in Italia. Era una donna adorabile e bella, di inconsueta sensibilità, incurabilmente malata di cuore dai primi anni di giovinezza. Era così malata che seguendo i consigli dei medici smise di alzarsi dal letto per evitare che quel suo cuore malato e fragile si frantumasse in movimento. Continuò a lavorare a letto fino alla morte precoce”. I rapporti tra la Campo e Herling sono stati ricostruiti da Małgorzata Ślarzyńska, che studia e ricerca presso l’Università Cardinale Stefan Wyszyński di Varsavia, in un articolo pubblicato su “Italica Wratislaviensia” (Cristina Campo e la ricezione di Gustaw Herling-Grudziński in Italia) segnalatomi da Raoul Bruni. In particolare, l’articolo è esito di una consultazione del carteggio, finora inedito, tra Cristina Campo e Herling, custodito nell’Archivio Herling presso la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce.

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Non era scelta facile occuparsi di Herling. Un mondo a parte è pubblico in Italia nel 1958, per Laterza, “contro voglia; quasi per un obbligo, diciamo così, familiare”, ricorda Herling stimolato da Francesco Cataluccio. Il libro svelava una verità – il sistema concentrazionario sovietico – a cui era meglio non dare troppo credito: Aleksandr Solzenicyn, con Una giornata di Ivan Denisovič, sarebbe apparso nel ’62, tradotto l’anno dopo per Garzanti. “Dubito persino che [Laterza] l’abbia distribuito, visto che, girando per le librerie italiane, allora non ne vidi mai una copia. Ciò detto, con le sole eccezioni di Paolo Milano e di Leo Valiani, quel libro fu ignorato del tutto. E lo stesso accadde nel ’65 quando, per volontà del compianto Domenico Porzio, il libro uscì da Rizzoli. Nessuna reazione: solo un bell’articolo di Giancarlo Vigorelli e una recensione su Paese Sera (di Gianni Toti) in cui si suggeriva alle autorità italiane di espellermi dall’Italia”. In ogni caso, non soltanto la Campo scrive del Gustaw Herling narratore: fa di tutto per promuoverlo in Italia. ‘Forza’ l’attenzione di Leone Traverso (“Caro Leone, ti ho fatto spedire da Gustaw Herling il suo strano e bellissimo libro Pale d’altare. Io ne ho fatta una nota sul “Punto”, puramente orizzontale, però, intendo dire poco più che estetica – mentre il libro è di estrema verticalità. In certi momenti… si apparenta un po’ a Borges – con uno spirito però alla De Maistre, una cupa, integra disperazione di cattolico polacco. Mi piacerebbe se tu lo segnalassi, magari brevemente, sul “Mattino” o all’“Approdo”), che ne scriverà su “La Nazione”; istiga Margherita Guidacci (che scriverà del libro di Herling sul “Popolo”), infine Elémire Zolla, che ne scrive sulla “Gazzetta del Popolo”. Per proprietà d’amicizia anche Roberto Calasso – forse su ispirazione di Zolla – scrive di Pale d’altare, su “Tempo Presente”.

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“Cristina Campo era entrata in contatto con Gustaw Herling tramite “Tempo Presente”, a cui entrambi collaboravano, ma anche per il tramite di Elena Croce. La ristretta cerchia degli amici che frequentavano Cristina Campo e l’allora suo compagno Elémire Zolla, si manteneva a una certa distanza dal centro della vita letteraria… Tra gli amici comuni di Cristina Campo e Zolla – Elena Croce, Giovanni Macchia, Mario Bortolotto, Marìa Zambrano, il giovane Roberto Calasso, Livio Bacchi, Juan Rodolfo Wilcock e Pietro Citati – vi era anche Gustaw Herling” (Ślarzyńska). La prima lettera tra la Campo e Herling è del 12 marzo 1961: “Speravo di poterLa ringraziare molto prima, per questa opera che mi ha tanto colpita, e di poterlo fare molto meglio.Purtroppo il giornale ha tardato a pubblicare la nota e il poco spazio mi ha costretta ad uno spessore molto sottile. Un discorso “estetico” o poco più – mentre quanto più a fondo si sarebbe dovuto scendere… Non è estranea a tutto questo una mia grande timidezza di fronte a simili libri, oggi quasi incredibili e tanto più misteriosi quanto più sono puri… Avevo anche molta fretta di far sapere alla gente che il libro c’era e che bisognava leggerlo. Del resto il vero lettore, il predestinato, non ha bisogno che di un cenno”.

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Come sempre, il rapporto, per la Campo, avviene tramite lettere: svelando, le lettere velano il viso, dando a CC una configurazione leggendaria, qualcosa tra l’icona e la foglia. La parola scritta inaugura il desiderio per allontanare chi desidera; pertiene a una complicità a distanza, che spera nel trafugare e nella fuga. Si scrive una lettera dandola in consegna, in mani altrui, che sono come fiamme: ci si cede al caso; si scrivono lettere per non farsi trovare. “L’amicizia di Cristina Campo e Gustaw Herling è testimoniata dalla loro corrispondenza anche negli anni successivi. Nel 1964 Cristina Campo manda a Herling un invito da parte di Vanni Scheiwiller a curare un volume di poesie di Anna Achmatova, sul modello di quello di William Carlos Williams curato dalla stessa Cristina Campo” (Ślarzyńska). Proprio quell’anno, su “Tempo Presente”, Carlo Riccio aveva pubblicato parti di Requiem, il fatale poema della Achmatova, introdotte da Herling. “Scriveva saggi molto acuti che oggi entrano nel canone della saggistica italiana. Amava la poesia, la musica (specialmente quella gregoriana) e la pittura. Talvolta scriveva poesie ed emulazioni delle classiche fiabe orientali”: così Herling ricorda la Campo, in un cammeo bizantino. A me resta impressa la figura di questa grande donna dal cuore di cristallo, che pareggiava respiro e verbo. Per capire la Campo, si sa, bisogna prendere a unghiate il buio: qualcosa lacrima, dall’altro lato della stanza, una brace presa per oro. (d.b.)

*In copertina: Gustaw Herling (1919-2000); la fotografia è tratta da qui

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