“Ci sfioriamo. Con cosa? Con le ali”. Rilke e Marina Cvetaeva: un dialogo assoluto
Poesia
Marilena Garis
Elisabetta Fadini, talentuosa e avvenente artista veronese, è un personaggio che da sempre si muove nell’interdisciplinarietà, tra musica, teatro e recitazione, poesia. È del 2013 la nascita di un festival improntato all’originalità e varietà della proposta, simile alla personalità della sua ideatrice, “Rumors”. Al Manifesto di Reading, atto costitutivo di una associazione di artisti famosi ma anche arrischiati, come Bollani, Fresu, Garbo, Bosso, Maroccolo, Bergonzoni, Max Manfredi, Voce, per dirne una parte, cioè musicisti e scrittori e poeti sempre votati alla sperimentazione e all’andare oltre è seguita la prima edizione, nel 2013, con sempre crescente. Innanzitutto, parlami di te (bella signora), nel senso di una veloce trasvolata su quello che hai fatto, che è molto.
Credo ci sia una lotta per la cultura, oggi chi cerca di difenderla è una sorta di supereroe, e io ci vedo del bene in questo, come far trionfare il giusto, il buono dell’umanità e per Dio l’onestà!
Mi mancano altri tempi, quelli in cui si poteva parlare di intellettuali, ora siamo tutti dispersi per il mondo, e spesso è un perdersi volontario, l’intellettuale rifugge la violenza e l’arroganza per antonomasia, oggi no, scappa e basta, per una sorta di paura incosciente. Paura di cosa?
Cosa rappresenta per il mondo un intellettuale che si nasconde? Il nulla.
È chiaro che tu sei una vera credente dell’arte. Ma secondo te dove stiamo andando, nelle varie discipline? La musica, l’arte contemporanea, la letteratura… io trovo tanta paccottiglia a peso d’oro, tanta musica e letteratura in finta pelle, tante installazioni nel nulla…. mi piacerebbe un tuo parere a volo di … drone?
La Abromivić dice che serve soffrire per creare meglio, come lo diceva Jerzy Grotowski o Eugenio Barba (per il teatro d’avanguardia del ’900), un concetto antico e stantio, io all’opposto credo che serva amare per creare meglio, perché devi arrivare al cuore della gente, amando quindi vivi perennemente in uno stato di grazia, come accade nella vita di tutti i giorni.
Amando riesci a dare agli altri, piuttosto che in uno sciocco e inutile raggiungimento della perfezione artistica dove alla fine trovi solamente te stesso e finisce che dai il niente alla gente e muore tutto così, come non fosse mai nato nulla. Non è questo il tempo per giocare a scacchi con la cultura, oggi la cultura deve semplificare il suo essere, parlare con la gente semplicemente e farla innamorare. Voglio vedere l’errore sul palco, voglio cogliere l’ascesa e la caduta, l’impressionante e l’umano che sbaglia, ecco, li trovo la vita. Un artista deve per forza capire che vive per dare insegnamenti, per rafforzare la cultura, perché non c’è scampo, creare per se stessi serve a poco, è necessario condividere per la gente che cammina per strada, per quella gente che ama la bellezza, ma anche per l’èlite culturale di cui parla Baricco, oggi è così, “ieri” era diverso. Siamo come preti e suore laici, dei pazzi con una fede in una Dea Madre che si chiama cultura. L’impressione è che lentamente si stia spegnendo una propulsione, c’è un’omologazione al niente che spegne le menti e si siede subendo la vita che schiaccia. Sono stanca di vedere chi si vomita addosso e parla di cultura, questo è gravissimo, vedo solo artisti e intellettuali che degenerano esaltando solo se stessi, serve un’azione di gruppo, basta con questo assolutismo. O si fa cultura per la gente, per il bene, per un domani, per i figli dei figli, o non la si fa, mi ripeto oggi deve essere così, “ieri” era diverso.
Il compito di salvaguardare il pensiero è fondamentale. Nei primi decenni del Novecento, c’era un rapportarsi tra intellettuali e politica, dove c’era spesso uno scambio o comunque un rispetto reciproco, l’importante comunque era sempre l’onestà, questo credo. Quindi quello che penso dell’arte in genere oggi è che siamo in un totale spaesamento dove la maggior parte di chi la dovrebbe fare l’arte è alla corsa della visibilità, di chi urla più forte, della notizia a tutti i costi, quindi è tutto fermo e immobile.
Tutti parliamo del futuro, ma qui c’è urgentemente da pensare al presente, ecco perché ci stiamo aggrappando al passato per trovare una salvezza (chi vuol vedere i concerti dei miti degli anni settanta e ottanta) guardiamo indietro per non guardare il qui e ora, bello per la storia, ma tragico per il presente. Amo la gente che ha un senso su questa terra, che combatte per questa società, mi emozionano, “la vita è un cerchio” diceva Roberto Sanesi e non sappiamo quale sia il suo diametro dico io. Serve impegno, serve passione, serve lucidità e onestà, il mondo ne ha bisogno.
A questo punto, parlaci di te come artista…
Anche il mio fare artistico cerca la verità, recito cercando un mantra.
Mantra nella sua etimologia viene dal sanscrito ‘manas– mente e da trayati- liberare’ trovando l’esatta collocazione nel concetto tra liberazione e mente.
Di fatto è come una preghiera, di qualsiasi religione… l’atto della lettura è come il pregare, per questo dà assuefazione sonora, ed è nella ripetizione che accade la seduzione. L’ascoltarsi o l’ascoltare crea una direttrice sonora che affascina e t’affascina appunto come una canzone, come una nenia, una litania o una ninna nanna. Non a caso se pensiamo a tanti successi discografici mondiali che erano delle songs, contenevano dei mantra, delle ripetizioni sia musicali che vocali.
Nel mio concetto di teatro prevedevo sempre una sorta di trance, di assuefazione nel recitare, nel dire, nel dare, voglio vedere sul palco la potenza, il pubblico deve sentire che ci sei e li proteggi, sei guida, eroe, padre e madre. La superficie non mi interessa, ci gioco, come gioco con la mia immagine, la gente vuole questo? Gli do anche questo, ma comunque anche l’immagine deve parlare d’eternità e non solo involucro, tu mi dici avvenente e io l’unica avvenenza la trovo nella Poesia, qualsiasi essa sia. Ad un certo punto della vita, diventi ciò che fai, se chiami la poesia lei arriva, ti travolge e non puoi far altro che accettarla, digerirla, e poi trasformarla, farla diventare altro. Poi ho lavorato con Living Theatre nel ’98. È stata un’esperienza da principio entusiasmante; incredibile lavorare con un gruppo teatrale che dapprima conosci sui libri di scuola. Ho imparato a lavorare sull’essenza delle cose, sulla totalità dell’uso del corpo e della mente, sull’improvvisazione come nel jazz e sulla liberazione dalle costrizioni che il nostro vissuto ci dà. Judith Malina, un giorno mi disse che potevo “sacralizzare il teatro ma dissacrandolo” questa era la via e che potevo avere un doppio ruolo sul palco “puoi essere donna e uomo”, dapprima rimasi basita, non sapevo come raggiungere quello che mi stava dicendo, poi ho capito che lei cercava di dirmi quello che mi diceva Sanesi, di andare avanti e cercare un’altra forma d’arte, non credo possa essere così, una nuova forma d’arte accade, non la crei, ma forse sta nella fusione delle arti, alternarle, è indispensabile raggiungere una consapevolezza propria e poi finalizzarla in tanti modi. Se si arriva all’essenza si può arrivare al superamento del passato, ma in modo consapevole, senza dimenticarlo, rispettandolo, e l’evoluzione ne risulterebbe il frutto di tutto, una totalità appartenente al mondo, a noi tutti. Ho amato molto quel periodo e quegli artisti e faranno sempre parte della mia formazione.
Sicuramente lavorare con molti jazzisti ha modificato molto il mio rapporto con la voce e con la vocalità. È una palestra dove ogni giorno impera l’improvvisazione. È anche per questo che amo il jazz. E quindi ho lavorato con molti jazzisti, da Fresu a Bosso a Bollani, adesso ho uno spettacolo con Gianluca Petrella, per me il più grande jazzista italiano perché è libero.
Ma anche con Garbo abbiamo sperimentato molto, tante delle cose sono nate dai nostri dialoghi notturni, puntuali e sempre presenti per tanti e tanti anni. E da tutto questo nasce Rumors Festival come hai citato tu, dopo la fondazione del “Manifesto di Reading” è nato Rumors Festival – Illazioni Vocali, dopo sei edizioni mi era stato tolto, ho fatto una guerra di mesi per riaverlo, una guerra che mi ha provato e segnato e di cui porterò i segni per sempre, però alla fine ho vinto. Ha vinto la cultura, ha vinto lei, non io, io sono solo un tramite.
Sei stata più che esaustiva. A parte il grande Roberto Sanesi, chi è stato un altro personaggio a cui devi di più in termini di insegnamento umano e o professionale?
In in realtà penso di imparare ogni giorno da tutti gli artisti e gli intellettuali con i quali parlo e mi confronto, oltre Roberto Sanesi, Judith Malina di certo.
Mi sembra di capire che hai scelto una carriera difficile, in un intersecarsi continuo di stimoli e poi nella presa di responsabilità del festival che grazie a Dio si farà anche quest’anno. Chi sono gli artisti contemporanei che riescono a stimolarti e quelli del passato ai quali idealmente ti rivolgi come in una specie di santuario?
Sono tanti gli artisti che mi hanno emozionato e che mi emozionano, del passato Antonin Artaud, e Céline, i Dada, Breton, ma tanti e non solo artisti ma a loro modo eroi, e te li dico così come mi vengono Joyce, Blake, Milton, Philippe Petit e quel suo “Trattato di Funambolismo” che ci insegna la vita sul filo, che poi è la vita di tutti, ma anche artisti dello sport come Giovanni Soldini e poi ancora Demetrio Stratos, David Bowie, David Byrne, John Cage, Monk, Yeats, ma anche Brunori San cioè Dario, ed Eleonora Duse, la Callas, ma Euripide, Anish Kapoor, Giulio Paolini, Roberto Sanesi ancora e sempre, Schönberg, Judith Malina, Béla Bartók, Isadora Duncan, Calvino, D’Annunzio, Sarah Bernhardt, ma Franco Battiato di certo, troppi da dire così in un’intervista.
A parte l’amato festival, quali sono i tuoi nuovi progetti? Tu non hai paura di sperimentare, anzi.
Farò una riduzione teatrale tratta da “Le Troiane” di Euripide con Gianluca Petrella, sarà un’avventura tra classico e il contemporaneo, una sorta di viaggio sensato nell’orgoglio e nel riscatto femminile. Un tema attualissimo che se anche viene trattato ampiamente non avrà mai il suo totale riscatto. Sono diversamente femminista, spesso in questo termine ci hanno speculato in troppi e io non la farò mai, perché la donna è la Donna e non seve aggiungere altro. La sperimentazione è tutto quello che facciamo ogni giorno, il limite lo mettono altri, ma già per il fatto di creare e credere è di per se stesso un confrontarsi ed è un tentativo, questa è la più grande sperimentazione mai vista a parer mio.
Franz Krauspenhaar