
“Tutta la mia anima è un grido”. Con Kazantzakis, alle Termopili dello spirito
Libri
Francesco Subiaco
Sarà stato, forse, 15 anni fa – i dettagli si sfaldano perché ogni biografia ha nell’ambiguità il proprio crinale veritiero. Tramutarono gli albi di Corto Maltese in una serie televisiva. Ne ricavarono dei dvd. Li comprai tutti. Ricordo giorni dal sapore salato, il divano che pareva la tolda di una nave, in viaggi perentori tra Amazzonia e Armenia, tra Alaska e Sudafrica. Corto Maltese ha, ancora, un potere ipnotico: preme sul nostro desiderio di scoprire e perdersi, ci inarca nel mistero, in ogni concepibile rebus. Corto Maltese, che ha i tratti rudi di un esistenzialista francese e la gloria di uno Stevenson, è, pure, una goliardia culturale, un godimento in libri. Attraverso Corto approdi in Conrad, in Jack London, in Hermann Hesse; sondi i riti aztechi, lo zodiaco cinese, l’abracadabra dei pellerossa, la labirintiadi dei massoni.
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In una specie di viaggio melvilliano nei recessi di una libreria vera, dove è vivo, è oro, ciò che per il mercato editoriale è defunto, passato, vecchio, qualche giorno fa, faccio una scoperta eccezionale. Su uno scaffale, una pila di numeri di “Corto Maltese”. Apro a caso il numero del febbraio 1984. L’editoriale di Fulvia Serra: “In ognuno di noi si nasconde un Corto Maltese? L’ignoto, ovvero il luogo diverso, ha sempre un fascino tanto sottile?… Perché l’avventura? Perché oggi? Forse per quella sensazione sospesa di rischio che ti fa provare… forse perché siamo spiriti libri… forse perché vogliamo segare le sbarre intorno alla nostra mente… forse perché ci piace e basta?”.
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La rivista – ampio formato, copertine affascinanti, font decisa, sottotitolo speciale: “Rivista mensile di fumetti viaggi avventure” – dura dieci anni, dall’ottobre 1983 al luglio 1993, per il getto di 118 albi, dirige la Serra, stampa Rcs (ergo: Casa Editrice Milano Libri Edizioni srl), è straordinaria. Nel numero che ho in mano, La casa dorata di Samarcanda, strepitosa avventura di Corto Maltese, s’intreccia a un reportage da Van, in Armenia, firmato da Gianni Guadalupi (gli articoli hanno un passo decisamente narrativo: “Addossata a un’immensa parete di roccia biancastra, formata da casupole di fango grigio separate da vicoli bui ricolmi di sozzura, circondata da paludi talmente malsane che d’estate tre quarti degli abitanti fuggivano sulle alture, la città di Van nel primo Novecento smentiva protervamente il detto usuale in bocca agli armeni che l’abitavano: ‘Van in terra e il Paradiso in cielo’”); un articolo sugli “indiani e puritani d’America” introduce una storia disegnata, Tutto ricominciò con un’estate indiana, di Milo Manara; poi c’è un racconto dall’Amazzonia di Lino Pellegrini, il resoconto di una impresa, in vela, verso Antartide (In vela tra i ghiacci), una donchisciottesca Piccola guida ragionata del West disegnata da Andrea Pazienza. Chiude, un brano del Satyricon dipinto da Beppe Madaudo, una rapinosa avventura di Guido Crepax dedicata al Conte Dracula.
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“Che idea quella della spedizione Basile: caricare su quattro piccole barche a vela non solo una dozzina di cristiani ma anche sessanta cani da slitta (sì, sessanta) e portare tutti fino alla Baia delle Balene, una piccola scodella ghiacciata sulla costa dell’Antartide. Di lì, poi, chi avrà voglia e fegato dovrà vedersela con i cani e le slitte fino al Polo Sud” (In vela tra i ghiacci, Marco Morosini). Non vi viene già voglia di lasciare tutto e perdervi nel grande bianco?
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Mentre il tempo si avviava all’avventura delegata ai format televisivi – sono gli anni, ad esempio, di “Jonathan. Dimensione avventura” –, al rischio sul sofà, alla sfida come dispositivo turistico, alla lotta deviata nei videogame, “Corto Maltese” agisce ispirando, dando credito alla crescita dell’individuo e alla sua dissipazione, alternando i reami della mente ai bagliori della carne. Se leggi “Corto Maltese” non sei arso dalla nostalgia, preda della frustrazione del consumo: desideri avventarti, con i remi dell’immaginazione o con la foga di chi lascia tutto per un nonnulla.
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Infine, ho razziato tutti i numeri che ho potuto. Nel numero del febbraio 1988, il pezzo indimenticabile è l’avventura disegnata di Sergio Toppi, Aioranguaq, ambientata in una Groenlandia arcaica, piena di arcani, di superstizioni appese all’aurora boreale. Nel numero del settembre 1984, invece, un ‘pezzo’ su Macao introduce la serie disegnata da Altan, mentre Masciangelo Benedetti Liotta, con talento grafico impressionante, racconta la storia del brigantaggio, in Calabria, nel 1870.
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Anche in una rivista avventurosa, avventuriera come “Corto Maltese”, trasudava la certezza che l’uomo è la sua prova, che l’uomo è l’essere che si priva per provarsi. Mette alla prova le proprie convinzioni leggendo, perché gli è chiara l’inadeguatezza. Si sfida per le vie del mondo, semplice e capace, rispettando i propri simili, senza arretrare. Per dare gusto alla propria esistenza – e magari, materia di memoria –, lotta, imbraccia le cause infime, agisce, crea forme, sbaglia. Ora piuttosto, questa, mi pare una vita in vitro. (d.b.)