15 Ottobre 2019

“Meridiano di sangue” è il romanzo più grande – violento, necessario, apocalittico – scritto da un autore vivente. Harold Bloom su Cormac McCarthy

Come si sa, Harold Bloom ha passato la vita ricordandoci la grandezza di Dante, Shakespeare, Cervantes, Tolstoj. Eppure, il suo carisma non è quello di essere un critico letterario con gli sguardi fissi nel bel tempo che fu. I pochi, grandi autori che ha amato – da Anne Carson a Paul Muldoon, da Don DeLillo a Denis Johnson, John Ashbery, Philip Roth, Mark Strand… – li ha elogiati, difesi, installati nel ‘canone’ insieme ai grandissimi, senza viziosi vezzi, perché così si fa. Questo è l’esercizio critico: certi della forza del passato, sappiamo riconoscere i grandi di oggi. A Bloom va dato merito, tra i tanti, di aver scoperto Cormac McCarthy. Lo ha elevato dalla palude di una letteratura per pochi, riconoscendone il genio autarchico. Quarant’anni fa, inizia a elogiare “Suttree”; nel 1985 dichiara “Meridiano di sangue” il capolavoro della letteratura in lingua inglese di ogni tempo, insieme a “Moby Dick” e a “Mentre morivo”. Esattamente dieci anni fa, nel 2009, per un testo della Library of Congress, nella collana ‘Bloom’s Modern Critical Views’, introduce un libro di saggi dedicato a “Cormac McCarthy”. Così, la grande critica vivifica il presente, censisce la vita. Qui traduco un brandello di quella introduzione. (d.b.)

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Meridiano di sangue (1985) mi sembra l’autentico romanzo americano apocalittico, più rilevante oggi che allora. La fama assoluta di Moby Dick e di Mentre morivo è accresciuta da Meridiano di sangue perché Cormac McCarthy è degno discepolo di Melville e di Faulkner. Nessun altro romanziere americano vivente, neanche Thomas Pynchon, ci ha regalato un libro così possente e memorabile come Meridiano di sangue, nonostante io apprezzi Underworld di Don DeLillo, Zuckerman scatenato, Il teatro di Sabbath e Pastorale americana di Philip Roth, L’arcobaleno della gravità e Mason & Dixon di Pynchon. Lo stesso McCarthy nella “Trilogia della Frontiera”, a parte il superbo Cavalli selvaggi, non ha mai eguagliato Meridiano di sangue, l’ultimo Western, il definitivo.

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Devo confessare che i primi due tentativi di avvicinarmi a Meridiano di sangue sono falliti: il travolgente massacro in cui getta McCarthy mi ha atterrito. La violenza comincia alla seconda pagina del romanzo, quando il quindicenne Kid viene colpito alla schiena, un attimo prima del cuore, e continua senza tregua, o quasi, fino alla fine, trent’anni dopo, quando il Giudice Holden, la figura più spaventosa di tutta la letteratura americana, uccide Kid. Sono così spaventosi i continui massacri e le mutilazioni, che Meridiano di sangue potrebbe essere letto insieme al rapporto delle Nazioni Unite in merito agli orrori perpetrati in Kosovo nel 1999. Eppure, esorto il lettore a perseverare perché Meridiano di sangue è il genio dell’immaginario canonico, una tragedia americana e universale, intrisa di sangue. Il Giudice Holden è un cattivo degno di Shakespeare, simile a Iago, demoniaco, teorico della guerra perpetua. E la magnificenza del libro – il suo linguaggio, il paesaggio, le persone, i pensieri – trascende la violenza tramutandola in arte terrificante, un’arte paragonabile a quella di Melville e di Faulkner. Quando insegno questo libro, molti studenti inizialmente si ritraggono (come ho fatto io e come diversi amici continuano a fare). La televisione ci dilania con una violenza reale quanto immaginata e siamo tentati a distaccarci, disgustati. Ma io non posso allontanarmi da Meridiano di sangue, so come e perché devo leggerlo. Nessuna delle sue carneficine, in effetti, è ridondante o gratuita: riguarda il confine tra Messico e Texas, nel 1849-50, in cui è ambientata larga parte del libro. Suppongo possa essere definito “romanzo storico”, Meridiano di sangue, dal momento che racconta la cronaca delle spedizioni della Banda Glanton, una forza paramilitare inviata dalle autorità messicane e texane a fare sterminio di indiani. Eppure, non c’è aura di romanzo storico, dal momento che ciò che rappresenta ribolle, negli Usa e ovunque, in questo terzo millennio. Il Giudice Holden non sarà dimenticato negli anni a venire.

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A mio parere, McCarthy avvisa il lettore che il Giudice Holden è Moby Dick più che Achab. Altro bianco enigma, l’albino Giudice Holden, come la balena bianca, non può essere ucciso. Melville, gnostico professo, credeva che “una mano anarchica o un errore cosmico” ci avesse diviso in due fallibili sessi, e fa di Achab un manicheo cercatore. McCarthy conferisce al Giudice Holden i poteri degli angeli cattivi o dei demiurghi che gli Gnostici chiamano arconti, ma ci avverte di non compiere una totale identificazione con essi. Nessun ‘sistema’ – compreso quello gnostico – ricongiungerà il Giudice all’origine. L’“ultimo uovo atavico” non sarà trovato. Cosa possiamo fare di fronte all’ossessione terrificante del Giudice?

La mia passione per Meridiano di sangue è tanto feroce che voglio continuare a spiegarlo, il lettore deve avere il coraggio di penetrare nel cuore del romanzo.

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Sebbene i critici continuino ad associare Cormac McCarthy a William Faulkner, che ha sicuramente influenzato il McCarthy di Suttree (1979), il visionario di Meridiano di sangue (1985) e della “Trilogia della Frontiera” (1992, 1994, 1998) ha poco in comune con Faulkner, piuttosto, deriva profondamente dal debito di Melville nei confronti di Shakespeare.

Gli eroi di McCarthy tendo a essere apostoli di una volontà-di-identità, ad eccezione del Giudice Holden che è la Volontà incarnata. John Grady Cole, che sopravvive in Cavalli selvaggi per essere disintegrato in Città della pianura, è sostituito in Oltre il confine da Billy Parham, che riesce a capire ciò che non riesce a Grady Cole, cioè che il vero nome di Dio è “dove non sono”. Dio sarà presente dove e quando sceglierà di essere presente, sarà assente più che presente.

Il risultato estetico di Cavalli selvaggi è superiore a Città della pianura, anche perché McCarthy è troppo legato a John Grady Cole per farlo morire giovane (è davvero solo un ragazzo) con la giusta distanza di una decisione autoriale. Nessuno riuscirà a rivaleggiare con Meridiano di sangue, neppure McCarthy, ma Cavalli selvaggi e Oltre il confine sono più eminenti di Suttree. Se dovessi scegliere una narrazione di McCarthy in grado di reggere il confronto con Meridiano di sangue questa è Cavalli selvaggi. John Grady Cole cerca la libertà e scopre ciò che né Suttree né Billy Parham devono scoprire, cioè che la libertà, in un contesto americano, è un altro modo per dire solitudine. La libertà personale, per Cormac McCarthy, non ha alcun aspetto sociale.

Harold Bloom

*In copertina: Cormac McCarthy nel 1992, a El Paso

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