27 Marzo 2018

Cormac McCarthy ha copiato da Céline, Hitchcock e Sri Aurobindo. Ma resta il più grande. Dagli Usa uno studio (accuratissimo) sulle fonti dello scrittore de “La strada”

Due sono le cose indiscutibili. La terza è l’invidia. La prima cosa indiscutibile è che Cormac McCarthy, classe 1933, ha scritto alcuni dei libri più possenti del vecchio e del nuovo secolo. Meridiano di sangue, Oltre il confine, La strada. Libri così belli che se ne può fregare, Cormac, se non lo fregiano del Nobel per la letteratura. La seconda cosa indiscutibile è, appunto, che Cormac se ne frega. Non appartiene al club degli scrittori americani (preferisce la compagnia degli scienziati del Santa Fe Institute, piuttosto), non ammette interviste, sta per i fatti suoi. Nel 1992, in una rara intervista, Cormac dice “la cosa spiacevole è che i libri dipendono da altri libri… la vita di un romanzo si basa sulla vita dei romanzi che sono stati scritti prima di quello”. Morale. Cormac McCarthy è un lettore compulsivo e i suoi romanzi – un dedalo di metafore, un Eden di visioni intrecciate, fumose, bellissime – sono anche un cifrario segreto di citazioni remote. Già. Ma cosa legge Cormac? Anche qui, poche parole, qualche mugugno, piuttosto. Sappiamo che Cormac ritiene Moby Dick e I fratelli Karamazov l’Everest del romanzo occidentale. Non gli piace Proust. Apprezza lo stile di Joyce. Ha sintonia con William Faulkner e Flannery O’Connor. Tutto qui. Veniamo alla terza cosa. L’invidia. Negli Stati Uniti, che ci piacciano o ci facciano schifo, in letteratura fanno le cose per bene. Intorno ai grandi scrittori viventi nascono gruppi di lavoro (la Cormac McCarthy Society è qui) e riviste specialistiche (il ‘The Cormac McCarthy Journal’ è qui) che leggono l’opera del vivente alla stregua di quella del caro estinto. Ergo: McCarthy da più di un decennio è letto e studiato come Hemingway, Pound, Fitzgerald, Faulkner, Steinbeck. Il suo posto nel ‘canone’ è già al loro fianco. Non è una questione di spacconeria critica; è una questione di metodo. Perché non accadono cose simili in Italia? Semplice. L’America è il dominio del mercato ma anche del genio, riconosciuto. In Italia domina solo il mercato e la cretineria diffusa, illividita dall’egolatria canaglia. Torniamo a noi. Nel 2007 la The Wittliff Collections della Texas State University recepisce, alla voce ‘Cormac McCarthy Papers’, tutte le carte del grande scrittore, dal 1964 in poi. Il materiale, raccolto in 98 faldoni, è una manna per lo studioso. Di ogni opera pubblicata sono evidenti le fasi di lavoro, le prove, i quaderni, i patimenti e la corrispondenza intrattenuta durante la stesura (McCarthy resta figura appartata: spiccano le lettere ad Albert R. Erskine, il suo editor, che è stato l’editor di Faulkner, e al bibliografo J. Howard Woolmer, con cui Cormac intrattiene un rapporto epistolare, dal 1969 al 2006, costituito da 120 lettere). Tra le opere non pubblicate, emerge il testo teatrale Whales and Men. Ora. libro mccarthyUno studioso, Michael Lynn Crews, ha messo la testa dentro i preziosi archivi. E ne è uscito con un libro autorevole, griffato University of Texas Press, Books are Made Out of Books, che intende proporsi come una ‘Guida alle influenze letterarie nell’opera di Cormac McCarthy’ (pp.356, $35.00). Il testo è utilissimo e McCarthy ghigna come un demone della letteratura, un lettore famelico e anche – secondo la norma di Eliot per cui non c’è limite alla citazione, purché non sia un plagio – un infaticabile ‘imitatore di voci’. Esempio. “La passione di McCarthy nell’opera di Emily Dickinson ha allusioni precise in Figlio di Dio”. Lo studioso ha modo – incrociando documenti e manoscritti – di decifrare una frase pronunciata dal folle Lester Ballard di Figlio di Dio, “apparentemente senza alcuna sorpresa”, riconducendola nell’alveo della fonte, la poesia 1668 di Emily (“Apparently with no surprise/ To any happy Flower…”). Un calco. Come un calco è una frase di Michael Foucault che ritroviamo, lietamente sbozzata, in Meridiano di sangue. Nello stesso libro, secondo l’efficace ‘tavola delle concordanze’ costruita dallo studioso, appaiono citazioni dal Beowulf, il canonico poema anglosassone, da Louis-Ferdinand Céline, da Joseph Conrad, da Goethe, da Eraclito, da Tolstoj a Paul Valéry, da Nietzsche e da Sri Aurobindo. Ovviamente, non basta shakerare qualche citazione colta nel giardino dei frutti bibliografici proibiti per fare un romanzo. Ne verrebbe fuori un cocktail massacrante. La lista ci serve per orientarci nella testa dell’enigmatico Cormac. Tra gli ispiratori più curiosi, che in qualche modo appaiono nei libri di McCarthy: Oswald Spengler, Wyndham Lewis e il Malleus Maleficarum (in Suttree), Alfred Hitchcock (in Figlio di Dio), Ezra Pound, Bruce Chatwin, Milan Kundera, Sergio Leone. “Le fonti di McCarthy sono così strettamente intrecciate nella trama dei suoi romanzi che spesso sono difficili da scovare”, denuncia lo studioso. Come a dire, Cormac legge, legge, legge. Poi fa da sé. E da quella galassia di parole trae, come un delirante demiurgo, il proprio mondo.

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