26 Luglio 2023

Sui romanzi demoniaci e memorabili di Cormac McCarthy, scrittore apocalittico

Non ero quasi mai in disaccordo con Harold Bloom. John Updike e Vladimir Nabokov erano l’oggetto pressoché principale delle nostre dispute. “Non litighiamo, mio caro”, mi diceva, come a dire: non puoi vincermi. Ma mentre Harold vedeva all’origine del genio ammaliante di Meridiano di sangue, della smisurata abilità di Cormac McCarthy “il profondo debito di Melville con Shakespeare”, più che quello di McCarthy con Faulkner, io ho insistito sulla cruciale influenza di John Milton su Melville. Ho sostenuto altrove che l’agonismo di Moby Dick, per ciò che riguarda Achab, non è tanto con Macbeth, Amleto o Re Lear, ma con il Satana del Paradiso perduto, pura incarnazione della sovversione poetica. Se questa indagine è corretta, l’angoscia dell’influenza di McCarthy, tramite il Giudice Holden di Meridiano di sangue, segue un lignaggio che da Melville approda a Milton. Il Giudice Holden, con i suoi poteri, il fascino ammaliante del ragionamento lirico, la propensione per la teatralità, ha a che fare con il Satana di Milton più che con lo Iago di Shakespeare. Il Giudice Holden desidera annientare i viventi per vivere per sempre, è una specie di vampiro albino, senza età, retto dall’unico credo che il meridiano del cosmo e della terra debba restare insanguinato. Balla sul sangue, gioca con il sangue, nel sangue il suo stesso sangue brilla. Holden, come Satana, è “da sé stesso governato/ dal proprio potere vivificato”.

Harold Bloom ha detto che il Giudice Holden è “la figura più spaventosa della letteratura americana…  la Volontà incarnata”. Sebbene Bloom, quando parla di Volontà, abbia sempre sullo sfondo il pensiero gnostico, penso che “Volontà”, in questo caso, si riferisca all’aspetto grottesco della Volontà di Schopenhauer, l’urgenza sanguinaria, sanguigna, che anima ogni creatura. (Walt Whitman: “Urge e urge e urge/ sempre, il procreante arbitrio del mondo”).

Il Giudice Holden, come il Lester Ballard di Figlio di Dio e l’enigmatica, assassina trinità senza nome de Il buio fuori, è un’aberrazione postlapsaria, il cui male è agostiniano perché deriva dal completo estraniamento da Dio. Questi personaggi funestano e fuggono i loro mondi in un’ostinata disperazione dottrinaria; moribondi per il peccato che uccide l’anima che si rifiuta di riconoscere la grazia di Dio o la Sua esistenza spirituale. Dio? Quale Dio? In un passo di Figlio di Dio, un deputato chiede a un vecchio: “Lei pensa che la gente fosse più malvagia un tempo di quanto non lo sia ora?”. Il vecchio risponde: “No… Penso che l’uomo sia lo stesso da quando Dio lo ha creato”. E nel giorno in cui Dio lo ha fatto, lo ha reso malvagio. Cos’altro dobbiamo attenderci da una divinità tanto crudele?

Il Giudice Holden e i malvagi de Il buio fuori sono decisi a compiere la loro apoteosi demoniaca. Ma Lester Ballard è per certi versi più terrificante del Giudice Holden e del trio de Il buio fuori. Il Giudice Holden è un teologo e un demoniaco contastorie, un violento Übermensch che possiede le raffinatezze del ragionamento; i tre de Il buio fuori sono una sorta di Eumenidi maschili, che dispensano giudizi sopra la notte americana, mentre Ballard è una calunnia umana, di sinistra impotenza. Il Giudice Holden aderisce al codice del sangue, le Eumenidi al maschile de Il buio fuori vendicano i peccati degli uomini; Ballard è il diavolo orbato, cieca malvagità, terrificante perché ogni logica in lui è perduta.

Benché il Giudice Holden sia l’estremo omicida, lebbra ambulante che semina rovina e distruzione, egli parla, si fa comprendere attraverso una retorica della sedizione: il progetto delle sue devastazioni è comprendibile. (Lo stesso Holden è al di là della corruzione: quando incontra “il ragazzo”, The Kid, alla fine del romanzo, ventotto anni dopo la loro maniaca cacciagione di scalpi, non è invecchiato di un giorno). Le Eumenidi al maschile non hanno nome, proprio come Yhwh, che significa, scegliendo il frainteso, “io sono” e “io sarò”, eppure coinvolgono in una certa possibilità di comprensione (autentica attrazione giudeo-cristiana verso l’inconoscibile). Con Ballard non c’è nulla da afferrare, nessuna speranza di comprensione. Devi attenerti alla depravazione per ciò che è: inspiegabile, inabissamento nell’assoluto inconoscibile, valuta psico-spirituale. McCarthy conosce il proprio lignaggio: non c’è psicologia in Omero e Virgilio, ma soltanto le azioni nude, pure, viscerali degli dèi e degli uomini – e le loro conseguenze. Dopo l’orgia del massacro, gli uomini si siedono davanti al vino, mangiano carne e si destano all’alba, per ricominciare da capo.

Meridiano di sangue è una terrifica visione di Giovanni di Patmos, un’apocalisse in cui il manicheismo ha smarrito il bene, la luce, l’amore, ed è precipitato nella sanguinaria oscurità del suo opposto. Il Giudice Holden assume in sé i quattro cavalieri: Guerra, Morte, Conquista, Carestia (o meglio, secondo Ezechiele: Spada, Fame, Bestia, Peste). Il massacro non ha eguali nella storia, tranne che in Omero – Achille sullo Scamandro, l’acqua che ondeggia colma dei corpi e del sangue dei Troiani massacrati. Una volta ho scritto che Meridiano di sangue è “un capolavoro empio e antinomista, alimentato da sentenze ultraterrene”. Lo credo ancora. Nel 1992, il “New York Times” ha descritto il lavoro di McCarthy forgiando l’etichetta “realismo morboso”, che in qualche modo difetta del bersaglio, dello scopo. Piuttosto, dovremmo parlare della realistica morbosità del mito.

Spesso i personaggi di McCarthy sono dissociati dalla civiltà. Anton Chigurh in Non è un paese per vecchi, viene indicato come un “killer psicopatico”, “un dannato psicopatico”, ma è più correttamente un sociopatico, un uomo privo di coscienza, slegato da ogni malessere, che non ritiene che il mondo debba avere – o abbia mai avuto – un qualche ordine morale (il Giudice Holden dichiara: “La legge morale è un’invenzione dell’umanità per affrancarsi dai potenti in favore dei deboli”). Lester Ballard è un demiurgo inferiore che comunica con i completamente morti come noi comunichiamo con i parzialmente vivi. La nostra civiltà è tale che vivere non è vivere, ma guadagnare, ottenere, avere, e i romanzi di McCarthy non hanno alcun nesso con ciò che conosciamo come società. La sua narrativa proclama che la società più che irrilevante, è inesistente. In La strada – il cui stile può essere descritto come una Apocalisse redatta da Hemingway – la società è letteralmente inesistente, sostituita da isolati sconnessi e invisibili, senza strade, ipotesi di casalinghe vie. Quale casa potremo attenderci, d’altronde? L’apocalisse ne ha vanificato il senso.

In un passaggio straordinario da un’intervista rilasciata al “New York Times” nel 1992 McCarthy ha detto:

“Non esiste vita senza spargimento di sangue. Penso che l’idea che la specie possa essere migliorata, che tutti possano vivere in armonia, sia un’idea pericolosa. Chi è afflitto da questa nozione è il primo ad aver venduto la propria anima, la propria libertà. Un desiderio simile ti rende schiavo e rende vuota la tua vita”.

McCarthy intende dire che ogni forzata utopia approda ad Aushwitz, alla Grande Carestia di Mao, alla dekulakizzazione di Stalin. Ma da una frase simile capiamo perché l’opera di McCarthy sia spesso stata erroneamente stigmatizzata come nichilista. Una tale definizione è superficiale, come è superficiale dare a Nietzsche del nichilista (e Nietzsche è presente in McCarthy più di quanto si sia finora notato). Né Suttree né la “Trilogia della Frontiera” – un vero contendente per l’alloro di Grande Romanzo Americano – si muovono o si concludono nella notte nichilista. Fratellanza, lealtà, senso della comunità, incanto, autodeterminazione emersoniana, possibilità di liberarsi da ogni legame: questi sono alcuni elementi che incontriamo in quei romanzi.

McCarthy deve essersi sfiancato per i continui paragoni con Faulkner, specialmente in merito ai primi romanzi, soprattutto per Suttree (l’unica tra le opere di McCarthy in cui traspare un po’ di umorismo e di relativa mitezza). Recensendo Il guardiano del frutteto, il primo romanzo di McCarthy, sul “New York Times”, Orville Prescott ha parlato – così fin dal titolo – di “un ennesimo discepolo di William Faulkner”. Vale la pena ricordare ciò che Walker Percy ha detto degli scrittori che tentano di inseguire lo Shakespeare del Mississippi: “Non c’è niente di più sconsiderato che imitare un eccentrico”. McCarthy era costituzionalmente incapace di optare per tale imprudenza. Una volta ha detto a un giornalista del “Times” che “i libri sono fatti di altri libri, un romanzo deriva dalla vita dei romanzi che sono stati scritti prima di lui”. Questo, ovviamente, include anche i romanzi di Faulkner. (Si capisce in questo senso la simpatia di Harold Bloom per il metodo e l’estetica di McCarthy, profondamente inerenti l’angoscia dell’influenza). Nessuno mette in dubbio che Faulkner abbia avuto degli effetti decisivi sulla sensibilità narrativa di McCarthy e sul tono della sua sintassi: vorrei però ricordare che gli stessi libri da cui Faulkner ha tratto i suoi romanzi stavano nello scaffale di McCarthy. Bloom non lo approverebbe, ma l’angoscia dell’influenza è un tappeto complesso che resiste a chi lo vuole sbrogliare. Quando McCarthy ha assimilato Faulkner, ha incorporato, soprattutto, il corpus degli scritti necessari per capire gli scritti di Faulkner: non solo Omero e Virgilio, ma la Bibbia, Shakespeare, Dante, Milton, Melville.

Harold Bloom non ha letto gli ultimi romanzi di McCarthy, The Passenger e Stella Maris: è morto nel 2019, all’età di ottantanove anni, la stessa età di McCarthy quando è morto, il 13 giugno di quest’anno. Penso di indovinare cosa direbbe di quei libri: “Se esiste una tradizione pragmatica del sublime americano, i romanzi di Cormac McCarthy ne sono il culmine”. Non male come epitaffio – ancor più perché è vero.

William Giraldi

*Questo articolo è stato pubblicato in origine sulla rivista “The Lamp” come “Self-begot, Self-rais’d. On Cormac McCarthy and the anxiety of influence”. Romanziere, William Giraldi ha pubblicato con WW Norton Busty Monsters (2011), Hold the Dark (2014), About Face (2022). Da Hold the Dark Netflix ha tratto l’omonimo film.

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