02 Febbraio 2023

Ode a Clark Ashton Smith: l’amico di Lovecraft che spalancò le porte dei mondi oscuri

Quando pensi alla California immagini le lunghe file di palme, l’oceano sciabordante e le spiagge affollate, non certo una terrificante galleria di mostruosità, di sicuro non gli oscuri tentativi di riportare alla vita i corpi dei propri cari estinti, con l’ausilio di divinità sepolte o mummie parlanti. La California è l’emblema dell’eterna estate, non sinonimo di morte e rovina. Eppure Clark Ashton Smith (1893-1961) è nato, cresciuto e ha trascorso la sua intera esistenza proprio in Californa, e dalla sua penna sono uscite poesie, poemi e racconti capaci di spalancare le porte di mondi oscuri o evocare demoni ancestrali. Non solo, è stato anche ‘scultore di mostri’ (per usare il titolo di uno dei suoi racconti), plasmando sculture antropomorfe o pre-umane e maschere arcigne.

Se il posto riservato a Clark Ashton Smith è finora quello di scrittore weird, con tutto ciò che questo comporta, nel bene come nel male, è per una mancanza da parte della critica, sempre sospettosa e molto cauta nei confronti di scrittori classificati come “di genere”. Insomma, Ashton Smith resta relegato fra le letture di appassionati, non riuscendo per ora a trovare lo spazio che meriterebbe. In Italia, dobbiamo a Pietro Guarriello la pionieristica pubblicazione di Ombre dal cosmo (Yorick, 1999), ormai un reperto di archeologia libraria, che raccoglie alcuni inediti e una selezione di saggi critici dedicati all’autore. Ma per sapere di più su questo scrittore e scoprire che non si tratta del solito intrattenitore da rivista pulp, dobbiamo rivolgerci a testi non ancora tradotti, come molti di quelli contenuti in The freedom of fantastic things (Hippocampus, 2006), i quali mettono in risalto elementi fondamentali.

Ashton Smith fu prima di tutto un poeta. Raccolte di poesie e poemi furono le sue prime pubblicazioni, come The Star-Trader and Other Poems o Ebony and Crystal, e questo suo essere poeta resterà sempre evidente, anche quando si dedicherà alla più nota produzione orrorifica per l’acclamata rivista “Weird Tales”; perché soltanto per necessità economiche e sotto l’incoraggiamento di amici comincerà a scrivere racconti fantastici. Tra questi amici, i più significativi saranno George Sterling e H. P. Lovecraft, il quale scrisse:

“Nel più puro mistero demoniaco e nella fertilità dell’immaginazione, Smith non è forse eguagliato da nessun altro scrittore, defunto o vivente. Chi altri è stato in grado di contemplare visioni così splendenti, rigogliose e febbrilmente distorte di sfere infinite e dimensioni multiple, ed è riuscito a sopravvivere per narrarle?”. 

Anche nelle sue orride visioni, il linguaggio barocco e la potenza descrittiva amplificano l’impatto stupefacente dei suoi racconti; questa aristocrazia della lingua si adatta magnificamente ai temi ricorrenti dei suoi poemi in prosa e dei racconti: necromanti corrotti dalla loro stessa magia, antiche maledizioni, continenti in disfacimento bagnati da un perenne crepuscolo.

Qualche critico suggerisce una certa affinità fra i tramonti della California e le desolate visioni di Ashton Smith; altri recano libri su libri di autori che gli possono essere stati utili nella sua formazione, quali Poe, Bierce, Blackwood, Machen, ecc…. Tutto verissimo, anzi, forse addirittura scontato. Chi non ha subito il fascino e l’influenza di Poe? Ma pochi si interrogano su quale sia l’origine dell’orrore nella sua declinazione cosmica, e ciò costituisce un aspetto fondamentale per comprenderne il valore, oltre la bella pagina. Si tratta di qualcosa, un sentimento, frutto dell’esordio inquieto del Novecento (parafrasando una bella definizione di Lucio Villari). Allo scadere dell’Ottocento, se da un lato il nuovo secolo si apre con promesse di pace e progresso, dall’altra emergono incrinature che ben presto si riveleranno autentiche voragini pronte a riempirsi col sangue di milioni di innocenti. Il crescente interesse verso l’esotico, l’archeologia, le civiltà antiche, sembrano volte a spostare gli interessi di quella generazione verso tempi e luoghi lontani, diversi; e lo stesso avviene sul piano dello spirito e della religione, con la diffusione della teosofia, dell’esoterismo, delle pratiche spiritiche, dello studio dell’occultismo. A tutto questo vanno aggiunti i dirompenti (ma troppo spesso dimenticati) studi di Adams, Spengler e successivamente Toynbee, volti a tracciare, ognuno a modo suo, un senso della storia sulla base della nascita, lo sviluppo e la decadenza delle civiltà.

La relatività dell’avventura umana che emerge da alcuni studi su come nascono e muoiono le civiltà, ci mette di fronte all’estrema brevità e insignificanza della vita degli uomini, aprendo così le porte alle fantastiche e inquietanti speculazioni di questi archeologi dell’impossibile. Non a caso molte storie di Ashton Smith (ma anche dei suoi colleghi e amici Lovecraft e Howard) incominciano col ritrovamento di un vecchio manoscritto, un antico reperto, un amuleto con iscrizioni indecifrabili; perfino un otre pieno di vino può nascondere l’alito di civiltà estinte, ma pur sempre in agguato fra le pieghe del tempo, pronte a far valere le proprie terribili leggi sugli sventurati umani.

Questo corpus di interessi, curiosità e studi, può aver dato la giusta spinta a buona parte della letteratura fantastica di inizio Novecento, in quella peculiare forma riscontrabile nelle opere di H. P. Lovecraft, Robert Howard e, appunto, Clark Ashton Smith, i quali sembrano voler proporre una mitologia alternativa, o, potremmo dire, qualcosa in luogo della grande assenza di mitologie che si respira nel Novecento. Questo tipo di letteratura fantastica è ancora al centro di sterili dibattiti: che si tratti di weird o fantascienza, fantasy o horror, non ha alcuna importanza. Raggrupperei piuttosto questo filone di opere sotto quel comune anti-umanesimo. Ashton Smith definisce l’umanitarismo come

“una sorta di provincialismo cosmico; l’egomania della specie; lo sciovinismo terrestre; la religione di Lilliput”.

Questo tipo di letteratura corrisponde a quel generale senso di inquietudine provocato da una grande varietà di fattori, ma in primo luogo dalla perdita del primato dell’umano. I protagonisti di queste storie non sono scienziati, ricercatori o archeologi, ma i fenomeni stessi, le mostruose manifestazioni, le tremende visioni impossibili da descrivere. Potremmo aggiungere che si tratta di una degenerazione del romanticismo, ma Ashton Smith non sopportava le etichette: e se qualcuno lo indicò come “l’ultimo dei grandi poeti romantici”, forse, dice l’autore stesso, lo fece per esclusione, piuttosto che per un delle specifiche qualità. Ashton Smith, nello specifico, sembra aver scansato da una parte il Modernismo e dall’altra il Nuovo Umanesimo, andandosi a sedere fra coloro che fecero della fantasia un assoluto.

Clark Ashton Smith a diciannove anni – fotografia tratta dal sito The Eldritch Dark

Scott Connors, nell’articolo Gesturing Toward the Infinite: Clark Ashton Smith and Modernism, ripercorre il ruolo dell’autore in quegli anni di grandi cambiamenti, a partire dal suo linguaggio e dalla collaborazione alla rivista Poetry; il critico mette in evidenza la distanza con il Nuovo Umanesimo e con Pound, Eliot e l’Imagismo:

“Smith evitò totalmente l’uso di un linguaggio ancorato alle esperienze sensoriali, in favore di un linguaggio fondato sull’immaginazione”.

Insomma, tanto è il lavoro ancora da fare. La peculiarità di Ashton Smith, oltre a essere un autore ancora tutto da scoprire, soprattutto per noi italiani, è forse l’utilizzo della poesia in prosa quale mezzo di espressione per questo orrore cosmico. Attraverso il linguaggio poetico ogni cosa prende una forma diversa, si riveste di un sinistro lucore, come i frammenti di un antico testo blasfemo.

“Quando la novità delle scoperte moderne, ecc. si sarà logorata credo che la gente tornerà indietro ad una percezione dell’accerchiante, indissipato mistero che servirà per un ripristino del meraviglioso. Scienza, filosofia, psicologia, umanesimo sono, dopo tutto, solo bagliori di candela di fronte alla notte eterna con le sue infinite riserve di stranezza, terrore, sublimità. E di sicuro la letteratura non può sempre confinarsi agli archivi del formicaio e agli annali del porcile, come sembra stia facendo attualmente…”

Clark Ashton Smith, lettera a H.P. Lovecraft, ottobre 1930

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Il pericolo in agguato tra le rovine

Di Clark Ashton Smith (Traduzione di Daniele Gigli)

«Non vagare troppo spesso tra le rovine» disse il Daemon in uno dei suoi rari accenni di confidenza ammonitrice. «C’è una stranezza nelle ombre che questi memoriali della vastità del Passato – per quanto in macerie – hanno gettato per così tanti secoli sullo stesso punto, come all’alba in cui furono erette. Sono ombre, queste, che si sono rinforzate nella loro antica e ininterrotta meditazione; diverse dalle ombre degli oggetti naturali, perché il tempo umano vi si è accumulato come polvere mai spazzata, e le memorie dei morti vi si ammassano come pipistrelli in una grotta. Hanno tutta la potenza e tutto il sopore della disperazione; profonde come la morte e vuote come un limbo. La terra si è fatta abisso sotto di esse, e l’aria è piena di invisibili baratri improvvisi».

«Non è saggio chi cammina spesso e volentieri tra queste ombre. Perché, incurante del pericolo, potrebbe scivolare su di un qualche invisibile precipizio del Passato e continuare a cadervi per sempre, un fantasma tra i fantasmi, avvizzito e senza meta come una foglia d’autunno, nell’eterna notte ventosa delle cose trascorse. Sì, sì, perduto dal tempo, a vorticare impalpabile tra le raffiche di sabbia, in mezzo ad archi spezzati e a colonne senza volta; separato dal ciclo dell’essere, dimorerebbe di lì in avanti come un’ombra tra le ombre».

Gruppo MAGOG