16 Settembre 2022

“Conduco una vita ordinaria. Tutto il resto è mito”. Le lettere di Clarice Lispector

Quando nel 1944 Clarice Lispector giunge a Napoli, il ventre della città è ancora incandescente. La bocca del Vesuvio esala i fumi della recente eruzione, l’azzurra consuetudine è screziata di fuliggine. Lei, con lavico impeto, si insedia fra le braci.

Nei due anni che seguono, in una ritrovata luce, termina la stesura del suo secondo romanzo – O lustre (Agir, 1946) – opera di incestuosa complicità e rigoglioso lirismo, come quelle che gli succederanno. Già noto in Italia come Il segreto – edito per La tartaruga (Milano, 1999) e B.C. Dalai (Milano, 2010) – Adelphi, in questi giorni, lo ripropone con una nuova traduzione e un ritrovato titolo, Il lampadario, evocativo dell’esistenza opaca della protagonista Virginia – “nausea diffusa nei nervi calmi, braccia nude e sottili, viveva al bordo delle cose”.

Viaggiava al seguito del marito, la Lispector – il diplomatico Maury Gurgel –, chiamato a trascorrere un periodo in terra partenopea presso il Consolato brasiliano. Ed è reduce da un lungo viaggio, fra Dakar, Casablanca, Algeri, Lisbona – “una sera Ribeiro Couto ha tenuto una cena dove credo di aver goduto di un piccolo successo mondano; non è terribile? Ho incontrato João Gaspar Simões, che è adorabile e mi ha regalato due libri; di Natércia Freire, che è, secondo quanto mi è stato detto, la più importante poetessa portoghese, e dalla quale ho appena ricevuto una lettera e una poesia su di lei e su di me; e di Maria Archer, una scrittrice” – infine Taranto e Napoli, quando scrive all’amico di sempre Lúcio Cardoso, la cui insensibilità al fascino femminile ne aveva frustrato gli ardori, in gioventù.

La corrispondenza con Cardoso – poeta, pittore, scrittore di fede cattolica e credo omosessuale –, qui riportata, è ascrivibile al “periodo napoletano”. Lui è alle prese con il suo romanzo A professora Hilda, (edizioni José Olympio, Rio de Janeiro, 1946) e traduce un florilegio di poesie di Emily Brontë, lei rivela di sé quel pigro languore che ne fa una donna abitata da preoccupazioni spesso del tutto banali. Una semplicità terrena ben lontana dalla sua prosa lussureggiante ma non per questo preda di intrinseca contraddizione.  

“Non ho mai assunto una posa da super-intellettuale. Non ho mai finto di adottare la minima postura. Conduco una vita del tutto ordinaria. Allevo i miei figli. Mi occupo della casa. Mi piace vedere i miei amici, il resto è mito”.

Del resto, col tempo assumeva un atteggiamento famelico. Lo divorava, senza dissiparlo in ostentate affettazioni. Voleva possedere ogni istante.

***

Le lettere con Cardoso dimorano nel più ampio epistolario Clarice Lispector. Correspondance. Édition integrale (edizioni des femmes, 2021) – pubblicato in prima battuta nel 2020 in Brasile, in occasione del centenario della nascita dell’autrice –, assieme a quelle indirizzate alle sorelle, alle amicizie più o meno letterate, ai suoi editori. Di seguito, una breve selezione.

A Lúcio Cardoso

Napoli, settembre 1944

[…] Lúcio: È strano scrivere una lettera da così lontano, sembra di essere obbligati a dirsi grandi cose. Niente di eccezionale, invece, a meno che, chissà, tutto lo sia.

[…] Qui c’è qualcosa di straordinario. È una città sudicia e disorganizzata, come se contassero solo il mare, le persone, le cose. Ma le persone sembrano vivere l’attimo. I colori sono sfocati, ma non come coperti da un velo: questi sono i veri colori. Ogni nuova costruzione qui assume un’aria brutale.

A volte sto benissimo; altre volte semplicemente non vedo niente, non sento niente. Leggo in italiano perché non ho alternative. La parola più bella della lingua italiana è gioia, sebbene anche allegria abbia un suono delizioso. Ho riletto La porta stretta di Gide, ma soprattutto ho trovato le Lettere di K. Mansfield. Non può esistere una vita più immensa della sua, e penso a me, che invece, banalmente, sono all’impasse. Lei è straordinaria.

Ho trascorso qualche giorno tra le nuvole – qui di tanto in tanto assumo tratti delicati, volgo le mie attenzioni ai fiori e agli uccellini. Comprare un uccellino per poi liberarlo dalla gabbia costa circa 1600 lire. Voglio anche un gatto e un cane. Voglio milioni di cose. Vorrei anche non vivere in mezzo a così tanti esseri umani. Abbiamo un grande appartamento, come tutti quelli del consolato, che sono delle ottime persone; ma io non ho mai sentito il bisogno di brave persone. Ad ogni modo, per il momento, non c’è altro da fare.

Il mio libro si intitolerà Il lampadario. È finito, tranne per il fatto che manca ciò che non posso dire. Ho anche la sensazione che fosse già finito quando ho lasciato il Brasile; e che non lo consideravo finito allo stesso modo in cui una madre vede la figlia ormai cresciuta e sostiene che ovviamente non può ancora sposarsi. Ma deve sposarsi e io devo restare sola, a contemplare i fiori e gli uccellini, senza dire una parola. Vedi se vuoi darti la pena di trovarle marito presso le edizioni José Olympio. In caso di minima riluttanza da parte loro, o se il giudizio è rimandato a lungo termine, allora mia sorella Tania si occuperà di trovare qualcosa di più modesto ed eventualmente a spese dell’autore – ma rapidamente, perché avere un lavoro sospeso mi indispone; è come se mi venisse impedito di andare avanti.

Non dimenticarmi del tutto, Lúcio, non considerarmi esiliata. La distanza non significa niente, fidati. Scrivimi, raccontami cose, dimmi soprattutto quello che vuoi – stavo per dire, oppure non scrivere niente per mantenere la tua libertà; ma no, esigo almeno una parola, per quanto fredda e breve. […]

Ti bacio molto,

tua Clarice

Piove e fa freddo. Sono le dieci del mattino di giovedì. La mia stanza è indipendente dalle altre e il disordine regna sovrano. Questa camera si affaccia sul mare. Il Mediterraneo è blu, intensamente blu. Sono stata ad un concerto e ho ascoltato le Variazioni sinfoniche di César Fr[anck]. Ad un altro concerto ho sentito Dvořák (giusto?) e mi sono quasi addormentata. Qui danno l’opera tutti i giorni, alle due del pomeriggio… Sono stata alla Solfatara, il vulcano, ma sono troppo pigra per raccontartelo. Sembra un luogo miracoloso. I musei sono chiusi.

*

A Lúcio Cardoso

Napoli, novembre 1944

[…] Mio caro Lúcio, che gioia ricevere la tua lettera. Breve e frettolosa, ma poco male, ti ringrazio per il pensiero. Sono felice di ricevere qualsiasi tua parola. Ero un po’ turbata dal fatto che non ti piacesse il mio titolo, Il lampadario. Ciò che non hai apprezzato, la povertà, è proprio quel che io apprezzo. Non sono mai riuscita davvero a convincerti della mia di povertà…; ahimè, più mi sento povera, più tendo ad agghindarmi. Il giorno in cui giungerò a una forma povera, come in fondo sono, invece di una lettera, riceverai da Clarice una scatoletta piena di polvere. Forse trovi questo titolo mansfieldiano perché sai che ho letto di recente le lettere di Katherine. Ma non è così. Con le stesse parole si possono generare diverse tonalità. Se avessi letto Proust allora, rimanderebbe a un lampadario proustiano (mio Dio, stavo per scrivere prostituta!), una di quelle piccole cose a cui dà tanto significato senza però dar loro il minimo valore metafisico. Se avessi ascoltato Chopin, il mio lampadario evocherebbe quello di un grande soggiorno, con pendenti delicati e trasparenti, che fremono ai passi cadenzati di fanciulle malate e tristi. Ma, infaustamente, arrivo sempre per ultima, così mi ritrovo ogni volta di fronte a qualcosa di già esistente. La cosa mi provoca dei moti di sconforto. Leggendo Poussière, per esempio, ho incrociato qualcosa di quasi identico a ciò che avevo scritto. E ora che ho letto Proust, sono rimasta scioccata nel ritrovare una stessa espressione che ho usato ne Il lampadario, con lo stesso senso, le medesime parole. Non si tratta un’espressione mirabile, ma anche nell’ordinario è pressoché impossibile non ricalcare gli altri. Ad ogni modo, non ha importanza. Ciò che conta è lavorare, come mi hai spesso ribadito. Ed è esattamente ciò che non ho fatto. La mia insofferenza a volte arriva a farmi del male. Quindi non sono riuscita ad apprezzare appieno l’Italia, e così nessun altro luogo. Avverto qualcosa, tra il tutto e me, come se i miei occhi fossero coperti da una pellicola bianca. Mi duole terribilmente dover ammettere che questo velo è rappresentato proprio dalla mia volontà di lavorare e vedere di più. L’altro giorno ho pensato tristemente a quanto sia potente la tortura della mediocrità… Sono profondamente rammaricata all’idea di essere così debole. Mi piacerebbe tanto poter lavorare senza sosta. Ma non ne ho la forza, le cose mi vengono in mente in maniera disordinata – e inoltre, ho così poca fiducia in me stessa, con la mia paura di scrivere troppo facilmente in punta di penna, che finisco per non combinare nulla. Vuoi infondermi un po’ di coraggio, Lúcio? Non che me lo meriti ma, come tutti, merito di mantenere i piedi per terra.

Volevo creare una storia che fosse ricca in ogni momento, ma stava soffocando il mio personaggio. Credo proprio che la mia sofferenza derivi dal voler possedere ogni istante.

Qui le strade sono piene di bambini, soprattutto i vicoli. Proviamo un certo imbarazzo nel camminare in mezzo a loro (nei vicoli tutti vivono in strada, cucinano anche, lì), bambini che gattonano, bambini che sembrano già adulti, sporchi, per lo più apparentemente sani, seduti per terra. Ha fatto molto freddo, a volte è caduta anche un po’ di neve. Le pendici del Vesuvio sono imbiancate. […]

Ti bacio forte,

tua Clarice

*

A Lúcio Cardoso

Napoli, 7 febbraio 1945

Caro amico, che piacere ricevere il tuo libro! […] Ho letto subito la prima pagina, non vedevo l’ora, tanta curiosità, tanta gioia. Sono così felice. Leggerò, leggerò, leggerò, leggerò, leggerò… L’altro giorno mi sono svegliata debilitata per il raffreddore e dopo colazione sono tornata a letto. Ho trovato allora che l’occasione fosse propizia per leggere le poesie di Emily Brontë. Quanto mi sento compresa,

Lúcio, se così posso dire. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che avevo letto delle poesie, che mi sono sentita come ascesa al cielo, all’aria pura. Ho avuto voglia di piangere ma per fortuna non l’ho fatto perché quando piango mi consolo fin troppo bene, e non voglio trovare consolazione da lei; né da me stessa. Sono ridicola?

Per una settimana la temperatura è stata intorno a meno un grado. Dopo qualche giorno, pensando che il tempo fosse buono, sono uscita sulla terrazza. Faceva ancora freddo – e sarà lo stesso fino a marzo –, ma con una brezza calda, profumata, come quella che si sente dopo l’inverno per via delle foglie cadute all’inizio dell’autunno e rimaste a terra. Ho respirato così tanto che Dio mi ha punita e il giorno dopo mi sono dovuta chiudere a letto a leggere Emily Brontë… Come puoi vedere, in Italia le cose procedono alla grande.

Sto cercando di scrivere una cosa che mi sembra talmente difficile da dovermi contenere per evitare la disperazione. Si tratta di qualcosa che non verrà mai compreso, ma non importa.

Lúcio, questo editore Ocidente è Adonias Filho? Non vorrebbe forse pubblicare il mio libro, Il lampadario? Perché non posso aspettare di vederlo pubblicato da José Olympio. E poi so già che José Olympio non vorrà pubblicarlo dopo averlo letto. Se Adonias lo leggesse e lo volesse, se Adonias mi promettesse la pubblicazione in brevissimo tempo, se Adonias lo trovasse interessante, soprattutto, se la casa editrice Ocidente è quella di Adonias! Dammi una conferma al riguardo e gli invierò una lettera secondo la tua risposta. Capito? Lúcio, scrivimi, non essere pigro. […]

Ti bacio di nuovo,

la tua Clarice

*

A Lúcio Cardoso

Napoli, 26 marzo 1945

Lúcio, Da quanto tempo provo a scriverti… Ho letto il tuo libro in uno pomeriggio, naturalmente senza interruzioni. All’inizio ho avuto qualche problema, perché sembrava così tragico in quanto scritto in prima persona e avevo l’impressione che il ragazzo fossi tu. E siccome sei imprevedibile, avresti potuto essere tu. Ma piano piano mi ci sono abituata e finalmente ti ho messo da parte dalla tua opera. […]

Sul mio fronte niente di nuovo. Tania mi ha fatto sapere che l’editore Agir pubblicherà il mio libro; Attendo conferma. Per il resto non so. […]  Tania ha serie riserve su Il lampadario. Compreso il titolo. Ma tale rimane, anche se ha ragione. Forse non ha nulla di davvero apprezzabile. La mia difficoltà deriva dal fatto che ho solo difetti, quindi, se si eliminano questi difetti, rimane, per così dire, solo il Jornal das Moças.

Lavoro all’ospedale americano, con i brasiliani. Faccio visita ai pazienti tutti i giorni, do loro ciò di cui hanno bisogno, parlo, discuto con l’amministrazione per chiedere cose, finalmente sono diventata lodevole. Ci vado tutte le mattine e quando devo assentarmi sono disperata perché i malati già mi aspettano, e anche loro mi mancano.

Lúcio, scrivimi e dimmi delle cose. Oppure non scrivermi, cosa posso fare?

L’altro giorno sono andata a vedere la lava del Vesuvio. Ho un frammento di lava per te. Un anno dopo è ancora calda; ce ne sono una ventina o una trentina di metri, enormi, neri. Si cammina sopra case, chiese, farmacie sepolte. L’eruzione risale al marzo del 1944 e quando piove si alza ancora del fumo. Ti avrò già detto che il mare qui è di un azzurro molto intenso; ma siccome la porta della mia camera si apre sul terrazzo, ho visto il mare e mi è venuta voglia di raccontartelo. Certamente ti ho già parlato anche di Posillipo, una zona di Napoli. In greco la parola significa pausa dal dolore. La sofferenza rimane davvero sospesa per un attimo, tanto sono tenui i colori, così privi di ferocia, così belli, quanto è bello questo luogo, con il mare, gli alberi, le montagne. La mia sensazione è quasi negativa: c’è un eccesso di cose belle, e il tempo e la forza sembrano venirmi meno, è chiaro che se ce ne fosse una sola, sarei più calma. […]

Ti bacio, tua Clarice,

Perdona questa lettera scritta così male. È che odio copiare, ogni volta che copio mi trasformo.

Gruppo MAGOG