Cessate di derubare i morti. Si parafrasa Ungaretti passeggiando tra le tombe del cimitero monumentale di Gallarate, alle porte di Milano. Solo pochi giorni fa l’ultimo di una catena di furti che da anni dissacrano questo luogo della memoria, rubando la pace. L’aveva concepito, nel 1865, l’architetto Camillo Boito – fratello maggiore del più celebre Arrigo, della Scapigliatura milanese uno dei più significativi esponenti – incentrato sulla grande cappella funeraria della importante famiglia Ponti, un’enorme edificio a pianta centrale in pietra d’Angera, concluso da una cupola a base ottagonale a sua volta sormontata da un angelo, opera di Edoardo Tabacchi.
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Pochi giorni fa, insomma, un gruppo di due statue di bronzo sono scomparse, misteriosamente, dalla tomba della famiglia Piotti. Campo 7A; se ti avvicini puoi sentire il profumo acidulo delle rose che affondano nell’acqua opaca del vaso. È una tomba curata, dunque, i fiori sono freschi. Ma sul gradino di marmo della tomba, restano l’alone e l’ombra di due piedini. L’abbraccio tra un bambino e una bambina è scomparso, dissipato dalle avide e robuste mani di un ladro, o un gruppo di ladri. Il vuoto lasciato dai due bambini di pietra è tangibile. Dove sono finiti quei due bambini? E gli uccellini a cui San Francesco – a grandezza naturale – parlava nel silenzio?
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Tempo fa sorridevo di un innamorato che aveva rubato le rose da una tomba per donarle all’innamorata. I fiori sono fatti per essere rubati, pensavo. Tra un fiore colto e l’altro donato l’inesprimibile nulla. Tra le fosse, come trincee, torna Ungaretti. Il nulla eterno. Pare che le statue dei bambini siano, a Gallarate, le più rubate. Rubare i fanciulli è meglio, forse meno grave, che rubare la statua di un uomo? Ma nemmeno gli uomini sono risparmiati. L’espressione del volto dolente del grande e tormentato artista milanese Adolfo Wildt – suo il celebre busto di Mussolini alla Casa del Fascio di Milano distrutto a picconate nel ’45 – al momento del furto, qualche anno fa, avrà forse assunto un tratto ancora più drammatico? Il tentativo di rubare la fioriera dello stesso Wildt fu vano. Non era destino. Meglio rubare i fiori?
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Nel cimitero dei grandi artisti – dove si trovano opere di Tavernari, Bennati, Colombo, Pellini, Franzosi, Maretto, Bottinelli, Dressler, Labò e altri in un ideale permanente per l’aldilà – nemmeno i volti sono risparmiati. Non perdono con il tempo i loro tratti, lavato, cancellato come gesso sulla lavagna dalle lacrime della pioggia, dalla morsa gelo invernale, dal caldo d’agosto. Le cornici, gli ovali in ceramica spariscono dal camposanto – anche gli ovali con i volti del casato Ponti – come foglie al vento d’autunno. Certe fotografie di qualche decennio fa non hanno più il negativo. Come ritrovare, tra la polvere della memoria, quei cari tratti del volto di chi abbiamo amato? Forse è questa idea a ferire di più. Chi potrà restituire i volti ai morti? Chi potrà ridarne il volto ai vivi?
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Mia nonna mi aveva insegnato a baciare i ritratti sulle tombe dei cari defunti. Ricordo la sensazione di freddo sulle labbra, la rugiada, l’inverno. Con il tempo ho perduto questa consuetudine e mi fermo a leggere i nomi come un appello, al cimitero. Girando per i vialetti del sepolcreto, una statua senza testa ricorda barbari rituali. Ma in questo luogo dell’occulto, non ce l’hanno fatta a rubare la scultura che ritrae la medium e teosofa ottocentesca russo-americana, Helena Blavatsky. Si dice che possa scatenare strani fenomeni occulti, se toccata da mani sacrileghe. Di lei restano solo le ceneri, il suo corpo venne cremato, ma non le sue opere. Asserì di avere avuto esperienze paranormali e aver compiuto viaggi astrali.
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Pare che la refurtiva qui sottratta al camposanto finisca tra i banchi dei mercatini. Restano le spoglie spogliate dei volti. Boccaccio ne avrebbe sorriso forse, ma Andreuccio da Perugia in fondo rubava solo un anello col rubino. Il ladro di Gallarate non ha più il cuore, l’ha dimenticato a marcire insieme ai fiori, mentre rubava di fronte alle macerie umane, ai volti e al filo spinato che nel cuore ti porta la scomparsa di una persona amata. L’altra notte ancora un altro volto, un altro nome, rubato agli sguardi amorosi e tristi, all’imbelle senso di colpa dei suoi cari. Che ancora non dormono, non dormono sulla collina.
Linda Terziroli
*In copertina: Cimitero monumentale di Gallarate, photo Davide Rotondi