Sperò l’insperabile – poi, in nave, partì per l’Inghilterra. Lo avevano accerchiato. Era il 16 giugno del 1940; Saint-John Perse sarebbe stato insignito, vent’anni dopo, del Nobel per la letteratura. Segretario generale del Ministro degli Esteri, era stato il solo diplomatico a essersi ribellato a Hitler, durante la Conferenza di Monaco del ’38; si dichiarò contrario all’armistizio che avrebbe prodotto il Governo di Vichy. Accusato di ostacolare le azioni politiche francesi, fu ridimensionato, fiaccato, eliminato: il poeta rifiutò gli incarichi proposti, partì, fece visita a Winston Churchill, che “lo aveva invitato a Chequers, a discutere delle sorti della Francia e del destino delle forze di resistenza, ancora libere, falciate nel fisico e nel morale”. Nasce così un rapporto di stima tra il poeta di Anabasi e il primo ministro britannico, che – baruffe estetiche – otterrà prima di lui il Nobel. L’amicizia è testimoniata da un fascio di lettere, tra cui quella che si traduce qui per la prima volta in Italia. Il poeta – alto funzionario dagli anni Venti, al fianco, soprattutto, di Aristide Briand – cerca di convincere Churchill sulla “resistenza interiore” dei francesi, che deve essere rinfocolata nonostante Vichy. In particolare, Saint-John Perse si riferisce a Jules Basdevant, professore di diritto internazionale, giureconsulto degli Affari Esteri, che il 29 maggio del 1941 denuncia a Pétain le sue dimissioni, ritenendo ingiustificate le strategie della Germania nazista. Pagò il suo atto di resistenza con l’interdizione dall’insegnamento universitario.
Saint-John Perse con André Malraux
In ogni caso, la vita del poeta è segnata: dopo la visita a Churchill, s’imbarca per il Canada, approdando negli Stati Uniti. “A New York apprende che il governo di Vichy gli ha tolto la nazionalità francese, gli ha confiscato i beni, lo ha radiato dall’ordine della Légion d’onore. Un membro della sua famiglia è arrestato a Parigi; una campagna stampa, ispirata dagli uffici governativi, è aizzata contro di lui; il suo appartamento, in avenue Camoes, viene posto sotto sequestro dalla Gestapo”. Saint-John Perse non tornerà in Francia prima del 1957. Nella lettera a Churchill si firma ancora con il nome di battesimo, quello ufficiale e d’ufficio, Alexis Leger; nel 1941 gli fu offerto un posto a Washington, come consulente letterario per la “Library of Congress”; Anabase, il grande poema del 1924, usciva nel mondo inglese nella traduzione di Thomas S. Eliot. L’uomo politico era morto, il poeta era risorto. Nell’anno in cui scrive a Churchill, Saint-John Perse ha appena abbozzato il poema più importante e ineffabile, Esilio: “Porte aperte sulle sabbie, porte aperte sull’esilio,/ Le chiavi agli uomini del faro, e l’astro suppliziato vivo sulla pietra della soglia:/ Ospite mio, lasciami la tua casa di vetro sulle sabbie…”. Mentre tutto si frantumava, il poeta evocava il canto, come una spirale di fuoco. (d.b.)
A Mr. Winston Churchill At The White House Washington
Washington, 3120 R Street, N.W. 2 gennaio 1942
Egregio Signor Churchill,
A proposito della nostra ultima conversazione, ecco qui una testimonianza molto istruttiva. Si tratta della lettera con cui il giureconsulto francese degli Affari Esteri ha rassegnato le dimissioni. Probabilmente avete conosciuto l’individuo, che mi accompagnava sempre alle più importanti conferenze internazionali: è un uomo perfettamente onesto, con un gran senso del dovere. Scopo della lettera è illustrare i punti che seguono.
1. L’Armistizio è considerato un “cappio al collo” per il governo di Vichy. Nei fatti, però, la politica degli attuali dirigenti di Vichy non prevede alcuna forma di resistenza a Berlino (nemmeno nei limiti delle clausole), anzi consiste nella collaborazione spontanea, e si spinge fino a violare l’armistizio in favore della Germania.
2. Vichy vuole giustificare il proprio operato agli occhi delle massime autorità giudiziarie servendosi di un’interpretazione abusiva delle obbligazioni contrattuali francesi.
3. Vichy non può permettersi di esplicitare al popolo francese la natura della politica che persegue. Questo abuso nei confronti della fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni dimostra che non dobbiamo né dubitare della buona fede dei francesi, né abbandonarli a loro stessi.
4. Il vero limite a questa pratica “collaborazionista” non è tanto l’azione diplomatica internazionale, quanto l’opinione pubblica in Francia: è perciò fondamentale mantenerla vigile. Per poter far leva su di essa, bisognerà soprattutto evitare accuratamente qualsiasi gioco politico che possa scoraggiare l’“anti-collaborazionismo” del popolo francese.
5. A tal proposito: se i risultati auspicati sono l’allargamento della dissidenza francese o il contenimento del rischio di collaborazione integrale (si pensi ad esempio alla questione della Flotta), certe misure d’acquietamento vanno proprio nella direzione opposta, dal momento che abbattono il morale pubblico in Francia e accrescono le libertà dei dirigenti a Vichy.
Il Vostro discorso a Ottawa non era fatto solo di belle parole: l’accuratezza dell’analisi psicologica nei confronti della nazione francese lo rendono un atto politico di enorme portata. Sono felice di averVi rivisto qui a Washington, e di averVi trovato umanamente immutato nonostante il dramma universale di cui Vi siete così onorevolmente fatto carico.
È vero, “vinceremo!”. Lasciatemi però reiterare l’auspicio che abbiate miglior cura della Vostra salute, perché è anche dalla Vostra bocca che vorrò un giorno sentir gioire: “abbiamo vinto!”.
Vogliate credermi sempre fedele alle idee e ai sentimenti che ho in passato esternato con Voi; fedele, insomma, a quei valori per cui un Francese, così come un Inglese, vive.
Alexis Leger
*testo tratto da, Saint-John Perse, “Œuvres complètes”, Gallimard, 1972; traduzione italiana di Giulio Rovellini