26 Settembre 2023

“L’uomo e la bestia magnificano il Suo Nome”. Christopher Smart, il poeta che adorava Dio in manicomio

Quando nasce William Blake, un postribolo di esperti radunati nella “Commission of Lunacy”, decise che Christopher Smart, poeta, giornalista, perennemente squattrinato, era degno di finire in manicomio. Il sei maggio del 1757 Smart fu recluso al St Luke’s Hospital for Lunatics; William Blake sarebbe nato pochi mesi dopo, poco lontano. Amico di Samuel Johnson e di Henry Fielding, apprezzato da Alexandre Pope, professore di filosofia al Pembroke College, Cambridge, Christopher Smart aveva 35 anni quando entrò in manicomio.

La prossimità cronologica con la vita di Blake non è peregrina: di fatto, l’opera di Smart, lunare, lunatica, apocalittica, è il preludio di quella di Blake, ha il privilegio dell’esordio – dunque: del dolore raddoppiato. L’affinità tra i due – il semisconosciuto, in Italia, Christopher Smart, e l’icona-Blake – è sancita da Elémire Zolla:

“I temi della sua poesia furono arroventati, fusi, ridotti a magma dallo squilibrio… Proficue, nella misura in cui lasciano affiorare simbolismi pitagorici, ermetici, cabbalistici; soltanto con William Blake si riudranno di tali accenti”.

Zolla – che fa di Smart uno dei campioni dei Mistici dell’Occidente – si riferisce, in particolare, ai poemi germogliati nella casa dei matti. Prima, per così dire, Smart era un seguace della via lirica di Pope, un raffinato traduttore di Orazio, un arguto polemista (nel 1753 pubblica il poema satirico The Hilliad, di cifrata ferocia). Il manicomio esaspera l’estro lirico & teologico del poeta, ordinato nei ranghi della chiesa anglicana. Confinato nell’aldilà della mente, Christopher Smart scrive quello che i critici riconoscono come il suo capolavoro, A Song to David (1763); così suona una stanza nella versione di Zolla:

“Per Adorazione i viticci s’arrampicano
e gli alberi da frutto promettono le loro gemme;
e l’uccello col suo stupendo corsetto
edifica per le sue uova il nido sagace
e le campanule piegano lo stelo,
e di vinoso sciroppo schiumano i cedri;
dalle rocce sgorgando, il puro miele”.

Nel lavorio di Smart, la misura biblica è tratta dall’osservazione della natura; nel più piccolo elemento – pietra, albero, bestia – si rispecchia il volere divino. Il creato è un tempio di segni, che indicano, con ineffabile precisione, il ritmo del discorso divino.

L’opera più folle scaturita al St Luke, tuttavia, s’intitola Jubilate Agno. Scritta tra il 1759 e il 1763, giudicata impubblicabile – sorge dai meandri dell’oblio soltanto nel 1939 – l’opera è una sorta di immane sermone lirico, dove sono ricapitolati i ranghi e i reami di Dio. La gradevolezza poetica è sostituita dalla solennità biblica; l’armonia è rotta dalla sprezzatura; l’equilibrio dal naufragio dell’immaginazione. Così, i personaggi biblici vengono ricapitolati insieme agli elementi del mondo; la caratura del creato crepita in putiferio zoologico: appaiono, in un catalogo che ha l’intransigenza dei santi bendati, unicorni e coccodrilli, rospi ed ermellini, tigri, leopardi, formiche; la nobile bestia e il microscopico insetto. L’ansia naturalistica è pari a quella biologica: Dio si rispecchia nelle elitre di una libellula. Siamo già negli accordi di Blake.

Il testo – messo in musica nel 1943 da Benjamin Britten come Rejoice the Lamb – va ‘osservato’ nel manoscritto: la scrittura minuta, miniata da una mente fausta che solo gli stolti possono dire infelice, compila una sorta di boschiva contro-bibbia. La grafia microlitica di Smart va paragonata ai microgrammi di Robert Walser, agli appunti intorno al messale di Clemente Rebora, opera che non prevede pubblico, che si deposita come refoli di muschio sui consolati delle rocce, senza consolazione, urlo bianco.

Uscito dal manicomio, l’infelice Smart si diede a tradurre i Salmi e a ideare una nuova forma di poesia religiosa per bambini. Lo mollarono tutti, compresa la moglie e i tre figli (uno dei quali, la figlia Elizabeth, diventerà scrittrice ‘romantica’ e protofemminista dall’alterno successo): lo stigma del ‘folle’ minò la sua vita. Gli restò al fianco soltanto il gatto, Jeoffry, a cui, in Jubilate Agni, dedica alcuni notissimi versi nell’ambito della poesia ‘felina’:

“Perché la destrezza nel difendersi è la prova dello straordinario amore che Dio gli reca.
Perché è più rapido di ogni altra creatura nel raggiungere il suo scopo.
Perché è un misto di gravità e capriccio.
Perché sa che Dio è il suo Salvatore
e non c’è niente di più dolce della sua pace quando riposa
nulla di più audace della sua vita quando si muove”.

Lo misero di nuovo in gabbia, nell’aprile del 1770. Aveva contratto troppi debiti e la società londinese non poteva ammettere neanche la follia del portafogli. Nelle sue lettere, il poeta chiedeva ai maggiorenti della città un po’ di denaro; si lamentava della penuria di cibo. Lo lasciarono morire, il 20 maggio del 1771, alla King’s Bench Prison di Londra. Il poeta più visionario e spericolato del suo tempo spira all’età di 49 anni.

Christopher Smart, che in Italia, fino a qualche tempo fa, ha goduto di ottimi traduttori – Margherita Guidacci ha tradotto un’antologia di testi come Inno a David e altre poesie per Einaudi, nel 1975: il libro è in esilio da tempo, come l’opera tutta di Smart, d’altronde, in un Paese abituato alla poesia ‘confessionale’, dei buoni sentimenti, ricca di cauti intenti, ‘facile’, poco oltre la rima cuore-amore – è l’emblema del poeta che si ribella al proprio tempo. Nell’Inghilterra newtoniana, puritana eppur priva di Dio, all’alba della letteratura ‘industriale’, meccanizzata, Smart era elemento assurdo. Non riuscì a far fruttare il proprio talento, non sapeva amministrare il denaro, in un’epoca – pari alla nostra – in cui la scaltrezza era tenuta in maggior risalto della probità; si rivelò ingenuo, aurorale, cretino. I suoi libri, naturalmente, vendevano poco; nel 1755 si fece inchiodare da un contratto capestro: firmò un’esclusiva per un giornale, “The Universal Visitor”, che avrebbe dovuto creare dal nulla. Non riuscì a uscirne e il suo esaurimento fu diagnosticato come “mania religiosa”. La tentacolare Londra finì per soffocarlo. Christopher Smart non riuscì a capire le regole del mondo industrioso, industriale, che al dono preferì la merce; credeva in altri modi, più fatui, più cauti, più umani.

Nei suoi astrali intenti, Smart cercò di fondere la figura di Orfeo con quella di Davide, lo sciamano greco con il salmista biblico. Il segreto della poesia era tutto lì, a suo dire: nel candore del cantore imbevuto di lutti che imbambola le creature infernali per far risorgere Euridice; nell’innografo peccatore che sapeva piegare la volontà di Dio, avvicinandolo perché si abbeverasse alle sue mani. Orfeo accerchiato dalla danza delle Baccanti; Davide che balla, nudo, intorno all’arca. Lampi d’arpa, stridio sinistro e preveggenza di disastri incombono sulla grande poesia – luce che intaglia una via, da qui all’altro mondo, con urgenza che spacca i timpani.  

***

Da Jubilate Agno

Congioite in Dio, o Lingue; sia gloria al Potente e all’Agnello.

Nazioni, linguaggi, Creature in cui è saldo il soffio della Vita.

Che l’uomo e la bestia appaiano al suo cospetto e magnifichino insieme il suo nome.

Lasciamo che Noè e la sua compagnia si avvicinino al trono della Grazia e rendano omaggio all’Arca e alla Salvezza.

Lasciamo che Abramo presenti l’Ariete e adori il Dio della sua Redenzione;

che Isacco, lo Sposo, si inginocchi con i suoi armenti e benedica la speranza del pellegrinaggio;

che Giacobbe e il suo branco di maculate belve adorino il buon Pastore di Israele;

che Esaù offra il capro espiatorio per consolidare la sua discendenza e gioisca della benedizione in cui lo immerge il Dio di suo padre;

che Nimrod, cacciatore assoluto, agganci il Leopardo all’altare e consacri la sua lancia al Potente;

che Ismaele sacrifichi la Tigre e lodi la libertà che il Signore gli ha elargito;

che Balaam giunga con l’Asino e benedica il Potente, il suo popolo e le sue creature, per l’eterno premio;

che Ana, figlio di Zibeon, porti il Mulo al tempio e benedica Dio, che dona consolazione a chi serve l’uomo;

che Daniele arrivi cavalcando il Leone e omaggi Dio con tutta la sua forza attraverso la fede in Gesù Cristo;

che Aronne, il sommo sacerdote, sacrifichi il Toro e lo lasci andare libero presso il Potente fattore della Vita;

i leviti di Dio afferrino i Castori dai fiumi per portarli nell’Arca dei Testimoni;

Eleazaro con l’Ermellino serva il Potente colmo di purezza.

Itamar amministra e addomestica gli Stambecchi, benedice il Potente che veste gli ignudi.

Gershom si leva il cuore e benedice Colui che nutre gli affamati.

Merari loda la sapienza e la potenza di Dio raffigurata nella belva che scava la roccia e si inarca dalla sabbia.

Kohath corre con lo Zibellino e benedice Dio nei finimenti del Tempio.

Ioiadà benedice Dio nella figura della Lepre, che costruisce labirinti per ripararsi dall’avversario.

Achitub si umilia con la Scimmia davanti a Dio che può tutto, creature della creatività e del mutamento.

Mosè, Uomo di Dio, benedice con una Lucertola il docile imperio di Dio, magnanimo nella mitezza.

Giosuè loda Dio con l’Unicorno: la scaltrezza di Dio, la potenza di Dio, la lama di Dio potente in battaglia.

Otniel loda Dio con il Rinoceronte: armatura che rispecchia la bellezza di Dio.

Tola benedice con il Rospo, la buona creatura di Dio, la cui virtù resta nel segreto.

Gedeone benedice con la Pantera, figura del Verbo di Dio, invincibile anche quando sorseggia al torrente.

Boaz, architetto di Giuda, benedice con il Topo, che dimora nel pericolo e insegna a vigilare, a dare ordine alla casa.

Abisai benedice con la Iena, il terrore di Dio: la ferocia della sua ira si scaglia contro i nemici d’Israele.

Ethan loda con la Pulce, pari a una cotta di maglia, perfora con il suo vigore, la sua preveggenza le permette di sfuggire al pericolo.

Heman benedice con il Ragno, la cui trama, ricca di sottigliezze, è il bene.

Chalcol loda con lo Scarabeo, la cui vita è preziosa agli occhi di Dio.

Darda con la Sanguisuga benedice il Nome di colui che cura il corpo e l’anima.

Davide benedice con l’Orsa, vittoria del Potente, figura di perfezione ed eccellenza – Dio è l’artista inimitabile, l’uomo è eco dell’arpa celeste.

Salomone loda con la Formica, che glorifica la fonte di ogni saggezza.

Samuele, il ministro bambino, loda incessantemente con il Porcospino, creatura che opta per la continuità della difesa.

Giuseppe loda con il Coccodrillo, la cui potenza è pura, l’aspetto incute terrore e sapienza nell’assalto.

*

L’Uomo deve essere considerato in ciò che eccelle secondo prospettiva.

Dodici sono le virtù cardinali – tre si trovano a Est: Grandezza, Valore, Pietà.

Tre sono a Ovest: Bontà Purezza, Sublime.

Tre si trovano a Nord: Meditazione, Felicità, Forza.

Tre sono a Sud: Costanza, Bellezza, Saggezza.

L’Argomento a priori è Dio ed è nella coscienza di ogni uomo.

L’Argomento a posteriori è Dio, davanti agli occhi di ogni uomo.

I ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse sono ventiquattro Eternità.

Le ventiquattro Corone appartengono ad altrettante Consumazioni.

Gli abitanti del mondo sono caratteri: il loro sigillo è Dio.

Non esiste musica che non viva nella naturale tonalità di Dio.

Infatti, quando la Polemica prende il posto del coraggio, l’uomo di genio è spinto alla mania del vizio:

il Diavolo dà fuoco a una casa quando trova facile combustibile.

Il Sogno è cosa buona: proviene da Dio.

Sognare l’avversario riempie di terrore.

Ma il sogno non è che una delle molte risposte.

La malvagità del fuoco è dovuta al fatto che il Diavolo ha nascosto la luce, fino a creare una visibile oscurità.

Perché il Cerchio può diventare Quadrato, gonfiandosi, passando con la pancia per terra.

Perché la Vita di Dio è nel corpo dell’uomo e il suo spirito è nell’Anima.

Perché non esiste pioggia in Paradiso, a causa della delicata formula delle erbe e dei fiori spirituali.

Perché Mercurio significa Discernimento.

Perché uno scozzese cerca il vero in un pozzo, mentre l’inglese fissa i cieli nel cielo.

Perché Venere vuol dire Prudenza o Provvidenza.

Perché Dio è il più stravagante degli Esseri, generoso fino a svuotarsi di ogni cosa.

Non c’è alcun profitto nella proliferazione dell’uomo e la morte di milioni non vale una lacrima di Dio.

Perché Marte vuol dire Forza.

Perché adorare nudi sotto la pioggia è il gesto più audace per purificare il corpo.

Perché Giove significa Dispensare.

Benché Tully dica che la generosità è dei giusti, la voce di Cristo è diffusa ovunque.

Perché l’Anima è divisibile e una porzione di Spirito può essere separata e affidata a un altro.

Perché un canto nuovo è necessario per glorificare Dio: i Salmi sono il suo cibo.

Perché Saturno vuol dire Temperanza e Pazienza.

Perché è bene augurare il bene, ma pregare offre un balsamo per la propria interiorità.

Perché Spica Virginis è la stella che apparve ai savi d’Oriente per dirigere il loro cammino, prima di essere inghiottita dal sentire del sentiero.

Perché l’Idea è la visione mentale di un oggetto.

Perché il mio talento è inchiodare parole: quando un lettore passa presso i miei calchi, vi inciampa, prendendo quella forma.

Perché i Nomi dei Giorni sono frivoli, abominevoli.

Perché i Nomi dei Mesi sono inganni: soltanto le parole in ebraico vengono da Dio.

La materia putrefatta si trasmuterà, prima di esaurirsi, in diverse creature e combinazioni.

Perché un Rospo può dimorare nel centro della pietra – esistono pietre che respirano come animali.

Perché il Rospo ha nel mezzo degli occhi una prospettiva più superba di ogni altra bestia: sa diminuire la distanza con la Gloria del Creatore.

Perché il Diavolo rende l’ombra più densa alla luce della candela: il potere del fuoco è magico, maligno.

Perché radersi la barba è un’invenzione degli abitanti di Sodoma per far sembrare gli uomini simili a donne.

Perché l’ignoranza è un peccato e all’illuminazione si arriva pregando.

Christopher Smart

Gruppo MAGOG