14 Dicembre 2023

“Genesi dell’oscurità”. Christian Wiman, il poeta e il miracolo

L’ultimo libro di Christian Wiman s’intitola Zero at the Bone. Mi sorprende il sottotitolo, che suona pressappoco così: “Cinquanta voci contro la disperazione”. Christian Wiman – questo lo scopro dopo – è nato nella piccola cittadina di Snyder, Texas. Ha 57 anni e dal 2003, per due lustri, ha diretto la rivista Poetry, quella fondata da Harriet Monroe, l’amica mecenate di Pound. Da ragazzo era un talentuoso tennista: ha abbandonato per “mancanza di disciplina”. Disciplina di cui, da tempo, ha dotato la sua poetica. È cresciuto in una famiglia di pentecostali, “andavamo a messa tre volte la settimana”, ha detto in un’intervista. Nella stessa intervista – rilasciata alla rivista “Image” – parla del silenzio come “terra necessaria alla poesia, rovina che divora il nostro più oscuro dolore”. “A volte”, dice ancora il poeta, “il silenzio penetra nell’opera d’arte in modo permanente, come le foglie cadute d’autunno, così luminose. Penso alle poesie di Emily Dickinson, di Paul Celan, di Lorine Niedecker. Sono poeti preziosi”.

Da tempo, Christian Wiman ragiona sui rapporti tra religione e scrittura, tra liturgia e letteratura, in libri dai titoli sonori come He Held Radical Light. The Art of Faith, the Faith of Art (2019) e My Bright Abyss (2014), in cui parla, tra l’altro, di un padre picaro che lo ha costretto a rovinose avventure in Africa e di una giovinezza spericolata tra il college a Lexington, la droga, l’ateismo di riflesso e tour lisergici in Sudamerica. Dicono che Christian Wiman sia tra i poeti più importanti degli Stati Uniti; nel 2014, con Once in the West, è finito finalista al National Book Award; due anni prima ha ottenuto un Guggenheim Fellowship. Dicono che la sua scrittura poetica sia affine a quella di Seamus Heaney e di Geoffrey Hill, lui ha detto di amare Basil Bunting, Edmond Jabès e Charlotte Mew; a me colpisce che abbia tradotto – con suprema grazia, dicono – le poesie di Osip Mandel’štam, in un libro del 2012, Stolen Air.

Nel suo ultimo libro, le poesie sono alternate da alcune riflessioni in prosa – che spesso riguardano l’indicibile, Dio – e da testi importanti per il poeta, di Wallace Stevens, della Dickinson, di Lucille Clifton, ad esempio. La prima pagina del libro, tra l’altro, dice questo:

“Non si insegue Dio nella speranza della felicità, ma perché si intuisce – miserabile parolina per le nostre fameliche viscere – una verità che rende irrilevante l’ordinaria contentezza. La fame, se è autentica, chiede impegno infinito per riempire il vuoto, e il solo antidoto alla piaga della disperazione moderna è uno stupore assoluto – uno stupore che può perfino annientare. ‘Prego per il prodigio più che per la felicità’, ha scritto il grande teologo ebreo Abram Joshua Heschel”.

Allestendo un’antologia di testi, nel 2017, Christian Wiman l’ha intitolata Hammer is the Prayer. Riguardo ai legami tra poesia e preghiera, però, è abbastanza duro: “Sono ambiti distinti. So che alcuni poeti intendono la poesia come una ‘pratica spirituale’, ma tale disciplina impone di obliterare l’io, e questo non accade nella poesia. Anche una poetessa remota e riservata come Elizabeth Bishop direbbe che è necessario un io enorme per scrivere una poesia. Detto questo, ci sono autori in cui tali confini sfumano: George Herbert, Emily Dickinson, Franz Kafka – per cui scrivere era una forma di preghiera. Non penso sia un caso si tratti di autori che in vita hanno pubblicato una minima parte del loro lavoro, quasi nulla, e che a volte hanno tentato di distruggere i loro testi”.

Dell’ultimo libro di Christian Wiman hanno parlato in molti. Il New Yorker gli ha dedicato un lungo servizio. La storia di Wiman, infatti, scoscende nel miracolo. Vent’anni fa gli è stato diagnosticato un cancro fatale, che lo avrebbe – secondo la scienza – condotto a morte certa in poco tempo. Nel frattempo, Wiman ha avuto due figlie, ha pubblicato cinque libri in versi e altrettanti in prosa. Da ogni ricovero ospedaliero, sempre fatale – ne ha subiti molti – è, per così dire, risorto più forte di prima. L’articolo di Casey Cep, uscito il 4 dicembre sul New Yorker, s’intitola “How the Poet Christian Wiman Keeps His Faith”, attacca così:

“Il giorno in cui il poeta Christian Wiman compì 39 anni, non riuscì a rispondere al suo medico. Da mesi, giocava con una protuberanza sopra la clavicola, così piccola da non riuscire spesso a riconoscerla. Si era sposato da poco, la moglie lo aveva convinto a farsi vedere da un medico. Quando ascoltò il messaggio vocale, il medico lo avvisava che aveva un linfoma. Era giovedì, il medico era fuori sede per il fine settimana. Il lunedì successivo, Wiman apprese che la sua era una rara forma di linfoma chiamata macroglobulinemia di Waldenström; un grafico tracciato in modo approssimativo su un foglio lo avvisava che gli restavano probabilmente cinque anni di vita. Ogni anno, tra i mille e i tremila americani ricevono una diagnosi simile, la maggior parte sono uomini tra i sessanta e settant’anni. Per un po’ Wiman è stato bene. Sono passati alcuni anni. Nel frattempo, lui e la moglie, Danielle Chapman, hanno avuto due gemelle, Eliza e Fiona. Quando le bimbe hanno compiuto otto mesi, Wiman è stato ricoverato in ospedale. A detta di tutti, sarebbe stato l’inizio della fine. Non è stato così. ‘I medici di Chris ci dicono da tempo che siamo oltre ogni soglia della conoscenza scientifica’, dice la moglie. Ogni volta che il cancro ha minacciato di ucciderlo, un intervento gli ha salvato la vita. La primavera scorsa, le figlie ormai adolescenti, Wiman si è ammalato a tal punto da non potersi alzare dal letto. Ha accettato di subire una cura sperimentale. Si è ripreso. Sebbene sia tra gli scrittori cristiani più importanti della sua generazione, Wiman si sente a disagio a usare la parola miracolo. Ma non ne esiste un’altra per spiegare ciò che gli è accaduto da vent’anni a questa parte”.

La storia – anche nello stile in cui è scritta – è molto ‘americana’. Ne rispecchia il felice cliché. Il talento, la caduta, il miracolo. L’inspiegabile. Tolta la stola al ‘personaggio’, resta il poeta – che vale la pena leggere e tradurre. Christian Wiman è un poeta colto, consapevole. Non crede nei ‘movimenti’ letterari – “utili per far parlare di sé: nessun poeta che valga davvero la pena leggere (e rileggere) si adatta a un ‘movimento’, si fa dettare il ritmo da una categoria estetica” –, non crede nella promozione della lettura. “Tutti dicono leggi, leggi, leggi. Nessun poeta ha bisogno che gli sia ricordato di leggere. Un compositore di successo, una volta, mi ha detto che la sua formazione poteva essere ridotta a una manciata di testi. È così anche per me. Su un punto la penso come Rilke: rinuncia alla poesia, se ne sei in grado. Perseguila soltanto se è un’urgenza, se domina e annichilisce la tua vita”.

Oggi Christian Wiman ha la faccia scavata. Il male lo ha reso magro, pallido. Fosforescente di vita. Pare in perenne veglia. La vasta mascella texana sembra la scure per abbattere l’angelo e l’agnello. Qualcosa accade, oltre le città degli uomini: un dio rantola nel deserto, va avvicinato con la giusta merce.

***

Genesi dell’oscurità

L’ombra replica la casa
sgattaiola fuori dalla casa
muta forma nel prato.

Gli alberi si cercano
mentre il vento muore alle loro spalle.

L’oscurità inizia dentro le cose
e cresce quando le cose più non sono.

A piedi nudi, incuranti, nel più remoto lembo
del cortile, i bambini diventano il loro pianto.

*

Dalla finestra

Incurante, incurabile, agnostico
credo soltanto nella verità del lutto:

ho visto un albero nell’albero
crescere caleidoscopico

come se le foglie fossero vivi fantasmi.
Ho premuto il viso più vicino

alla finestra, per riuscire a vedere
quello spirito fratturato e fluttuante

sembrava un unico indefinito essere
o innumeri esseri creati da una sola mente

la sua strana coesione mi trascina
oltre i limiti della mia visione

sopra le case, nel cielo. Naturalmente
sapevo che quelle foglie erano uccelli.

Naturalmente, l’albero era diritto
nella sua canonica esattezza

(ma perché mi pareva più pieno?)
e sebbene la mente di un uomo possa

dotare l’albero di qualche eccesso
di cui la vita umana è testimone

la vita non appartiene agli uomini.
A quel punto, è giunta la gioia.

*

Cruda notte

Quali parole o più arduo
prezioso chiede a me la luce
intagliando dal buio
questo ardito albero?

Quale luogo o remota pace
vedo – così mi pare –
emergere dalla notte
e dal mio cuore?

Il cielo imbianca e va.
I campi si riempiono di rughe
di cotone, e vanno.
Notte pari a stormo di corvi
che si scinde e scema.

Quale canto e quale casa
quale pace o limpidezza:
non posso ancora riprendermi
non mai abbastanza:
il campo, il cielo, l’albero.

*

Notte dalle mille ombre

1 Letto di morte

C’è una parola che non è acqua
e non ha nulla a che fare con calore o luce
non è legata ad alcun dolore
anche se il corpo ferito dilata la sua ferita
mentre lo pronunci.
                                  C’è un suono
al di là di ogni altro suono mai udito
che ha bisogno di nominarli tutti, uno ad uno.
Brucia limpido negli occhi che mi cercano
le labbra tornano a sanguinare
la sua mano stringe la mia mano
supplicandomi di capire.

2 Ultime volontà

Tutto il pomeriggio nell’aldilà
delle piccole amate cose
e nel dolore – non posso lasciarle andare
cerco la volontà
l’ultima, che mi permette di lasciarti andare.

Sono distratto e lento –
volti granulosi
di vecchie fotografie, lettere
di morti, tratte in luoghi
che sono soltanto in aria,

abbaglianti nessundove
di vaste terre, lume di sole
questa è la mia idea di paradiso:
un lungo pomeriggio
di nuvole e pioggia ininterrotta

quando ti sei seduta spiegandomi
dov’era il giardino, il pozzo,
il bene, l’inferno
al tuo cospetto
è una breve stretta al cuore.

Fuori, in cortile, attaccano le cicale,
piangono qui, qui e qui
le mille ombre della notte si dilatano.
Ora è qui, formale e definitivo.
Ogni ricordo è un muro.

3 Vagabondaggio

Nella dura luce e nel ronzio
della stanza dove sono venuto
per restare, fisso l’orologio,
attendo, ora dopo ora,
che tutto sparisca.
Movimenti, brusii: il cervello
si spegne come un paesaggio. Dolore
nelle pallide colline arteriose
lampeggia e svanisce,
trascina con sé un intero anno.
Cotone e cacciatore, la nuvola
abbassa lo sguardo: è successo qualcosa
al mulino, qualcuno corre
tra gli alti alberi – fiato, fiato,
stai tenendo la mia mano?
La febbre monta. Diventi fredda
poi calda, poi fredda
alveare di nervi sulla pelle.
Irrompono spiragli
e mi piego, sussurro la paura,
ti scuoto come il vento,
sono qui, sono proprio io…

Mezzanotte, argento lunare,
i muri, il ferro e l’ombreggiatura
della terapia intensiva:
la cicatrice stuccata del tuo cuore
si gonfia e si abbassa,
leggo i battiti sullo schermo
e vacillo, lego il mio respiro
a quello della macchina
per sapere quanto misura
ogni momento – finché, presto,
rabbrividisci e ti appaghi
il sangue schiuma da qualche parte
dietro i tuoi occhi
e io crollo tra i miei frammenti:
un bambino interrotto nel gioco
annegato d’aria
un uomo sepolto dall’alba
e qualcosa sulla strada
che tiene fermi i suoi capelli, così.

*

Tutti bravi conducenti

I

Stridio calore odio
nostra quotidiana tratta

la lunga attesa all’ultima fermata
prima di correre e urlare

sottoterra, e i piccioni
del tribunale, viatico di merda

insolenti sulla soglia dei binari
perché il treno è sempre in ritardo

sempre contro di noi
quando ci assale, addosso,

grugno grifagno, mille bocche
che inghiottono e imprecano

creatura tutta occhi e artigli
che scava, scava, scava

verso il denaro.

II

A volte la bellezza
ci prende verso le porte Imponenti

sfiora l’intoccabile
flirta e plana

su se stessa
per stare in mezzo a noi

come un piccolo grattacielo
così puro e nudo

sguardi la tracciano ovunque
con bramosi fremiti

pari al sole sul vetro.

III

C’è un sognatore
tra tutti i bravi conducenti

ha la sapienza
di comporre l’ultima fermata

mentre il treno slitta crudele
qualche amante, solitario o pazzo

che ha vissuto la durezza
si sveglia d’improvviso

nel cimitero
dove vede

lungo un tunnel
un bramito di luce

ed è quella la fine:
credi che siano catene

ma ne riconosci le chiavi.

Christian Wiman

Gruppo MAGOG