Pangea significa “tutta terra”. Il termine indica, come si sa, il ‘supercontinente’ che alle origini della vita costituiva l’insieme delle terre emerse del nostro pianeta. Intorno a “tutta terra” c’era Pantalassa, “tutta acqua”, un unico, immane oceano. Da Pangea, poi, come vuole la teoria della deriva dei continenti, derivarono, muovendosi, l’Asia, l’Africa, l’Europa, l’Oceania, le Americhe, i Poli. Pangea è il feto e Pantalassa la placenta. La teoria scientifica di Pangea ricorda un po’ il mito della torre di Babele. In origine gli uomini parlavano una stessa lingua: la presunzione di costruire una torre capace di sfondare i cieli e di arrivare per direttissima nella gola di Dio, portò l’Onnipotente a “confondere la loro lingua, perché non si comprendano più l’un l’altro”. Nessuno – se non qualche rettile – ha percorso Pangea, che forse è l’apice di una favola, l’idea che la Terra, al principio, fosse un abbraccio. Che si potesse percorrere da cima a fondo senza discontinuità, facilmente. Il sogno millenario dell’uomo è tornare a parlare una sola lingua, così da avere l’idea di abitare una sola terra, una sola casa.
Il “mondo globale” – sappiamo anche questo – non è la nuova Pangea. Il mondo globale, al contrario, è una gabbia. Ci ingabbia nelle nostre singole personalità: siamo schiavi dei nostri desideri – più o meno indotti – e non riusciamo a scoprirne altri. Ma io sono ciò che sarò domani, dice il saggio: sono ciò che non so, sono perché non so ancora chi sono – e guai chi mi rivela a me stesso. L’idea di Pangea, la prima “Rivista internazionale di Cultura&Idee” d’Italia è proprio questo: costellare la vostra giornata – perciò, la vostra vita – di finestre. Di tanti, tantissimi, piccoli oblò. Prima di tutti – ma prima, in questo caso, è un superlativo della qualità, non un mero accidente cronologico – saprete di cosa si parla a Londra, che polemica è scoppiata a Parigi, quale filosofo si discute a New York. Ma saprete, anche, cosa si legge in Nuova Zelanda, quale scrittore stanno premiando in Argentina, che voci creative si fanno sentire in Indonesia, a Tokyo, in Islanda. La nostra è una Pangea della cultura.
Attenzione, però. Pangea non è un supermercato. Non è semplicemente un carico di ‘notizie culturali’, allineate come quarti di prosciutto, benvenuti all’abbuffata. Pangea è un servizio per lettori attenti. La nostra redazione seleziona le notizie importanti, le ‘tratta’ e le offre al lettore italiano. Le notizie sono passate al vaglio di un ragionamento – ora siate voi a doverle raffinare, a continuare il dialogo. “La vita più quotidiana e normale, vogliamo vederla come un avventuroso miracolo: rischio continuo, e continuo sforzo di eroismi o di trappolerie per scamparne. L’esercizio stesso dell’arte diviene un rischio d’ogni momento”. Così scriveva Massimo Bontempelli – rigorosamente in francese – nel 1926, nell’editoriale del primo numero di 900, la prima rivista italiana davvero ‘internazionale’ – in epoca di autarchia fascista – diretta insieme a Curzio Malaparte, che aveva come collaboratori personaggi come James Joyce, Virginia Woolf, Rainer Maria Rilke, André Malraux… A noi piacciono proprio quelle parole: avventura, miracolo, rischio. Solchiamo la Pangea della cultura mondiale, nell’Occidente già tramontato da un tot, su una zattera. Inquieti come Lord Jim, avventati come Mowgli, spavaldi come Amundsen. Sappiamo tutto. Sappiamo che con la cultura mangiano soltanto alcuni mentre tanti altri fanno la fame, sappiamo che c’è fame di cultura perché l’uomo non si accontenta della frustrazione in cui l’ha piombato l’Europa avanzata, in avaria, e la democrazia in decomposizione, lontana anni luce dai cittadini. No, noi non abbiamo paura di essere innocenti.