Mario Desiati, lo scrittore moscio amato dall’élite progressista
Libri
Fabrizia Sabbatini
Mi sembra di vivere nell’assassinio. Cerco perciò di interrare granate di luce, che esplodano meraviglia. Proprio così. Sono il bandito letterario del meraviglioso. Anche perché. Insomma. Oggi come oggi. Siamo costretti a ribattere l’ovvio, a suonare la stessa solfa che un tot di tempo di fa era mandata a memoria perfino dai muri e dai marci, non solo da pionieri stellati come noi. Dico un nome. René Char. “Una delle voci poetiche più alte del secolo”. Non lo dico io. Lo dice l’editore Mondadori, nella sontuosa ‘quarta’ che presenta Canti delle Balandrane nell’ottima cura di Stefano Agosti. Era il 1993. Non cinquant’anni fa. 25 anni fa. Da allora, una delle voci poetiche più alte del secolo è l’eco dell’oblio e quel libro – bellissimo – è, leggo in un supermarket on line, attualmente non disponibile. Diciamo così. René Char è uno dei grandi poeti del Novecento, tra i grandissimi – insieme a Paul Valéry, a Saint-John Perse e a Yves Bonnefoy – di Francia. La sua grandezza, indiscutibile – nessuno può mettersi a sbozzare un verso senza averlo letto – è stata riconosciuta da Vittorio Sereni, il più presente tra i traduttori di Char. Dei libri tradotti da Sereni, Ritorno Sopramonte e altre poesie, in catalogo Mondadori, è attualmente non disponibile. Di fatto, l’unico libro che si trova, acquistando in Internet, è Fogli d’Ipnos, nella ‘bianca’ Einaudi. Non è questo, in assoluto, il libro più bello di Char – la cui opera, in realtà, è un unico, immenso poema per scaglie che ti s’infossano al costato, dandoti virtù di sangue – ma è il più noto. Infatti, come scrive Sereni, “i Feuillets sono e non sono il libro poetico della Resistenza francese, ne riassumono il senso e al tempo stesso lo superano”. Sono, ecco, il libro ‘mitico’ di un’epoca, l’epopea di uno scansafatiche alto due metri, impulsivo, che al liceo preferiva il rugby, autodidatta in poesia, disordinato, surrealista per sbaglio, amico di Breton e di Artaud e di Dalí e di Tzara, che dilapidò l’eredità paterna e che “dopo una regolare chiamata alle armi nel ’39… entra fin dal ’41 nella Resistenza, prende parte ad atti di sabotaggio… nel ’43 viene inquadrato come ufficiale nell’esercito clandestino di liberazione: è già il capitano Alexandre”, autore di “una quantità di atti di sagacia, chiaroveggenza e coraggio” (Sereni). Orientato dalla lettura di Rimbaud, dei presocratici, di Eraclito soprattutto, e di Pascal, a una poesia lapidaria e oracolare, semplice come il pane e profonda come il cosmo, René Char raccoglie per Gallimard, nel 1948, i testi più importanti, in Fureur et mystère. ‘Furore’ e ‘mistero’ contraddistinguono l’opera lirica di Char, ed è questo, in effetti, il libro risolutivo del poeta. Non lo dico io, lo dice Albert Camus, “Ritengo che René Char sia il nostro maggiore poeta vivente e che Fureur et mystère sia ciò che la poesia francese ci ha dato di più sorprendente dopo Le illuminazioni di Rimbaud”. Evidentemente, siamo costretti a sorbirci tonnellate di cattiva poesia smerciata da poeti presunti, ma non ci è dato leggere come si deve un genio come René Char. Neppure l’anniversario ha lenito il danno: Char è morto 30 anni fa, Fureur et mystère è pubblico 70 anni fa, ma editorialmente parlando nulla si muove, è la palude dei morenti. A mo’ di risarcimento, e di inno a Char e di dono ai lettori di buona volontà, traduco alcune abbaglianti porzioni da Á la santé du serpent, parte de Le Poème pulvérisé, che è uno dei testi radunati in Fureur et mystère. Ringrazio Alice Tamburini, che mi ha portato il libro – salvifico – da un viaggio parigino. (d.b.)
*
Alla salute del serpente
I
Io canto il calore del viso del neonato, la calura disperata.
II
Attorno al pane per spaccare l’uomo, ed essere la bellezza del sorgere.
III
Chi si fida del girasole non mediterà sulla casa. Tutti i pensieri dell’amare diventeranno i suoi pensieri.
IV
Dentro il cerchio della rondine si forma una tempesta, si compone un giardino.
VI
Produce ciò che la conoscenza vuole mantenere segreto, la conoscenza dai cento cunicoli.
VII
Ciò che viene al mondo per non tormentare non merita considerazione né pazienza.
XI
Tu farai dell’anima che non esiste un uomo migliore di lei.
XII
Fissa l’immagine temeraria o fai il bagno nel tuo paese, quel piacere che fu molto tempo fa.
XIV
Ringrazia chi non ha parte al tuo rimorso. Tu sei suo pari.
XV
Le lacrime disprezzano il loro confidente.
XVI
Resta una profondità misurabile là dove le sabbie soggiogano il destino.
XX
Ti curvi solo per amare. Se muori, ami ancora.
XXI
L’oscurità in cui sprofondi è governata dalla lussuria della tua ascesa solare.
XXIII
Non è degno del poeta mistificare l’agnello, investire la sua lana.
XXIV
Se abitiamo la folgore, è il cuore dell’eterno.
XXVI
La poesia è di tutte le acque pure che non si attardano al riflesso dei ponti.
Poesia, la vita futura nell’intimo dell’uomo rinnovato.
XXVII
Una rosa perché piova. Alla fine d’innumerabili anni, solo questo è il tuo desiderio.