12 Dicembre 2019

L’unica banana che mi piace è quella di De Chirico. Esegesi sommaria di Cattelan, un nome privo di arte

Di banane, artisticamente parlando, preferisco quelle arcimature che De Chirico oppose al busto mutilato di una statua (presumibilmente e preferibilmente di una Dea), intitolando cripticamente questo diagramma-rebus che pareva difettare solamente delle letterine galleggianti: L’incertezza del poeta. E se il sottoscritto non è propriamente un poeta, resta comunque da disbrogliare il problema dell’incertezza: che cos’è la banana di Cattelan senza accanto il nome? E che cos’è il nome Cattelan senza accanto la sua banana?

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Tali interrogativi alla Marzullo non devono irritare, poichè per quanto futili, risultano comunque più succosi rispetto alla solita, classica giustificazione “provocatoria” dell’opera d’arte, per quanto in tal caso l’artista stesso non abbia posto la sua sotto questi termini che pare debbano sottendere inesorabilmente l’arte contemporanea.

È trascorso ormai il tempo della stupida e speciosa distinzione fra “opera d’arte” e “opera dell’arte”, fra “costruzione originale” e  “appropriazione” più o meno indebita, fra ciò ch’è arte e ciò ch’è “artato”, ma rimane un equivoco di fondo tra l’economia poietica e quella biografica.

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Maurizio Cattelan

Sta il fatto che sono un perfetto profano, e che questa banana non l’ho proprio compresa. In nessun ordine di senso. Beninteso non covo nessun pregiudizio verso il genere performativo, o come lo si voglia definire: comprendo le ragioni artistiche o la necessità di chi si è fatto impallinare l’avambraccio da un fucile carico in omaggio al concetto; o dei due tizi che percorrendo dalle due estremità opposte la muraglia cinese, si sono dati appuntamento al centro esatto solamente per dirsi addio, ponendo fine al loro sodalizio sentimentale e artistico; comprendo infine chi abbia posto difronte alla riproduzione di un torso di Venere un cesto di uova marce invitando gli astanti a colpire con queste la statua, (anche se le colature rapprese lungo il seno erano un endice più che didascalico) ed intitolando il tutto: Fecondazione assistita. In verità non credo esista opera che sfugga totalmente alla fecondazione assistita dello spettatore, e che non prosperi unicamente nei giudizi e nei pregiudizi. Ma anche questo concetto, a mio parere, non redime l’opera suddetta.

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Potrei anche definirla “merda”, se la merda, accantonata da tempo quella che era la sua presunta volgarità, non fosse un veicolo d’immensa gittata simbolica. La verità è che quella banana non costituisce neppure una felice e spropositata inutilità: si tratta di un nulla assoluto, contornato da un aureola anelliforme – unica vera creazione se di tale si può parlare – piuttosto pneumatica e verborifrangente: l’assunto in se stesso (banana e nastro adesivo) risultano totalmente indifferenti ai fini preposti. Poteva esserci qualsiasi altro oggetto al loro posto. Il signor Cattelan può prendersi ormai il lusso di compiere qualunque cosa. Come del resto tutti noi. Ma non per questo dimentica il suo nome, lo pone anzi all’interno delle sue trovate, ora come diabolico marchingegno, ora come innocuo saltaleone per dare ad esso una parvenza di vita laddove non è che meccanismo. Non dimentica affatto il suo nome. Si dissolve totalmente in esso e non nella sua opera.

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Ma il difetto principale di quello che doveva rappresentare in qualche maniera uno schiaffo, è quello di non essere riuscito a farmi accapigliare con me stesso. È perciò totalmente inutile mi prenda la briga di disturbare il solito orinatoio di Duchamp o la classica merda d’artista di Manzoni. L’arte deve oggi compiere qualcosa di ben più grave: deve ridefinire i limiti della Legge, come quelle avevano fatto in precedenza.

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Il caso della banana di Cattelan è comunque emblematico. Rappresenta l’opposto speculare di quello che propugna, ad esempio, la benemerita crociata degli Imperdonabili: un’arte senza nome; poiché qui si tratta, invece, di un nome senza arte.

Antonello Cristiano

*In copertina: Giorgio De Chirico, “L’incertezza del poeta”, 1913

**Altri interventi sul tema fatidico sono stati pubblicati su “Pangea” qui e qui.

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