10 Agosto 2019

L’arte è una malia per sonnambuli e l’artista è reduce dalla lotta con l’angelo. All’assedio del castello: una mostra con Cristina Campo come talismano

Prato vince castello. La domanda: esiste una contraddizione tra l’artista e il castello? Il castello, anche quando sembra l’icona di una nuvola, è un pugno. L’uomo erige un argine tra sé e gli altri uomini – i ‘cattivi’, i nemici – tra sé e la natura, mostruosa perché inarginabile, inafferrabile. Un umile prato avrà sempre ragione di un castello disabitato, bombarderà la pietra fino a frantumarla, si eleverà in liane per abbattere, nei secoli – la natura non ha problemi di tempo – ciò che l’uomo ha eretto in un attimo. L’uomo costruisce una forma, il castello, per dare forma al proprio futuro – nel castello si perfeziona l’arte della guerra e l’industria agricola, si tratta sempre di disciplinare la fame. Il castello, nei secoli, diventa palazzo, infine villa: le muraglie sono un ornamento, i pinnacoli lavoro di merlettaia, utile all’estro estetico più che alle estremità della lotta.

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Nel palazzo dei pazzi: dove il pittore è un illusionista. In ogni caso – castello, palazzo, villa – un uomo si chiude dentro, sperando così di imprigionare il ‘fuori’, sprigionando ciò che ha nel petto. I castelli, nell’efficienza, hanno decorazioni che aiutano gli abitanti a ricordarsi chi sono; nei palazzi e nelle ville le scene, spesso paganeggianti, con pavoneggiamento erotico di dèi e divinità parziali, a volte pazzesche, devono dilettare, sedurre, concupire – sono emblema del potere che ghermisce. Negli istanti più spettacolari – a Mantova, ad esempio – le stanze sono dipinte con foreste, l’illusione ottica ci dà l’idea di essere a cielo aperto. Il ‘dentro’ replica il ‘fuori’, ma un fuori illusorio, mentale. Al palazzo serve un pittore come mago, come illusionista, che sappia creare, perfino nei dettagli botanici oltre che fisiologici, un’altra realtà, un mondo nuovo. Il sogno – celestiale e demoniaco – di obliare la realtà, di obliterare il vero, per abitare il fantastico è uno degli incantesimi che confondono l’uomo, che rendono l’arte una malia per sonnambuli.

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Castello vs. artista. Ovvero: l’arte di non farsi incasellare. L’artista non è un castellano né un architetto di castelli. L’artista è una creatura della foresta, che quando lavora nel castello non può che operare per un unico patto, impagabile, lo stupore. Uno stupore che sconfina nello scandalo, a volte. Il padrone, il forte, resta senza parole al cospetto dell’abilità – selvatica, incivile, claustrale – dell’artista che riempie il castello di pantere, di piante, di cavalli, di atti sacri e profani, di angelologie dell’araldica. L’artista non appartiene al castello, perché è reduce dalla lotta con l’angelo, che gli ha frantumato l’anca, e ha ammaestrato le querce e costruito alfabeti con le tigri. Anche quando progetta castelli, l’artista li estrae da un gioco verbale, tra il nido di un airone e la Gerusalemme che veleggia nei cieli: non è del tutto di questo mondo, sua è l’insussistenza, lo stare senza riparo, nudo. Il gioco dell’artista sta nel non farsi incastellare, cioè nel non essere incasellato, perché molte sono le sue vite e inesauribile la tensione.

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Istruzioni per costruire la cella. Non predica il ‘ritorno’, l’artista, perché viene dal deserto a desertificare, con un segno, la città. Cristina Campo, la grande poetessa, fece di sé un cristallo, reclusa nella casa romana, dandoci, in libri di algida bellezza, la chiave per costruire il Tabor sul costato. “Intorno a questi grandi leoni giacenti dello spirito, il mondo delle forme, come quello della parola, è pressoché abolito e dunque, più terribilmente violento… Le sentenze sono dardi dalla punta di ferro che ronzano lungamente nell’aria prima di conficcarsi visceralmente nel cuore del discepolo. Dio precipita a piombo in queste celle, in questi corpi, con un solo tremendo batter d’ali. E nei corpi, radicati nel cielo come sono, è una forza che spaventa: visionari e taumaturghi tentati fino ai cento anni, fragili fanciulli che scavano montagne”. Così scrive nei Detti e fatti dei padri del deserto. Sono le istruzioni per la costruzione della cella – l’artista è lì, infatti – e fare del proprio dentro una lotta di dèi, il luogo sconfinato, più inarginabile del fuori, della foresta.

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L’altalena tra le corna di Minotauro. Come si sa, il labirinto è figura del castello: perdersi tra i cunicoli del castello è granitica garanzia della sua efficacia. Il fatidico Labirinto, per altro, è elegia al palazzo di Cnosso, ne rispetta gli snodi, gli sfoghi della legge e della vendetta. Che un re sia Teseo – la razionalità munita di spada – o Minotauro – ferocia accudita dalla solitudine – non è importante. Importa, piuttosto, Arianna, che vaticina un filo, si estranea dalla parentela ed è abbandonata perché il suo regno è l’attesa. Virginea all’arte, Arianna. Dal filo, cui ogni forma è concessa e deformata, s’inarca il filamento delle lettere, il primo indizio di un disegno. Tese un filo tra le corna del fratellastro, Minotauro, facendosi una altalena, Arianna – e non salvò il padre, Minosse, dal palazzo che lo divorava. Benché di lei non si conoscano creazioni, è certo che grazie al filo abbia slegato tutti dalla maledizione del labirinto, disgregandone l’arazzo e l’aratura di omicidi.

Davide Brullo

*Riapre, restaurato, un castello, e lo inondano di artisti. Così accade per la mostra “Contemporaneamente a Castel Belasi”, curata da Marcello Nebl nel castello, d’impressionante vigore, che spicca, rinnovato, nel Comune di Campodenno, in provincia di Trento. La mostra inaugura il 10 agosto ed è in atto fino al 27 ottobre 2019. Gli artisti invitati a creare dentro il castello sono Marcovinicio, Simone Pellegrini, Luigi Stoisa, Willy Verginer, Pietro Weber, Andrew Gilbert, Federico Lanaro, Aldo Valentinelli, David Aaron Angeli, Bruno Fantelli. Qui si riproduce parte del testo del catalogo.

**In copertina: Luigi Stoisa, “La fusione”, 2018, foto Marco Rosa Marin

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