“Diceva di invocare ancora oggi, contro il troppo male incombente, sopravvenienti catari e un Montségur di più sicurezza e più luce”.
Carlo Ernesto Meriano su Ferdinando Tartaglia
1941, scrive Simone Weil a Déodat Roché,
“ho appena terminato di leggere da Ballard il suo bel saggio su L’Amour spirituel chez les cathares per il numero dedicato al Génie d’Oc […] Mai è stato necessario quanto oggi resuscitare questa forma di pensiero. Siamo in un’epoca in cui la maggior parte della gente sente confusamente, ma vivamente, che ciò che nel XVIII secolo era chiamato Lumi costituisce – ivi compresa la scienza – un nutrimento spirituale insufficiente; ma questo sentimento sta per condurre l’umanità per i peggiori sentieri”.
(in: Simone Weil, I catari e la civiltà mediterranea, Marietti).
Mistagogo di dualismi, storico immaginifico e partigiano, Champollion di religione in lingua d’Oc, ricostruttore (tessitore?) di dottrine Déodat Roché. Giovane ha amato Lamartine, le scienze dello spirito e la troisième republique. Già massone, martinista e rosacrociano in clima di esoterismi che spuntano a mazzi in quel di Francia, con zelo apostolico si butta nella tutta gallica boutade della Église gnostique, sposata e poi fuggita dai Papus e dai Guénon.
A lui, vescovo col nome di Teodoto, tocca la “diocesi” di Carcassonne. Smessi mitra e pastorale, si scaglia contro i “materialisti ed atei” del Grande Oriente di Francia, s’invaghisce d’antroposofia. Avvia un carteggio con Rudolf Steiner, che lo prende sotto tutela, lo sprona, gli fa da direttore in esercizi spirituali (“ogni settimana rappresentatevi una scena del vangelo di Giovanni… Lazzaro…la santa cena…poi la crocifissione…la resurrezione di Cristo”). Fonda una Société du souvenir et des études cathares con annessi cahiers, in breve tempo troveranno concorrenza (Roché “proietta” troppo del suo nella ricerca storica, si dirà). Studia Mani, gli Albigesi, la gnosi.
Nasce l’“esegeta del catarismo”: lui, studioso, che mai si è dichiarato qualcosa come “neo-cataro”, ai neocatarismi resta legato mani e piedi (leggete l’agile J.P. Audouy, Déodat Roché. Le tisserand des catharismes, Mémoires Pays Cathare). Cosa ha visto nei martirs del pur amor crestian (come fece scrivere su una targa a Montségur),in vita e dottrine di occitani eretici sconfitti?
Ispirazione politica laica; filiazione spirituale che unisce Cristo, Grecia e manichei; religione non dogmatica, non clericale, il puro amore di Cristo; modello di vita sociale alternativo al moderno; spinta apocalittica.
E qui incontra Simone Weil.
La sua pietas verso sventurati e sconfitti, il platonismo personale esasperato, le sue visioni di mediazione, forza, discesa di Dio, la accostano al génie d’Oc. Vi trova accordo sotterraneo con la sua Grecia e una patria congeniale perché perduta. Catari occitani spregiatori della violenza, del potere del sociale (il “grosso animale”), martiri di Tolosa annientati dalla forza Roma/Chiesa: li fissa nel vuoto della sua sovrumana attenzione.
Convinta, adamantina metafisica perfezionata dalla grazia, che a contemplare con amore e sguardo puro (l’attention), la stessa ispirazione discenderà in noi rendendo “a poco a poco impossibile una parte almeno delle bassezze di cui è satura l’aria che respiriamo”. Perché i catari sanno la legge della necessità che signoreggia la materia, c’è santità in loro. L’annichilimento della civiltà occitana, mediterranea-greca-cristiana, è sigillo di verità e purezza, ché il bene necessariamente sempre soccombe alla forza. Quel che in Déodat è progetto culturale con annessi spiritualismi steineriani in Simone, neanche a dirsi, si fa combat, nostalgia, patire.
Se qualche insegnamento rimane dai movimenti del secolo scorso (fenomenologia, ermeneutica, decostruzione) è che ogni storia, sempre preceduta da nostre precomprensioni, è, in parte, “immaginaria”. Quelle confezionate col bric_à-brac di occultisti e teosofi, talvolta affascinanti, del tutto. Ri-creiamo di volta in volta passati inaccessibili, la Storia, le storie, ricostituite dal soggetto. Cogliamo strutture, tipi, lo spirito raramente. Forse la fraternità solidale, sovrannaturale e terrestre, dei buoni catari occitani, che a Tolosa tanto vivevano in comunione coi cattolici da non distinguersi è cosa vera. Forse incarnarono il pur amor, forse ebbero più vivo ed ardente il sentimento del mediatore tra cielo e terra, forse Dio discese volentieri in loro.
Religione non dogmatica, docetismo, dualismo radicale e dottrine varie son da ascriversi a calunnie, fraintendimenti di parte. Lo sterminio è stigma di verità, oppure con Cioran (“dobbiamo ai morti pietà, ma una pietà priva di illusioni”) dobbiamo pensare che, fossero usciti vincenti, avrebbero dato la stura a intolleranze e dogmatismi. Sicuro è che messi di fronte ad astratti teologumeni, i semplici credenti non avrebbero saputo che dire.
E quindi Dio, in molti di loro, è disceso.
Neanche noi, indugiando sulla gialla stentata erba riarsa dal calore, in tutto simile a quella occitana, ci uniamo al lavorìo di storici e teologi (leggetevi semmai Culianu, Duvernoy, Zambon). Stanchi come siamo di quel che ci sta attorno, dell’insensatezza dei giorni, di un mondo che s’imbestia e inabissa con vitalistica idiota isterìa vacanziera e godereccia, ci fissiamo su quello che è meno che un simbolo, segno, ultima roccaforte di inutile difesa di un mondo: Montségur.
Poiché per la bellezza sovrannaturale Simone ha un istinto infallibile e l’epopea occitana, alla fine è bella. Bella è l’ultima lotta di una causa perduta, trapassata, ormai mondata di passioni e ideologia. E bello è il pur amor, di là dalla ragione storica.
Nella Babele di segni che ci martellano, dove vero e falso, più che indiscernibili, sono insignificanti, fuggiamo per un attimo tra le sue rovine, nell’immaginale, come Tartaglia riponiamoci le nostre disfatte, la nostra stanchezza, l’impazienza per quella realtà nuova cui sentiamo di appartenere e che non viene. Invochiamo una Tregua di Dio: tra cristiani, eretici, esoterici, randagi dello spirito, Occitania e Roma, Raimondo di Tolosa e Simone di Monfort, spirituali, dottori della legge. Non ci servono magisteri, fumisterie occultiste, grotteschi revival (nulla dobbiamo resuscitare).
Il “qui enim non est adversum nos, pro nobis est” (Mc 9, 40) è sufficiente. Fintanto che il clima rovente tiene l’immaginazione, partiamo verso un Montségur di consolazione e luce.