Carson McCullers, la scrittrice che ha indagato la solitudine e il potere del silenzio come nessuno. “Il cuore è un cacciatore solitario” è un libro potentissimo
“Esistono spiriti liberi e coraggiosi a cui piacerebbe non ammettere che hanno un’anima a pezzi, tracotante, incurabile. A volte, impazzire è un travestimento, per chi ha certezze troppo infelicemente sicure”.
C’è una scrittrice americana che ha indagato e descritto la solitudine e il potere del silenzio come pochi altri. Sto parlando di Carson McCullers (1917-1967), donna tormentata e fragile. Fin da giovane ebbe dei problemi fisici e a trentun anni era già semiparalizzata, tanto che per un periodo di tempo poté utilizzare solo un dito per scrivere a macchina. Non è un caso se la deformità, fisica o psicologica, costituisce un tratto caratteristico della gran parte dei suoi personaggi, quasi un marchio dell’isolamento spirituale e dell’esclusione. Molti dei suoi romanzi e racconti non sono niente altro che delle grandi metafore della solitudine e della incomunicabilità tra gli esseri umani. Penso al potentissimo Il cuore è un cacciatore solitario, il suo primo e più noto romanzo pubblicato quando la McCullers aveva solo 23 anni. Il protagonista è un mite orologiaio sordomuto che vive in una cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti e che finisce per diventare il catalizzatore della vita della piccola comunità. Tutti i vari personaggi del libro interpretano i silenzi del muto come una partecipazione alle proprie angosce e si aggrappano a lui come a un’ancora di salvezza per non annegare nella propria disperazione.
* Nonostante il fatto che la McCullers, nata e cresciuta nella Georgia, si sia ben presto trasferita a New York, il Sud degli Stati Uniti e la sterminata provincia americana sono sempre rimasti per lei lo scenario ideale dove far muovere i suoi personaggi, a volte grotteschi a volte patetici, ma sempre inesorabilmente condannati a essere delle anime solitarie.
Anche ne La ballata del caffè triste ritornano l’ambiente della provincia e del Sud, ma qui soprattutto c’è un luogo-simbolo della solitudine intorno a cui ruota tutta la vicenda e che mi ha fatto scattare uno di quei collegamenti tra letteratura e pittura che tanto nel cuor mi stanno. Si tratta di un caffè, al cui interno si muovono i tre protagonisti della storia: la padrona del locale, una gigantessa scorbutica e solitaria, un nano gobbo che arriva da non si sa dove e trasforma la vita della donna e del locale, e l’ex marito che ricompare all’improvviso e mette in moto un triangolo amoroso dagli esiti bizzarri.Dalle pagine di questo lungo racconto arrivano delle autentiche folate di incomunicabilità e ci sono scene di grande efficacia e suggestione che fanno venire alla mente un famoso quadro di Edward Hopper, maestro del realismo americano. Il dipinto a cui mi riferisco è intitolato Nighthawks (Nottambuli) e rappresenta un caffè notturno al cui interno si vede una coppia davanti al bancone dietro al quale c’è il barista, un altro cliente è raffigurato di spalle seduto da solo. La scena è vista dall’esterno ed è immersa in una luce fredda e tagliente e in un silenzio quasi metafisico. Ogni figura ritratta è sprofondata nei propri pensieri senza nessuna possibilità, e volontà, di comunicare con chi le sta al fianco. Anche la coppia seduta al bancone evoca un sentimento di solitudine, potrebbero essere marito e moglie oppure due estranei che si sono appena conosciuti casualmente in quel caffè, in ogni caso sono due persone tristi e silenziose.
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L’arte, quella grande, quella vera, è sempre senza luogo e senza tempo e non ci sono confini di genere che possano imbrigliarla. Quindi la McCullers con le sue storie gotiche piene di personaggi che per molti versi ricordano i “mostri” di Fellini e i quadri di Hopper con le sue immagini immerse nel silenzio parlano anche a noi, di noi e con noi, di come siamo, di quello che sentiamo e riescono a darci uno spaccato formidabile della nostra solitudine quotidiana.