Ora, rispettosamente parlando. Dei film di Carlo Vanzina, pregiato artigiano del cinema italiano, partigiano della commedia all’italiana, possiamo fare a meno. Rispettosamente.
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In modo irriverente, irrimediabilmente, Carlo Vanzina, come si dice, ha firmato alcune delle commedie di maggior successo della cinematografia italiana. Ora, col senno di poi e con il rispetto con cui si ammanta il caro estinto, di quelle commedie faccio volentieri a meno. Esempi sparsi. I fichissimi (1981) esce due anni dopo Apocalypse Now; l’esemplare icona dell’italiano idiota, rappresentata da Diego Abatantuono in Eccezziunale… veramente ha per specchio, lo stesso anno, il 1982, l’emblema dell’uomo occidentale perduto in un cosmo fasullo, con un’anima robotica, il Rick Deckard di Blade Runner; e mentre noi, nostalgici incalliti e cretini, cantavamo Sapore di mare – l’Italia è tutta lì: amorazzi appena iniziati e già abortiti, va dove ti porta il cuore e la sovrana minchia – Michael Cimino aveva già girato il requiem del western, I cancelli del cielo, Scorsese si era già immerso nella biografia abbacinante di Toro scatenato e Ingmar Bergman firmava Fanny e Alexander. Questo solo per dare l’idea, oggettiva, dei valori filmici in campo.
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Ma no, dice il gonzo, l’uomo deve ‘divertirsi’ e l’arte cinematografica, in fondo, è fiero intrattenimento. Infatti. Un film di Martin Scorsese non è certo il Timeo di Platone e guardare Ridley Scott non è difficile come leggere Herman Melville. Vedete, qui il tema non è ‘intrattenimento’. La parola adatta è ‘latitudine’. A che latitudine si celebra il cinema italiano, che altezza pretendiamo da un film? Perché, capite, a forza di intrattenerci diventiamo intrattabili deficienti. Altro esempio. Nel 1995 esce Io no spik inglish, firma Vanzina, con Paolo Villaggio. Stesso anno. Michael Mann termina Heat. La sfida, con Robert De Niro e Al Pacino, personaggi assoluti, in un tempo falciato dalla solitudine e dalla disperazione. Voi, mi domando, chi preferite essere, verso quale perfezione state vagando?
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Questione di genere, dice uno. Tu sei un razzista del cazzo perché non ti piace la ‘commedia all’italiana’. A me non piace l’italiano medio, probabilmente. A me non piace l’italiano che vien fuori dai film di Vanzina: furbetto, idiota, smargiasso, arrapato, demente. Mediocre, per lo più, soprattutto. Medio, appunto. C’è poco da ridere, qui, c’è da guardarsi allo specchio e spaccarlo a testate, spacconi del nulla. La commedia, se tale è, è intrisa di fausto cinismo: Il vedovo di Dino Risi, per dire, Divorzio all’italiana di Pietro Germi, Billy Wilder. In realtà, guardateveli bene i film di Vanzina, da Banzai a Un’estate ai Caraibi a Mai Stati Uniti, non c’è nessuna denuncia, anzi, lo sfottò è in fondo una assoluzione. Non si guarda Vanzina pensando, guarda come siamo scemi, come siamo ridotti, lo si guarda compiaciuti, titillando la nostra oscenità, amando le nostre idiozie. I film di Vanzina non ci pungolano – cosa che dovrebbe fare l’arte, il cinema, la commedia, la comicità – ci tranquillizzano nella nostra modestia. Per questo, posso farne a meno.
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Non mi piacciono i film di Vanzina, mi irritano, perché sono la raffigurazione reale (mica comica) del nostro Paese e dei nostri paesani. Siamo idioti. E, a guardare i dati del botteghino, pare che per un bel po’ di anni ci siamo beati della nostra idiozia. Felici voi. (d.b.)